Sintesi della relazione, consegnata dallo stesso vescovo Paolo Giulietti

 

Sono numerose e varie le categorizzazioni delle componenti essenziali della comunità cristiana. Quello che interessa individuare delle dinamiche che possono consentire di declinarne il vissuto in relazione alla particolare situazione dei “piccoli centri”, caratterizzati da scarsa densità di popolazione, innalzamento dell’età media, vastità del territorio, carenza di servizi e declino economico.

In Italia sono interessati circa 4000 comuni, comprendenti quasi il 59% del territorio nazionale e il 22,5% della popolazione, con particolare concentrazione nelle aree collinari e montuose, ma con qualche significativa espansione anche nelle zone rurali delle grandi pianure. La classificazione delle aree viene effettuata dal CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) a partire dalla distanza dalle località-polo

 

Dal punto di vista ecclesiale il fenomeno non è né nuovo né circoscritto al nostro Paese: ci sono state in passato e ci sono oggi, in altri contesti, situazioni simili, descrivibili secondo due “coordinate pastorali”: la concentrazione e la prossimità:

  • la concentrazione risolve la complessità e la dispersione riunendo le persone e utilizzando tempi e spazi centralizzati;
  • la prossimità consiste nell’assecondare la dispersione, portando le risorse accanto ad ogni situazione presente sul territorio.

Naturalmente nessuna delle due coordinate si ritrova “allo stato puro”: alcune case histories possono mostrare come, in situazioni diverse, le due dinamiche vengono variamente risolte.

  • Nelle Reducciones gesuitiche in America Latina (XVII-XVIII secolo) si ha una forte concentrazione, per attivare processi educativi, pastorali, culturali, economici e sociali.
  • Nelle Pievi (sec. V-IX) la concentrazione viene temperata mediante la presenza di un sistema di chiese o cappelli.
  • Nelle parrocchie nate secondo la visione del Concilio di Trento, caratterizzate da una marcata autosufficienza, si impone il principio di prossimità, temperato tuttavia dal riferimento alla Diocesi e alla figura del vescovo.
  • La situazione dei “Cristiani nascosti” del Giappone (sec. XVII-XIX), cui per sette generazioni (250 anni) sono stati impossibili qualsiasi manifestazione pubblica della fede e qualsiasi contatto tra le comunità, al di fuori delle poche famiglie di remoti villaggi, in assenza totale di ministri ordinati, rappresenta l’assoluta prevalenza del principio di prossimità.

 

Immaginare un futuro per la comunità cristiana nelle “aree interne” implica una visione circa la risoluzione attuale del rapporto tra concentrazione e prossimità.

 

Si propone di partire dal necessario primato della concentrazione, capace di sostenere quelle dinamiche di innovazione che restituiscano alla Chiesa capacità missionaria e formativa per le nuove generazioni. Ciò richiederà individuazione di spazi e tempi “intensivi” in cui assicurare proposte di qualità, grazie a risorse materiali e umane sufficienti. Anche l’apporto delle nuove tecnologie potrà contribuire a tali dinamiche. È ovviamente necessario predisporre una nuova relazione tra Chiesa e territorio, che superi la centralità della parrocchia come intesa finora.

Ciò non significa tuttavia, abbandonare l’opportuna cura per la prossimità, non solo per il valore evangelico della “pietra scartata”, ma per valorizzare le potenzialità relazionali ed esperienziali legate ai piccoli e piccolissimi centri. A tale scopo, occorrerà istituire nuove forme e figure ministeriali dedicate alla prossimità.

 

L’operatività passa attraverso l’individuazione dei “poli” attorno ai quali organizzare la concentrazione; essi dovranno essere davvero centrali, anche rispetto ai sistemi di istituzioni, trasporti e servizi, con una sufficienza consistenza demografica, con la presenza di ministri ordinati e di ministerialità laicale, con una sufficiente articolazione ecclesiale (associazioni, opere, religiosi…) e dotazione strutturale. Una volta individuati i poli, si dovrà investire sulla loro adeguatezza, anche ripensando l’assetto del patrimonio ecclesiale sul territorio.

 

Ciò implica la redazione di un progetto, capace di supportare una riforma che deve essere profonda e rapida più che altrove (degrado assai veloce) e che guidi e non  subisca le mutazioni, orientando la Chiesa alla missione. Servono scelte decise, anche se faticose, con “gradualità impaziente” e attenzione alla complessità.

 

Potrebbe esser molto utile, in questi anni di ricerca e riforma, un osservatorio-laboratorio, che faccia monitoraggio delle tante esperienze in atto, le valuti e ne selezioni le migliori, standardizzandole affinché siano replicabili, e magari che accompagni chi desidera attivarle.

 

Un’ultima questione è relativa al tema delle alleanza, poiché – come si è visto – Le aree interne non sono solo una questione ecclesiale-pastorale:

  • con la scuola, per una cultura orientata al rimanere;
  • con le istituzioni, per servizi sufficienti e diffusi;
  • con le associazioni, per una comunità solidale;
  • con le aziende, per una formazione che dia ai giovani opportunità.