Fortunato Ammendolia – informatico, studioso di pastorale digitale, intelligenza artificiale ed etica, docente invitato in istituzioni accademiche

«Mettere in comunione più che in rete». È questo lo slogan che dal 2014 segna la prassi Pastorale Digitale 2.0, declinazione di pastorale digitale della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. Uno slogan, profetico, coniato dal vescovo diocesano Gerardo Antonazzo. Con Pastorale Digitale 2.0 si è di fatto passati dall’informare, che passa attraverso il Web, a una comunicazione onlife, dal cosiddetto sito vetrina del Web 1.0 al far partecipare e coinvolgere le persone in termini di vita di fede o, più largamente, a promuovere dialogo. È questa la genesi di un processo che è opportuno introdurre con una «visione» – quella di tre giovani studenti universitari poco più che ventenni – e un «sogno» – quello di una Chiesa locale e del suo vescovo –. Partiamo dalla «visione», che graffiamo da un libro in cui l’esperienza è stata messa in narrazione. Riccardo Petricca scrive: «Correva l’anno 1998. Era il mesozoico informatico: si iniziavano a diffondere i primi personal computer con Windows; Google non era stata ancora fondata e Facebook non esisteva nemmeno nella mente di un bambino di nome Mark Zuckerberg. In un tiepido sabato pomeriggio di primavera (tre giovani universitari di ingegneria) organizzarono un incontro dal titolo: “Utilizzo di internet nella Chiesa”. Dopo una breve spiegazione dal punto di vista tecnico/informatico e di cosa fosse internet e di come si utilizzasse, si iniziò a parlare delle sue possibili applicazioni in ambito ecclesiale. Si iniziò a parlare di netiquette e soprattutto della creazione di stanze virtuali in cui discutere di religione, fare pastorale e, in particolare, coinvolgere giovani che erano gli abitanti di questo nuovo mondo virtuale chiamato cyberspazio. Fu quello probabilmente il peggiore degli incontri mai visti e organizzati. Molti andarono via dopo pochi minuti, non comprendendo […] di cosa si stesse o si volesse parlare. Qualcuno che intuì l’argomento rimase scandalizzato da quei pazzi visionari …».[1] Queste parole, rilette oggi alla luce del documento Comunicazione e missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali (CEI, 2004), ci permettono di affermare che in quei tre giovani ingegneri c’erano già i tratti caratteristici dell’animatore della comunicazione e della cultura (= AniCeC, figura che la CEI nella scheda n. 3 dello Strumento di lavoro per la fase profetica del cammino sinodale delle chiese in Italia, ha rimesso in evidenza).[2] L’AniCeC, con il genio della fede, incoraggia e aiuta la propria comunità ad ascoltare gli odierni contesti culturali e a ripensare ed esprimere in essi l’annuncio del vangelo; è attento ai linguaggi della cultura mediatica, senza perdere di vista i codici comunicativi religiosi; nel suo agire educa alla relazione autentica accogliendo gli altri, considerandone la vita, rendendoli protagonisti. Uomo della consapevolezza integrale, tiene insieme tecnica e fede.[3] In quel sabato pomeriggio del 1998, quei tre giovani di cui si parla nel testo di Petricca, non ebbero sorte migliore dell’apostolo Paolo nell’areòpago di Atene: anche il loro fu un apparente fallimento, ma piuttosto una «visione» che sedici anni dopo avrebbe incrociato un «sogno».

