Fortunato Ammendolia – informatico, studioso di pastorale digitale, intelligenza artificiale ed etica, docente invitato in istituzioni accademiche
«Ecco, vedo così il lavoro oggi: come un bel cantiere aperto per costruire il futuro, all’interno del quale, però, si respira, da una parte, un senso di vuoto e dall’altra un sovraccarico di stress dato da corse febbrili». Con queste parole, il primo dicembre 2023, papa Francesco apriva il suo messaggio carico di condivisione, rivolto ai partecipanti alla seconda edizione dell’evento «LaborDì: un cantiere per generare lavoro», promosso dalle ACLI di Roma. Un messaggio che ben tratteggia la questione lavorativa odierna e interpella tutti (adulti e giovani) in una visione proattiva, capace di destare speranza, sconfiggendo precarietà e tirando fuori dalle sabbie mobili dell’insicurezza. Di quel messaggio, qui di seguito riportiamo alcuni passaggi.
Sul senso di vuoto, Francesco afferma: «La parola “lavoro” oggi, purtroppo, ne evoca spesso la mancanza, e ciò rappresenta una grave ferita alla dignità di tante persone. Ma la dignità è ferita anche quando il lavoro non è sufficientemente stabile e compromette progetti e scelte di vita». Il pontefice evidenzia che: «le risorse non mancano e vanno impiegate per realizzare sogni concreti, come quello di un lavoro stabile e duraturo, di una famiglia da formare, di tempo da dedicare gratuitamente agli altri nel volontariato. Occorre soprattutto contrastare la percezione di vuoto che si insidia nel cuore di molti giovani, i quali, mentre il tempo passa, vedono crescere l’impressione di non arrivare da nessuna parte ed ereditano da noi adulti un messaggio nocivo: che nella vita non ci sia nulla di stabile».
Circa la corsa febbrile, Francesco evidenzia che il «il tempo sembra non bastare mai e gli imperativi della produttività diventano sempre più esigenti e travolgenti». Approfondisce: «Se prima vi parlavo di “lavoro che manca”, qua si tratta di “lavoro che schiaccia”: pressione costante, ritmi forzati, stress che provoca ansia, spazio relazionale sempre più sacrificato in nome del profitto a tutti i costi». Tra le «prospettive cupe in agguato» evidenziate dal pontefice c’è quella di un lavoro disumanizzato, dove le moderne tecnologie, come l’intelligenza artificiale e la robotica, minacciano di sostituire la presenza dell’uomo.
Ed ecco il colpo d’ala, ovvero la visione consegnata da Francesco per affrontare la questione: «Cari amici, anche se il cantiere del lavoro presenta oggi queste situazioni, io vorrei invitarvi a non perdere la speranza, perché il lavoro conserva sempre in sé una vocazione unica e insostituibile, quella alla speranza. La speranza, infatti, non è ottimismo che dipende dalle circostanze, ma fiducia che si ingenera attraverso la costruzione impegnata e partecipe del bene comune. Il lavoro, dunque, è protagonista di speranza, è la via maestra per sentirsi attivi nel bene in quanto servitori della comunità, perché occuparsi degli altri è il miglior modo per non preoccuparsi di cose inutili. Torni il lavoro a essere un cantiere di speranza, un cantiere di sogni! […] Generare è il verbo della vita ed è bello che il lavoro sia, prima che produttivo, generativo: esso, infatti, non è un accessorio, ma una componente essenziale dell’esistenza, in quanto conferisce dignità e speranza».
Questi passaggi del messaggio di papa Francesco diventano in questa sede una sorta di fil rouge che attraversa, tra le espresse preoccupazioni, l’indagine delle aspettative delle aziende e l’azione concreta.
