Giacomo Ruggeri – pastoralista, diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola

Le parole significano, nel senso che tracciano un solco dove gettare il seme, quando hanno incidenza nella vita di una società e delle singole persone che la abitano.

Le parole sono in-significanti, ovvero sono con il vomero spuntato e arrugginito, quando scorrono via silenti sull’epidermide di una società e delle singole persone che la abitano.

Reiterare le parole non è affatto garanzia che siano capite, accolte, comprese, vissute. Alcune di queste parole reiterate anche nel linguaggio ecclesiale, abbinate a pastorale, penso che abbiano perso, gradatamente, quel significato che per tanto tempo le hanno sostanziate, ora sempre meno.

Pastorale vocazionale

Il termine vocazione all’interno delle mura domestiche è vaporizzato: i nostri nonni sono cresciuti con il senso della vocazione (fare qualcosa di bello nella vita, impegnarsi in un progetto di vita); i nostri genitori hanno, da par loro e con tutti i limiti, cercato di incarnare quel senso di impegno, dovere, responsabilità, sacrificio, dono e nel complesso manteneva vivo il senso di una chiamata alla vita e nella vita; i nostri figli e nipoti respirano l’aria dei social e si nutrono di TikTok. Non sentendo, questi, più parlare in casa di vocazione e, allo stesso tempo, non vedendo più giovani coetanei e affini che si consacrano a Dio per tutta la vita, capiscono che questa parola non è del loro mondo. Ma non per questo sono sordi alla voce di chi propone loro una vita che abbia senso, in primis Gesù Cristo. Per i nostri figli e nipoti il mondo fede e spiritualità è chiamato con altri termini, è vissuto in altri luoghi, è condiviso per altre esperienze, non più quelle tradizionali. Entrare in Seminario, farsi prete, chiudersi in monastero è un linguaggio che ha perso incidenza, ma è ancora attraente se lo si pone con inedite categorie di riflessione, di mediazione, di condivisione, di ambiente. Una diocesi è provocata sia a cambiare l’espressione pastorale vocazionale (se vuole parlare a tutti), sia a ri-generare la forma mentis di approccio e di accompagnamento.

Pastorale familiare

La parola famiglia oggi non è più significato di padre+madre+figlio/a. Il plurale, le famiglie, indica che la società è abitata da un poliedro di significati, forme, appartenenze talmente sconosciute ai nostri nonni e, invece, – è il caso di dire – così ‘familiari’ a ragazzi e giovanissimi di oggi. Le proiezioni Istat dicono che avremo sempre più famiglie di una sola persona: nel 2050, su una popolazione di 54 milioni di italiani il 41,1% delle famiglie sarà formata da persone sole. Una diocesi è provocata sia a cambiare l’espressione pastorale familiare (se vuole parlare a tutte le tipologie), sia a ri-generare la forma mentis di approccio e di accompagnamento.

Pastorale giovanile

La parola giovane oggi comprende un arco di età così allungato che anche una giovane mamma sposata o accompagnata con figli si sente giovane. Gli adolescenti di oggi sono stati posti dalla società sul tapirulan dell’adultizzazione così in fretta al punto da perdersi il tempo presente e rincorsi dal voler vivere vite altrui e di altri (influencer).

Ri-Generare, dunque, da un mondo che sta finendo non è la fine: è la possibilità di ri-generarlo dalle macerie recuperando il buono diffuso, il bello capillare, perché nella vita nulla si butta, tutto si ri-genera.