Domenico Sigalini – presidente del COP

Nel mio lavoro pastorale con i giovani ho collaborato abbastanza da vicino, nel senso delle iniziative da lui proposte, con Giovanni Paolo II, e mi ero dovuto documentare sulle eventuali proposte simili già presenti nelle iniziative dei papi precedenti, e avevo visto che Paolo VI era stato il vero iniziatore di un invito pressante ai giovani di Roma prima, e in seguito a tutti i giovani, perché facessero una giornata con lui in piazza San Pietro alla domenica delle Palme. Questa fu l’inizio delle giornate mondiali della gioventù.

Il contesto non poteva che essere liturgico e quindi legato in termini sempre nuovi e pensati ai due momenti più evidenti della celebrazione:

  • la processione delle Palme, che occupa nell’omelia di Paolo VI lo spazio e lo spunto principale: i giovani sono coloro che fanno festa a Gesù, lo testimoniano come messia a tutta la gente. È il contesto liturgico, biblico, in cui i giovani sono stimati come ospiti di riguardo;
  • la proclamazione e memoria della passione e morte di Gesù e la liturgia eucaristica, cui viene continuamente orientata la vita dei giovani.

È interessante ed evidente sempre un tratto pedagogico di Paolo VI, che non dà niente per scontato e aiuta i giovani a capire il perché del suo invito, della loro presenza, la freschezza della loro vita e la ricchezza e il significato profondo della liturgia. Sapeva che i giovani erano piuttosto estranei a questo mondo simbolico e li aiutava a sentirsi soggetti di un nuovo incontro con Cristo.

Entro tale riferimento ai vangeli della liturgia, Paolo VI offre i suoi insegnamenti che si articolano generalmente così:

  • una descrizione verace, non censoria né prevenuta e nemmeno compiacente del mondo giovanile (pensiamo al ’68);
  • la lettura in profondità delle domande esistenziali dei giovani;
  • la proposta della centralità di Gesù e la contemplazione di lui che si erge come messia, vivo anche oggi, attraverso meravigliose, concentrate e dense piccole cristologie;
  • l’invito alla testimonianza, richiamando i giovani alle loro qualità e alla necessità di un vivo slancio comunicativo, declinandone qualche modello.

Nel corso di questi 14 interventi, Paolo VI ha dovuto fare i conti con due esecrabili delitti: quello di Martin Luther King e nel 1978 l’assassinio della scorta e di Aldo Moro.

Le GMG sono nate qui. Alla morte di Paolo VI per un po’ si stette a vedere, soprattutto si percepiva un’aria di sfiducia riguardo ai grandi raduni dei giovani da parte anche dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II, poi finalmente per l’audacia del papa a partire dal 1984/85 assunsero quella forma e quel ruolo che ancora oggi, con gli apporti di papa Benedetto XVI e di papa Francesco, tengono banco. Dopo una sorta di prova nella Pasqua del 1984 a Roma, Giovanni Paolo II, contro il parere dei suoi collaboratori diretti, ne indisse quella che poi passò per essere la prima nel 1985, e subito dopo ci fu quella a Buenos Aires. Già in queste si cominciavano a percepire i veri significati che vanno molto oltre l’avventura, lo stare assieme, lo stesso pellegrinaggio. Sicuramente sono il contrario del rave party e delle movide, ma una esperienza corale di fede esplicitata, e in seguito approfondita e comunicata a tutto il mondo giovanile, alle amicizie, ai compagni di scuola, nei luoghi di lavoro e non solo negli ambienti parrocchiali. Certo, la componente ludica, di gioco, di gioia, di «casino», che i giovani sanno sempre sprigionare, non doveva mai nemmeno essere impedita, ma esaltata, caratterizzata da un nuovo modo di esprimere la fede al cospetto del mondo e dei mondi giovanili. Fin dalle prime GMG si poteva intuire che i giovani ne diventavano protagonisti assieme al papa, dialogando ad alta voce con lui, esprimendo i propri dubbi, i propri sentimenti di adesione e di ascolto pensieroso e attivo. Interessante a questo riguardo quella di Roma 2000, quando il papa si era un poco allungato nella sua meditazione e percepì la difficoltà dei giovani a seguirlo e dichiarò a tutti che si sarebbe portato presto alla conclusione, con un dialogo serrato con tutta l’assemblea dei due milioni di giovani di Tor Vergata.  Venne poi anche il tempo dell’organizzazione più precisa, preceduta da una vera preparazione dei giovani sia a livello parrocchiale che diocesano, come sta avvenendo oggi per Lisbona. Si tratta di prepararsi spiritualmente, perché una GMG è un fatto giovanile sicuramente, ma anche della fede giovanile, del loro rapporto con Gesù e nella Chiesa. Il papa voleva anche che ci fosse una manifestazione di fede al cospetto delle istituzioni pubbliche, nelle norme di uno stato civile.

