Pier Giuseppe Accornero, sacerdote, giornalista, scrittore

«27 maggio 1931. Vado in udienza dal papa: riferii i tormenti e le persecuzioni cui erano costretti i nostri giovani. “Sì – mi rispose – il momento è delicato. Ma non vi è niente di temibile che avvalori le sue supposizioni. Il nunzio è stato ricevuto dal governo e ha avuto assicurazioni”».

Mentre Angelo Raffaele Jervolino, presidente dei giovani cattolici, viene confortato da Pio XI, il ministro dell’Interno e capo del governo Benito Mussolini ordina ai prefetti di «sciogliere tutte le associazioni giovanili non dipendenti direttamente dal Partito nazionale fascista e dall’Opera nazionale Balilla». Sedi dei circoli sigillate; beni e documenti sequestrati; elenchi degli iscritti passati al vaglio. Il 3 giugno l’agenzia «Stefani» informa che l’ordine di scioglimento è stato eseguito «senza il minimo incidente» e un comunicato del PNF proclama «di non tollerare che sotto qualsiasi bandiera, vecchia o nuova, l’antifascismo superstite trovi rifugio e protezione».

Novant’anni fa, il 29 giugno 1931, Pio XI promulga l’enciclica «Non abbiamo bisogno. Per l’Azione cattolica» in risposta «alle calunnie dei fascisti» e per ribadire che essa «non è un movimento politico» e che «il fascismo vuole sottrarre la gioventù alla Chiesa, una violazione del diritto delle anime e del diritto della Chiesa». Appassionata la difesa; energica la protesta per le vessazioni contro quella che il papa considera «la pupilla degli occhi». In Italia e nel mondo si sa della durissima repressione – violenze, intimidazioni anche blasfeme, perquisizioni, sequestri, vandalismi – per indurre l’aC a sciogliere tutte le associazioni e aggregazioni. I rapporti erano peggiorati in primavera. In aprile Mussolini, attraverso il triumviro e ambasciatore in Vaticano Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, presenta al nunzio in Italia mons. Francesco Borgoncini Duca una protesta con l’accusa all’AC di essere politicizzata e alla stampa cattolica di non conformarsi alle direttive del regime. Il nunzio respinge la nota. Alle questure arriva l’ordine di chiudere i circoli. Il 3 giugno l’episcopato piemontese in una lettera collettiva esprime solidarietà al Pontefice nel conflitto con il governo e dirama le disposizioni della Santa Sede.

Mussolini non mette in conto la reazione immediata del focoso Pio XI: «Si può domandarci la vita, ma non il silenzio quando si fa scempio di quello che forma la predilezione vivissima del nostro cuore. Scempio perché preparato da una campagna di stampa a base di invenzioni, irriverenze, calunnie e da una campagna di piazza e di strada fatta di indecenze, sopraffazioni, violenze di molti contro pochi e sempre inermi figli e figlie nostri». Il 1° giugno Pio XI convoca i cardinali e, tramite «L’Osservatore Romano» – unico giornale libero – ordina di sospendere per protesta tutte le processioni del 4 giugno, festa del Corpus Domini. Jervolino e i dirigenti delle associazioni cattoliche sono ospitati, per sicurezza, in Vaticano. Ai cardinali il 18 giugno Papa Ratti denuncia fatti estremamente gravi e ordina al nunzio di protestare contro il governo. Il 22 giugno il papa parla ad allievi e professori di Propaganda Fide. «Un discorso violentissimo nel quale è successo l’irreparabile», riferisce De Vecchi. Non è finita. A fine del mese – ricorda Jervolino – «Pio XI per tre giorni rimase chiuso nella sua biblioteca e scrisse di suo pugno interamente, in italiano e non in latino, l’enciclica “Non abbiamo bisogno”» recapitata dai nunzi alle cancellerie e pubblicata da «L’Osservatore» il 5 luglio.

