Andrea Turchini – rettore del seminario di Rimini

A partire dal concilio Vaticano II, per custodire l’esperienza di grazia vissuta in quegli anni di «convocazione permanente», la Chiesa ha intrapreso la via della sinodalità che, per i primi decenni, ha riguardato prevalentemente i vescovi. E in seminario? 

In Italia quando si parla di seminario, è sempre bene cercare di comprendere la configurazione concreta della comunità formativa, perché il titolo di «seminario» viene attribuito sia a comunità molto ampie e strutturate, che a comunità molto piccole e di dimensioni quasi famigliari.

È importante mettere in evidenza questo dato: una buona metà dei seminaristi in formazione hanno un’età adulta, sono già laureati e vengono da esperienza lavorative.

Il seminario «di un tempo» era pensato per degli adolescenti, molti dei quali venivano da un percorso vissuto in seminario dalle scuole medie. Il seminario «di oggi», invece, ha una buona componente di adulti, di persone che vengono da esperienze formative importanti e da ruoli di responsabilità lavorativa ed ecclesiale significativi.

La nostra azione formativa è fondata su tre assunti fondamentali che determinano e caratterizzano lo stile e l’orizzonte della nostra proposta.

  • I seminaristi sono persone adulte e come tali devono essere considerate.
  • La responsabilità personale di ogni seminarista, sia verso il proprio percorso formativo, che verso gli altri, viene considerata da noi formatori sia la condizione per una formazione efficace, che elemento di verifica circa il progresso del percorso.
  • La formazione del seminario non può essere solo funzionale al ministero che i seminaristi vivranno un domani; per essere efficace e incidere sul vissuto della persona essa deve essere significativa nell’oggi, deve aiutare ognuno a vivere in pienezza questo oggi, perché questo è il kairos in cui il Signore chiama ognuno a seguirlo e a conformare a lui la propria vita.

Un elemento importante della vita comune è la strutturazione e organizzazione del tempo. Occorre trovare un equilibrio che consenta alla vita comune di essere significativa, ma non asfissiante. Non è affatto scontato che chi vive in seminario abbia fatto la scelta della vita comune secondo il vangelo. Per alcuni seminaristi essa rischia di essere subita come una condizione inevitabile. Il pericolo dell’individualismo è di casa anche in seminario.

Nel settembre del 2020, nei primi incontri con i seminaristi, noi formatori abbiamo scelto di organizzare tutti insieme la nostra vita comune.

Potremmo definirla una prima esperienza sinodale in seminario, che cercava di uscire dalla logica del «si è sempre fatto così», richiamato dalla Evangelli gaudium al n. 33 come la premessa di una riforma della Chiesa in chiave missionaria.

Quando abbiamo iniziato la nostra esperienza formativa, nel settembre 2020, eravamo in piena emergenza Covid, caratterizzata dalle successive ondate di contagio.

Ovviamente la situazione era inedita e nessuno sapeva bene come ci si dovesse comportare. Era il tempo delle zone colorate. La sfida maggiore per noi era scegliere se rimanere chiusi in seminario, preservando il più possibile la comunità dal contagio, oppure rischiare il contagio continuando il nostro servizio nelle parrocchie, lì dove ancora si riusciva a proporre qualcosa ai bambini e ai ragazzi, affiancando i preti, gli educatori e i catechisti che ancora erano disponibili.

Sono stati confronti difficili, che hanno chiesto molto tempo e fatica nel confronto. La posta in gioco era alta e la scelta di uno poteva condizionare tutti con lunghi tempi di quarantena e rischio di ammalarsi.

Sono stati giorni di fatica e di tensione, per comporre le diverse sensibilità e accogliere i timori che ognuno aveva il diritto di condividere con i formatori o con la comunità. Attraverso lo stile sinodale, scelto fin dall’inizio dell’anno, abbiamo cercato di far sentire ognuno responsabile delle scelte che avevamo assunto insieme, senza che nessuno si trovasse a subirle passivamente.

Al di là dell’emergenza Covid e delle vicende molto provocanti che abbiamo attraversato in quei mesi, lo stile sinodale che avevamo scelto andava alimentato anche nella vita ordinaria che ha caratterizzato maggiormente l’anno 2021-2022. Ciò che si era iniziato andava custodito e fatto crescere.

Nel nostro cammino comunitario in stile sinodale abbiamo avvertito fin dall’inizio l’esigenza di un appuntamento settimanale in cui si verificava insieme quanto avevamo vissuto e si prendevano insieme decisioni su quanto veniva proposto per il tempo successivo.

Questo appuntamento settimanale è riconosciuto da tutti come molto importante e viene custodito dalla sovrapposizione di altri impegni. Ovviamente la ricorrenza settimanale è impegnativa e a volte rischiamo di essere un po’ sbrigativi nel confronto.

Mi è stato chiesto dalla redazione come si formano in seminario i futuri presbiteri a uno stile sinodale. Devo ammettere che non so rispondere a questa domanda.

Siamo convinti che la formazione (diversa dall’istruzione) avvenga soprattutto per via esperienziale. Per questo abbiamo scelto di dare alla vita ordinaria della nostra comunità uno stile sinodale, perché possa essere sperimentato insieme, con le sue fatiche e i suoi limiti, e possa essere scelto come stile di esercizio del ministero.

 

L’articolo completo su Orientamenti Pastorali 9/2022 (EDB – tutti i diritti riservati)