Non sempre le varie nazioni capivano e interpretavano bene il senso delle GMG. Ricordo quella di Denver negli Stati Uniti in Colorado nel 1993. Vi parteciparono 14.000 italiani, 7.000 accompagnati dal Servizio nazionale di pastorale giovanile appena costituito, e 7.000 organizzati dal Movimento neocatecumenale. Come sempre, il Servizio nazionale della pastorale giovanile faceva un pellegrinaggio qualche mese prima per – dicevo io – «sapere di che morte dovevo morire». Il primo impatto con l’organizzazione della GMG di Denver fu di farmi vedere dieci bare di plastica nera, già pronte, perché si pensava che occorresse prepararsi al peggio. Papa Giovanni Paolo II ne era rimasto molto male e continuava a dire che i giovani delle GMG non avevano intenzione di fare violenze. Sulla spianata degli incontri internazionali con circa 800.000 giovani, volava avanti e indietro un aereo da pubblicità con scritto nella coda (anziché qualche pubblicità tipo Durbans o Colgate…) «stop the pope». Io intervenni a lamentarmi, e mi dissero che negli Stati Uniti c’è grande libertà di espressione; io non mi lamentavo per questa libertà, che avrei potuto lo stesso criticare e a ragione, ma perché questa libertà con un velivolo che viaggiava su una folla di giovani in caso di incidente l’avrebbe fatta pagare ai giovani, mentre lo Stato ne guadagnava in pubblicità. In Italia questi velivoli pubblicitari non volavano sulla spiaggia, ma al largo, sul mare.

Tornando a noi, dopo questa utile digressione (ce ne sarebbero tante altre interessanti), da alcuni mesi la Conferenza episcopale italiana, in accordo con Lisbona, regola le iscrizioni, come prepararsi spiritualmente all’evento e come riscoprire le motivazioni più vere per Lisbona 2023. Papa Francesco continua a spingerci all’uscita, alla testimonianza della fede nel mondo, al servizio disinteressato e generoso ai poveri, alla decisione di essere testimoni del vangelo ovunque, nelle nostre vite e nelle vite di ogni giovane. Le immagini di ogni GMG hanno sempre fatto il giro del mondo e la gente si è sempre fatta domande sul senso della vita cristiana che in esse viene veicolato e testimoniato. A questo scopo, serve sicuramente il tema scelto dal papa e approfondito in ogni diocesi e parrocchia. Il logo della GMG di Lisbona, ispirato al tema Maria si alzò e andò in fretta (Lc 1,39), ha come elemento principale la croce attraversata da un sentiero dove sorge lo Spirito Santo. È un invito rivolto ai giovani perché non stiano fermi e siano i protagonisti della costruzione di un mondo più giusto e fraterno. I giovani sono propulsori entusiasti di esperienze autentiche di fede, ne diventano missionari, cioè capaci di andare, ascoltare, condividere, imparare e poi portare, comunicare e diffondere. Chi li ferma più se non la nostra solita indifferenza e mancanza di fiducia nei loro confronti!?

