Francesco Coccopalmerio – presidente emerito del Pontificio consiglio per i testi legislativi

Il bene della Chiesa che cosa è? Il bene della Chiesa consiste negli interventi operativi idonei a risolvere la situazione della Chiesa nel modo più adeguato. In questo senso, il pensiero dei fedeli su ciò che riguarda il bene della Chiesa ha un duplice contenuto: la conoscenza della situazione della Chiesa e la individuazione degli interventi idonei a risolvere tale situazione. La manifestazione ai pastori del pensiero dei fedeli fa anch’essa un duplice contenuto: comunicare la conoscenza della situazione della Chiesa e insieme l’individuazione degli interventi idonei a risolvere tale situazione,

Abbiamo qui due soggetti: i fedeli e il pastore, che ricercano, e quindi conoscono quale è il bene della Chiesa, per poi dargli attuazione.

Da una parte, i fedeli ricercano e quindi conoscono quale è il bene della Chiesa, manifestano al pastore il loro pensiero, allo scopo di aiutarlo ad aumentare oppure a migliorare la sua conoscenza di quale è il bene della Chiesa.

D’altra parte, il pastore riceve dai fedeli la conoscenza del loro pensiero. A quale scopo fa questo? Ancora ovviamente lo fa al medesimo preciso scopo di aiutare se stesso ad aumentare oppure a migliorare la sua conoscenza, di quale è il bene della Chiesa.

E, allora, è evidente che per questo reciproco scambio, quello di comunicare da parte dei fedeli e quello di ricevere da parte del pastore la conoscenza del bene della Chiesa, si instaura tra fedeli e pastore una comunicazione operativa, una attività congiunta.

Possiamo dunque definire così la sinodalità ecclesiale: comunione di pastore e fedeli nel compiere l’attività di ricercare e quindi conoscere quale è il bene della Chiesa per arrivare ad assumere la decisione di dare attuazione al bene stesso. Nel nostro particolare caso: comunione di parroco e fedeli nel compiere l’attività di ricercare e quindi conoscere qual è il bene della parrocchia per arrivare ad assumere la decisione di dare attuazione al bene stesso.

E possiamo ancora felicemente rilevare: la comunione operativa, l’attività congiunta di fedeli e parroco avviene in modo concreto nel consiglio pastorale parrocchiale, che è per tale motivo una struttura di sinodalità ecclesiale.

E qui si ha a che fare con due schemi, quello del consultivo e quello del deliberativo.

Lo schema del consultivo prevede la presenza di due soggetti, i fedeli e il pastore. Questi due soggetti sono però tra loro distinti.

Lo schema del deliberativo prevede la presenza degli stessi soggetti, i fedeli e il pastore. Questi due soggetti non sono più – come erano nello schema del consultivo – tra loro distinti. Costituiscono invece un unico soggetto.

Per tale motivo, fedeli e pastore, insieme, ricercano e quindi conoscono quale è il bene della Chiesa e insieme compiono l’atto di decisione di dare attuazione al bene stesso.

Il pastore ha, nel soggetto comunionale deliberante, una posizione superiore, dal punto di vista gerarchico, a quella degli altri fedeli, ha, cioè, la posizione di capo.

La condizione di superiorità gerarchica, cioè la posizione di capo, determina che la presenza del pastore sia essenziale per l’essere del soggetto comunionale deliberante; in altre parole, non esiste, né può esistere, un soggetto comunionale deliberante senza la presenza del pastore nella sua qualità di capo.

Dobbiamo ora logicamente affermare che il voto del pastore ha un valore superiore a quello del voto degli altri fedeli.

Per tale motivo, la decisione del soggetto comunionale consiste nella maggioranza dei voti espressi da ciascuna delle persone componenti il soggetto stesso, nella quale maggioranza, però, deve essere contenuto il voto concorde del pastore, da lui liberamente espresso nella sua qualità di capo.

Tutto ciò precisato, possiamo facilmente constatare che l’atto di volontà-decisione è veramente compiuto non soltanto dal pastore, bensì anche dai fedeli. Anche i fedeli compiono l’atto di volontà-decisione.

Per quanto detto, pastore e fedeli sono veramente in comunione operativa, in attività congiunta, relativamente alla attività di intelligenza-conoscenza e relativamente all’atto di volontà-decisione. Per tale motivo in entrambi i momenti si attua veramente la sinodalità ecclesiale.

Il motivo di maggiore soddisfazione è il seguente: lo schema del deliberativo si dimostra pienamente coerente con l’essere e con l’agire della Chiesa.

La Chiesa, infatti, è composta dai fedeli e dal pastore in qualità di capo e la Chiesa agisce nei fedeli e nel pastore in funzione di capo. Così si verifica a tutti i livelli. A noi interessa il livello della parrocchia. La parrocchia infatti è Chiesa. È composta dai fedeli e dal parroco in qualità di capo e agisce di conseguenza nei fedeli e nel parroco in funzione di capo.

Abbiamo ancora una chiara analogia nella celebrazione della eucaristia. L’eucaristia, infatti, è celebrata dai fedeli e dal sacerdote in funzione di presidente.

Ora, nello schema del consultivo, quando il pastore compie l’atto di volontà-decisione agendo da solo, senza i fedeli, i quali dunque restano inattivi, si rompe patentemente l’unità della Chiesa nel suo agire.

E, invece, nello schema del deliberativo, l’unità della Chiesa è pienamente conservata, anche nel suo agire, e ciò sino alla fine.

E, pertanto, possiamo affermare che secondo lo schema del deliberativo la sinodalità ecclesiale risulta attuata in modo completo e perciò soddisfacente.

 

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