Si è parlato di «sogno» di una Chiesa locale e del suo vescovo, reso bene dalla frase «unità nella diversità» e ritrovato nelle parole del vescovo Gerardo Antonazzo: «Ritorno con la mente al 23 ottobre 2014, giorno in cui è stata eretta la diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo. Per questa Chiesa locale il valore della sinodalità è andato di pari passo con l’urgenza di integrare le parrocchie provenienti dall’abbazia territoriale di Montecassino con quelle della diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo. Direi che la pastorale digitale ha contribuito in modo rilevante alla conoscenza del più vasto territorio, promuovendo l’integrazione attraverso una forma di “esplorazione” e di “accoglienza” delle rispettive risorse ecclesiali, caratterizzata dal racconto digitale». Il presule evidenzia che la prassi Pastorale digitale 2.0 – la cui piattaforma informatica è costituita da un sito[4] e social opportunamente integrati – è una forma di «autobiografia» della Chiesa locale: «Ha educato e continua a educarci “al noi” aprendo la “parte” al “tutto”». Ciò è già evidente in quell’area del sito ufficiale della diocesi che ne racconta la vita con parole e immagini, piattaforma in cui ogni comunità particolare o realtà presente in diocesi può narrare di sé e condividere con l’intera Chiesa locale le proprie esperienze: per Antonazzo, «è la stessa possibilità di partecipare a questa espressione digitale della diocesi a destare e a far crescere il senso di appartenenze a un’unica Chiesa».

Pastorale digitale 2.0 è tesa sempre più a implementare un uscire in senso pieno – con misericordia e aprendo alla speranza –, ovvero a essere presenza che diviene ascolto delle differenze, dialogo, prossimità-missione. Nell’orizzonte della formazione alla sinodalità e alla corresponsabilità questa prassi ha fatto sua l’affermazione di Francesco: «L’accesso alle reti digitali comporta una responsabilità per l’altro, che non vediamo ma è reale, ha la sua dignità che va rispettata. La rete può essere ben utilizzata per far crescere una società sana e aperta alla condivisione».[5] Il vescovo Gerardo afferma: «Pastorale digitale 2.0 provoca opinione e ne permette l’espressione. Partecipa, cioè, allo sforzo di una Chiesa che, a ogni costo, desidera essere sempre più “di popolo”, coinvolgendo le persone e coinvolgendosi nella loro vita reale».

Ho posto al vescovo Gerardo questo interrogativo: «Dallo sbilanciamento nel digitale di “spazi della vita pastorale” che in modo diffuso ha preso forma nel tempo del lockdown, agli emendamenti del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, e in attesa degli emendamenti del cammino sinodale delle Chiese in Italia, in quale orizzonte e priorità andrebbe inquadrata la prassi della pastorale digitale diocesana dell’immediato futuro?». Questa la sua risposta: «Occorre essere capaci di “novità”, mossi dalla speranza», e, citando qualche passaggio di una sua lettera alla comunità diocesana, ha evidenziato che: «senza la profezia nessuna storia, né personale né comunitaria, potrebbe diventare “storia di salvezza”. La profezia biblica è sempre orientata a un futuro di speranza: a partire da un processo di revisione e ripensamento della storia; si può intravedere l’apertura a un diverso futuro, facendo tesoro dell’immaginazione, della creatività e dell’iniziativa provocate dallo Spirito di Dio. C’è una profezia che la Chiesa esercita sul mondo, e c’è una profezia che la Chiesa deve esercitare su sé stessa. E quest’ultima, mi sembra, la priorità…». Quindi, il presupposto fondamentale per l’autenticità e la fecondità di una riforma pastorale è trasformarsi rinnovando il modo di pensare. Da questa trasformazione può nascere una diversa forma di Chiesa, anche delle sue strutture istituzionali. Infatti: «solo da questa profondità può emergere una forza che, invece di conformarsi in modo passivo e acritico al mondo o di proporre “guerre culturali” perse in partenza contro di esso, può anche contribuire a plasmare e coltivare questo mondo. Per ogni riforma è necessario chiedersi quali siano le sue fonti teologiche e spirituali e se ci siano persone in grado di comprenderle, accettarle e metterle in atto».[6]