Certo, noi siamo sempre legati alla quantità, ai numeri, alle chiese piene, a giovani che vanno a messa; il modo di guardare questi problemi non è però quello della quantità, ma quello della gioia, della contentezza e della coerenza al vangelo. Alle GMG c’è anche la quantità. Io c’ero alla GMG di Manila, dove eravamo quattro milioni (il papa si fece portare con un elicottero dalla sua abitazione in mare dove atterrò su una motovedetta, che lo portò a riva dove c’era il palco papale); a quella di Roma eravamo due milioni. Quello che conta però è che il vangelo cammina con le coscienze, con le buone azioni, con la compagnia all’ammalato e il sostegno a chi è rifiutato da tutti, a chi vive una pace interiore e la porta a tutti. Una esperienza come la GMG tutto questo lo semina e spesso germoglia nelle nostre vite e nei nostri percorsi quotidiani.

Molti si lamentano perché le GMG sono piene di giovani, sono feste belle, entusiasmanti, ma poi al ritorno si spegne tutto. Intanto io sono solito chiedere: ci fa così fastidio che i giovani si incontrino, facciano festa e si carichino di intenzioni belle? La vita senza festa un po’ alla volta perde significato. La festa cristiana in sé è una bella cosa e va fatta. Sappiamo tutti che poi la vita quotidiana ci chiede il conto. Saremo però più motivati ai tempi difficili se coltiviamo qualche sogno, che pure abbiamo sperimentato, e che ci ha aperto lo sguardo al di sopra delle nebbie quotidiane. Un altro raduno di giovani europei fu quello che ci invitò a predisporre san Giovanni Palo II a Loreto di fronte ai luoghi di guerra purtroppo ancora vivi in Europa, nella Iugoslavia che era stata di Tito. Invitavamo, e furono presenti, dei giovani di Paesi in guerra che avevano sicuramente fratelli o genitori ai vari fronti tra Croazia, Slovenia, Serbia, Bosnia Erzegovina. Questi giovani erano qui da noi con le loro bandiere e le portavano pure alle messe negli stadi, creando tensione. Il cardinale Pironio, che allora presiedeva la pastorale giovanile mondiale dal Vaticano, chiamò tutti i responsabili dei giovani, preti e vescovi compresi, negli spogliatoi dello stadio di Ancona e disse con energia: «Il mondo ci sta guardando se siamo capaci solo di pregare per la pace e di vivere la pace o se anche qui facciamo prove di guerra. Giù le bandiere e su le mani per pregare! E fu così; il tutto culminò con Eurhope, lo spettacolo televisivo che commosse tutto il mondo con le lacrime di due sorelle ragazzine dei luoghi di guerra. E dopo poche settimane la guerra finì, non certo tutti gli strascichi che ancora oggi sembrano riemergere tra Serbia, Kossovo, Bosnia Erzegovina. La generazione Woytjla si è costruita con tante GMG ben fatte, e abbiamo visto – eccetto i millenials, che avevano solo cinque anni – i due milioni di persone, papà, mamme, figli e figlie, che per giorni hanno occupato le vie di Roma per far visita alla sua salma. Ancora in questi tristi anni di guerra molti giovani della GMG di Roma 2000 occupano da adulti posti di grande responsabilità, di missione cristiana nella società, non solo in Italia, ma anche in tante altre nazioni. Tutto questo fa della formazione dei giovani alla fede, che noi chiamiamo pastorale giovanile, una grande esperienza nell’oggi e una larga semina di futuro.

E siamo alla nostra di Lisbona, che finalmente riprende il filo delle altre dopo la pausa forzata dal Covid19 e facciamo il ponte con quelle fatte con papa Francesco: con Rio de Janeiro 2013, al suo primo impatto con il pontificato, Cracovia 2016, Panama 2019. Torniamo in questa nostra Europa, che non ha avuto il coraggio di dirsi di origini cristiane e che sta svendendo la sua fede, la sua pace, la sua concezione di famiglia e la sua classica ospitalità, dopo aver sfruttato non poco il Terzo Mondo.