Le aspettative delle aziende
Attingiamo anzitutto indicazioni da quanto espresso dal World Economic Forum nella pubblicazione Future of Jobs Report 2023,[ii] teso a descrivere ipotesi di evoluzione del lavoro e delle competenze nell’arco di tempo 2023-2028, secondo le aspettative delle aziende intervistate inerentemente all’impatto di quattro macro-trend (macro-tendenze): «transizione verde», sviluppo tecnologico (digitale), dinamiche macroeconomiche e geopolitiche, preferenze dei consumatori. Dai «risultati chiave» dell’indagine emerge che il più forte effetto (netto) di creazione di posti di lavoro sarà guidato da investimenti per facilitare la «transizione verde», la più ampia applicazione degli standard Environmental, Social, Governance – in acronimo ESG[iii] – e una localizzazione sempre maggiore delle catene di fornitura. In generale, si ipotizza che a livello globale, entro il 2030, la «transizione verde» potrebbe creare 30 milioni di posti di lavoro nel settore dell’energia pulita, efficienza e tecnologie a basse emissioni – green jobs –. Il Future of Jobs Report, poi, inerentemente alla tecnologia, conferma che questa nel quinquennio 2023-2028 rimarrà un fattore chiave della trasformazione aziendale. Infatti, oltre l’85% delle aziende intervistate ha identificato nella maggiore adozione di tecnologie nuove e di frontiera, ampliando l’accesso al digitale, i fattori che con maggior probabilità guideranno la trasformazione al loro interno. Per il 75% di queste, big data,[iv] cloud computing[v] e intelligenza artificiale fanno da capolista nell’elenco delle tecnologie digitali da adottare. I dati mostrano anche l’impatto della digitalizzazione negli scambi commerciali, con l’impiego di piattaforme e-commerce e app. A un secondo livello è pure evidenziato l’impiego di tecnologie digitali per la formazione e per la forza lavoro, con l’81% delle aziende intervistate che desiderano attivarle entro il 2027. L’adozione di robot, invece, compare in una posizione più bassa nella lista. Guardando nello specifico la creazione e la distruzione di posti di lavoro, si evince che l’analisi dei big data – big data analytics –, la crittografia – encryption – e la cybersecurity, dovrebbero essere i principali «motori» della crescita occupazionale. Anche l’intelligenza artificiale è vista come portatrice di significative perturbazioni nel mercato del lavoro, con un sostanziale numero di aziende che prevede una perdita di posti di lavoro in alcuni settori controbilanciata dalla crescita di occupazione in altri, mantenendo comunque un saldo positivo. Inerentemente alla cosiddetta intelligenza artificiale generativa si può osservare una particolare attenzione, con l’affermazione che il 19% della forza lavoro potrebbe vedere oltre il 50% dei propri compiti da essa automatizzati: alcune posizioni decretano una riduzione dell’occupazione, altre, invece, auspicano migliorie nel lavoro. Invece, riguardo l’impiego di robot, siano essi umanoidi o meno, emerge prepotentemente la posizione di una ricaduta negativa sull’occupazione. È di utilità, tuttavia, mettere a margine di quest’ultima previsione – distopica – che: «più si usano robot, più aumenta l’occupazione in termini di attività complementari». Si tratta di un’affermazione confermata da uno studio italiano,[vi] che evidenzia il fenomeno del reinstatement effect – effetto di reintegro –. Automazione e nuovi compiti, quindi; ovvero, come la tecnologia sposta e reintegra lavoro.
Secondo il Future of Jobs Report, i fattori chiave della prevista distruzione (netta) di posti di lavoro vanno individuati essenzialmente nel rallentamento della crescita economica, nell’aumento dei costi di produzione e nell’aumento del costo di vita dei consumatori.