Si è così evidenziata l’urgenza espressa dall’inscindibile trinomio «formazione, comunione, corresponsabilità», da collocarsi nel solco tracciato dal n. 147 del documento finale del Sinodo 2021/2024,[7] nella consapevolezza che la ricaduta in termini di pastorale digitale non è mai da intendersi come strumentale – cioè in un «attrezzarsi» per l’utilizzo di nuove modalità divulgative capaci di capillarità –, ma più propriamente come attivazione di opportuni processi in una Chiesa che è chiamata e ripensare il suo essere missione nella condizione onlife dell’esistenza dell’uomo, e più largamente del creato. Pastorale digitale 2.0, quindi, dovrà attivare processi in questa direzione, e si potrà parlare più propriamente di Pastorale digitale 3.0, visto il suo rafforzarsi in termini di tecnologia di comunità (capacità delle tecnologie digitali di ricostruire una comunità concreta[8]).

Tratto da Orientamenti Pastorali n.4(2025), EDB. Tutti i diritti riservati.

[1] R. Petricca, Pastorale digitale 2.0, Gruppo Albatros Il Filo, 2015, p. 15.

[2] Cf. F. Ammendolia, «Per una Chiesa che si ripensa onlife: proposta di lettura della scheda n. 3 per la fase profetica», in Orientamenti Pastorali, 1-2(2025), EDB, p. 89-96.

[3] «Quanto mai urgente appare quindi individuare nuove figure di animatori nell’ambito della cultura e della comunicazione che affianchino quelle ormai riconosciute del catechista, dell’animatore della liturgia e della carità. In questo campo servono operai che, con il genio della fede, sappiano farsi interpreti delle odierne istanze culturali, impegnandosi a vivere questa epoca della comunicazione non come tempo di alienazione e di smarrimento, ma come tempo prezioso per la ricerca della verità e per lo sviluppo della comunione tra le persone e i popoli. La loro azione da un lato dovrà svilupparsi verso chi è già attivamente impegnato nella pastorale, per aiutarlo a meglio inquadrare il suo operato nel nuovo contesto socioculturale dominato dai media; dall’altro dovrà aprire nuovi percorsi pastorali, nell’ambito della comunicazione e della cultura, attraverso i quali raggiungere persone e ambiti spesso periferici, se non estranei, alla vita della Chiesa e alla sua missione», in CEI, Comunicazione e missione. Direttorio sulle comunicazioni sociali, n. 121.

[4] www.diocesisora.it (ultima consultazione, 24 aprile 2025). Il sito, seppur rinnovato nel dicembre 2021 con una veste grafica definita «intuitiva e accattivante», mantiene in sé quell’idea di due macro ambiti – istituzionale e vita della diocesi – che si richiamano l’un l’altro, pur avendo nella home page una visione d’insieme opportunamente strutturata. Cf. https://bit.ly/44JOYa7 (ultima consultazione, 24 aprile 2025).

[5] Francesco, Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, Messaggio per la 50a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2016.

[6] T. Halík, Quel profondo desiderio di spiritualità, Avvenire (20 settembre 2024).

[7] «La formazione sinodale condivisa per tutti i Battezzati costituisce l’orizzonte entro cui comprendere e praticare la formazione specifica necessaria per i singoli ministeri e per le diverse forme di vita. Perché ciò avvenga è necessario che questa si attui come scambio di doni tra vocazioni diverse (comunione), nell’ottica di un servizio da svolgere (missione) e in uno stile di coinvolgimento e di educazione alla corresponsabilità differenziata (partecipazione). Questa richiesta, emersa con forza dal processo sinodale, esige non di rado un impegnativo cambio di mentalità e una rinnovata impostazione degli ambienti e dei processi formativi. Implica soprattutto la disponibilità interiore a lasciarsi arricchire dall’incontro con fratelli e sorelle nella fede, superando pregiudizi e visioni di parte. La dimensione ecumenica della formazione non può che favorire questo cambio di mentalità». Francesco, Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione. Documento finale XVI della Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, Città del Vaticano 24 novembre 2024,  n. 147.

[8] Cf. P.C. Rivoltella, Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo, Atti della 71a Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, Roma, 21-24 maggio 2018.