«Non abbiamo bisogno di annunciare a voi, venerabili fratelli, gli avvenimenti che in questi ultimi tempi hanno avuto luogo in questa nostra Sede episcopale romana e in tutta Italia, avvenimenti che hanno avuto così larga e profonda ripercussione in tutto il mondo, in tutte le diocesi d’Italia e del mondo cattolico. Si riassumono in poche e tristi parole: si è tentato di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre di più caro al nostro cuore di padre e pastore di anime. Esprimiamo la penosa sorpresa di vedere perseguitata e colpita l’Azione cattolica». Il documento, ripreso dalla stampa mondiale, ripercorre gli avvenimenti; ricorda la protesta contro «la campagna di false e ingiuste accuse» che precede lo scioglimento; denuncia i metodi polizieschi e brutali, come se si procedesse contro «una pericolosa associazione a delinquere anziché contro giovani e fanciulli dei migliori tra i buoni»; controbatte «le falsità e le calunnie» della propaganda; condanna l’ideologia fascista «vera e propria statolatria pagana». Non solo: «Non si è tenuto nessun conto delle ripetute assicurazioni e proteste nostre, delle proteste e assicurazioni dei vescovi sulla natura e sull’attività vera e reale dell’Azione cattolica e sui diritti sacrosanti e inviolabili delle anime e della Chiesa».
Il regime accusa il colpo. La stampa fascista è violenta ma controllata per evitare la rottura definitiva. Il Direttorio fascista del 14 luglio conferma le accuse di politicizzazione e parla di «alleanza tra Vaticano e massoneria nell’ostilità allo Stato fascista», ma la situazione si allenta. Il 23 luglio 21 cardinali presenti a Roma discutono e suggeriscono al Papa la trattativa e non la rottura traumatica.

Appena due anni dopo la Conciliazione (11 febbraio 1929), l’intesa tra Santa Sede e regime rischia di saltare. Il Concordato aveva salvaguardato le organizzazioni cattoliche, purché non uscissero dalle sacrestie, ma dietro le prepotenze fasciste emerge l’inconciliabilità di fondo sulla «questione educativa» che la Chiesa non può accettare che sia gestita da «una statolatria pagana». L’enciclica non mette in discussione le intese raggiunte; non condanna il partito e il regime come tali; si sofferma su quanto è incompatibile con la dottrina della Chiesa; denuncia il fascismo che incita «all’odio, alla violenza, all’irriverenza»; si occupa del giuramento richiesto per la tessera fascista, condizione necessaria per il lavoro, la carriera, il pane, «una formula che anche a fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che possono condannare i diritti della Chiesa e delle anime?».

In agosto le questure cominciano a restituire le sedi e i documenti sequestrati, grazie anche all’intervento del cardinale Pietro Gasparri, già segretario di Stato, che induce Mussolini a minore intransigenza. Il gesuita Pietro Tacchi Venturi, direttore de «La Civiltà Cattolica», conduce il negoziato all’intesa del 2 settembre 1931; i circoli cattolici possono riaprire ma la loro attività è ristretta e sotto il controllo dell’autorità ecclesiastica. La Santa Sede approva i nuovi statuti dell’AC. Il 30 dicembre «L’Osservatore» informa sull’«avvenuto accordo che, stante la dichiarata soddisfazione dell’una e dell’altra parte, fa sperare che non si rinnoveranno le cause di dolore». In quelle vicende un ruolo di primo piano gioca Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, che il 16 dicembre 1929 Pio XI aveva nominato cardinale e il 7 febbraio 1930 segretario di Stato al posto di Pietro Gasparri. Ruolo determinante di Pacelli anche nelle successive encicliche di Pio XI contro il nazismo «Mit brenneder Sorge» (14 marzo 1937) e contro il comunismo ateo «Divini Redemptoris» (19 marzo 1937).

A Torino il presidente della Giunta diocesana Gustavo Colonnetti deve dimettersi dal Partito popolare e continua a essere attaccato dai fascisti. Alcune sedi sono oggetto di violenze squadristiche, prima dello scioglimento del 1931. Alla guida della Gioventù cattolica va Luigi Gedda e il regime perseguita gli esponenti più noti Carlo Trabucco, Federico Marconcini e Andrea Guglielminetti.