Allo scenario previsto dal Future of Jobs Report va aggiunta la valenza della gig economy. Si tratta di un modello economico basato sul lavoro a chiamata – on demand – che si affida a un «esercito di forza lavoro» freelancizzato, parcellizzato e flessibile. Un modello che ha acquisito in questi anni un ruolo sempre maggiore nelle dinamiche aziendali, sia nei paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo. Un modello nel quale la domanda e l’offerta di lavoro s’incontrano sempre più su apposite piattaforme digitali. Queste non si limitano a essere «luogo di contatto» tra lavoratori e consumatori: spesso le stesse prestazioni di carattere digitale vengono erogate in esse; sono pure impiegate per definire gli standard della prestazione, elargire il compenso e, a seconda della prestazione in esame, a monitorare l’attività lavorativa, nonché a giudicarla attraverso «voti» e «recensioni» utili a definire il rating del lavoratore. La gig economy è da inquadrarsi nel cosiddetto capitalismo delle piattaforme, che rappresenta un modello d’impresa (e quindi di rapporto tra capitale e lavoro) per disegnare nuove tipologie contrattuali, con la riduzione di costi per l’impresa. «La gig economy è un modello che “vede da un lato l’impresa, che definisce i modi e tempi della prestazione; dall’altro il lavoratore, su cui ricade il rischio maggiore, in quanto è il titolato a mettere a disposizione i mezzi e le risorse per il lavoro: il mezzo di trasporto, il cellulare, la casa, il proprio corpo” (Vecchi, 2017). La soggettività che si viene a definire, in linea con l’immaginario aziendale contemporaneo, è plasmata dalla retorica imprenditoriale del lavoratore free, capace di gestire in autonomia la prestazione lavorativa. Ma la realtà è ben diversa, in quanto tali prestazioni lavorative godono di pochissimi spazi di autonomia organizzativa. Esse sono soggette a rigidi protocolli aziendali, sia per quanto riguarda il rapporto con l’azienda, sia per quanto riguarda quello con la clientela. Non è l’individuo a essere al centro dell’organizzazione del lavoro, ma l’algoritmo che gestisce la piattaforma. È quest’ultima che governa i tempi e i modi della prestazione, nonché la remunerazione corrispondente, permettendo così all’impresa di gestire il lavoratore in maniera individuale e impersonale».[vii]
Per un’azione concreta: l’approccio
Si sottolinea pertanto, come sottolineato dal Santo padre, una visione generativa, capace – tra motivazione e riflessione – di promozione di accompagnamenti concreti che aiutino a comprendere il quadro occupazionale di un territorio e a coglierne le opportunità, nonché ad acquisire capacità e strumenti in modo da entrare con più competenza nell’ambito lavorativo. Occorre attivare processi capaci di coinvolgere la Chiesa, il mondo dell’istruzione, le istituzioni, il terzo settore, i sindacati, le associazioni, gli imprenditori e le aziende: «Quanto è importante pensare e progettare insieme il lavoro, senza contrapposizioni ideologiche e isolamenti sterili: non la logica delle tifoserie, ma quella della collaborazione porterà frutto. Lo farà se si guarderà alle persone concrete, non agli interessi di parte. Questo approccio comune oggi è l’unico in grado di affrontare compiutamente le grandi questioni…», e tra di esse quella del lavoro, in uscita verso una società 5.0,[viii] dove la vera evoluzione tecnologica mette al primo posto l’umano (human technology oriented model).
Tratto da Orientamenti pastorali 11(2024), EDB, tutti i diritti riservati
[i] B. Bignami, «Lavoro, come stai?», in Orientamenti Pastorali, 6(2024), EDB, Bologna 2024.
[ii] https://bit.ly/3YZW3A0 (ultima consultazione: 5 novembre 2024).
[iii] Dietro l’acronimo ESG ci sono tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e incentivare l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa o di una organizzazione.
[iv] Tecnologia che permette di gestire enormi volumi di dati eterogenei per fonte e formato, per una elaborazione in tempo «reale» tesa a produrre valore per le scelte in un dato contesto.
[v] In italiano nuvola informatica. Si tratta di risorse hardware e software – in generale, servizi – erogabili via internet. Questo segna il passaggio da risorse on premise (in loco) a on demand (su richiesta, da remoto).
[vi] Stop worrying and love the robot: An activity-based approach to assess the impact of robotization on employment dynamics. Lo studio, pubblicato il 5 maggio 2021, considera dati riguardanti il periodo 2011-2018; è stato curato dai ricercatori dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (INAPP) dell’Università di Trento e dell’Istituto di statistica della provincia di Trento (ISPAT): https://bit.ly/3YMqJ6u (ultima consultazione: 4 novembre 2024).
[vii] D. Foresi, Gig economy, il lavoro al tempo delle piattaforme digitali, https://bit.ly/4hK7EuA (ultima consultazione: 5 novembre 2024).
[viii] Il concetto è stato introdotto dal governo giapponese nel 2016.