Domenico Sigalini – presidente del COP

Chiariamo subito il nostro punto di vista e il compito che ci siamo dati in questi giorni. Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di Orientamento Pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie. Già a Padova prima della pandemia avevamo tentato un approccio al discorso delle parrocchie senza prete e ci siamo accorti che si doveva assolutamente cambiare stile di chiesa e di parrocchia. In questi giorni ci siamo ritrovati a guardare con maggior progettualità a queste piccole realtà che vogliamo esplicitamente aiutare a essere comunità cristiane che seguono e annunciano Cristo. Ci siamo domandati: che tipo di comunità cristiana formano le poche famiglie che vi restano? Sono ancora la chiesa del Signore Gesù? La risposta l’abbiamo articolata su vari versanti.

  1. Dove siamo?

 Non conta tanto la risposta, ma che almeno cominci a crescere la consapevolezza della domanda. Senza consapevolezza non possiamo “prenderci cura”.

Dal 2020 in avanti abbiamo assistito a quattro grandi crisi, che sono punti di non ritorno (crisi strutturali):

1) la pandemia;

2) la crisi dell’inflazione;

3) la crisi dell’energia;

4) la guerra in Ucraina.

Queste crisi esaltano le difficoltà strutturali di lungo periodo che il nostro Paese si porta dietro:

  • difficoltà demografiche;
  • difficoltà retributive;
  • disinvestimento in termini di capitale umano;
  • propensione forte al risparmio;
  • aumento del debito pubblico;
  • crisi di rappresentanza intermedia nel territorio.

Dal titolo di questa Settimana occorre essere provocati, e comprendere che dobbiamo «fare in fretta»; non c’è più tempo. Cosa fare? Nelle “strategie per le aree interne” (nazionali e territoriali) oltre all’erogazione di risorse finanziare, occorre imparare a saper bene spendere i soldi. Occorre una “politica integrata” unitamente a strumenti di accompagnamento. Occorre “tenere insieme” le istituzioni territoriali (Chiesa compresa) dal punto di vista di un “senso” condiviso.

  1. Il vento necessario per rimettersi in volo è proprio in quella ripresa (in atto) del concetto di territorio locale.

Una Chiesa che è sempre in cammino deve mettersi in prossimità di tutti. Una progettualità è necessaria, e questa richiede ascolto, discernimento (non di settore, ma in integrazione). Quindi occorre

  • andare oltre l’idea di territorio locale come “isola”, e studiarne le connessioni con l’esterno che è il territorio che l’ingloba;
  • ridestare “senso”, “restituire” motivazioni a tutto tondo, perché ci sia “movimento”.
  1. Come Chiesa dove siamo?

Dal punto di vista ecclesiale il fenomeno non è né nuovo né circoscritto al nostro Paese: ci sono state in passato e ci sono oggi situazioni descrivibili secondo due “coordinate pastorali”: la concentrazione e la prossimità:

  • la concentrazione, riunendo le persone e utilizzando tempi e spazi centralizzati, soprattutto per la formazione, la maturazione di nuove prospettive pastorale, nuovi operatori e sostegno ai più deboli, risolve la complessità e la dispersione;
  • la prossimità, che consiste nel portare le risorse accanto a ogni situazione presente sul territorio con la volontà di rinnovarlo, ma spesso con l’effetto dell’assecondare la dispersione.

Immaginare un futuro per la comunità cristiana nelle “aree interne” implica una visione circa la risoluzione attuale del rapporto tra concentrazione e prossimità. Si propone di partire dal necessario primato della concentrazione, capace di sostenere quelle dinamiche di innovazione che restituiscano alla Chiesa capacità missionaria e formativa per le nuove generazioni. Occorre scommettere sulla qualità, con una attenzione esplicita al mondo giovanile, tempi di condivisione di vita, tempi intensivi concentrati, aggregazioni significative… Ciò non significa tuttavia, abbandonare l’opportuna cura per la prossimità, non solo per il valore evangelico della “pietra scartata”, ma per valorizzare le potenzialità relazionali ed esperienziali legate ai piccoli e piccolissimi centri. A tale scopo, occorrerà istituire nuove forme e figure ministeriali dedicate alla prossimità o valorizzare le famiglie come piccole chiese, che hanno in sé tutti i sacramenti, la parola di Dio, la vita di una famiglia cristiana normale e convinta. La famiglia non è all’anno zero nella corresponsabilità e nella educazione dei figli alla fede.

  1. Vocazione e preparazione ai ministeri dei laici al servizio delle comunità cristiane senza prete residente

Non è nuovo per noi il discorso sui ministeri, però è tempo di far rifiorire nelle nostre comunità una “ministerialità diffusa”. Il tema è di fondamentale importanza per la vita della Chiesa: infatti, non esiste comunità cristiana che non esprima ministeri. Papa Francesco che da una parte esorta ad un “attento discernimento comunitario, nell’ascolto di ciò che lo Spirito suggerisce alla Chiesa, in un luogo concreto e nel momento presente della sua vita. (…) per non rischiare che la dinamicità diventi confusione, la vivacità si riduca a improvvisazione estemporanea, la flessibilità si trasformi in adattamenti arbitrari e ideologici”. La nostra attenzione sarà rivolta ora alla proposta vocazionale dei vari ministeri, alla loro preparazione non fuori dal contesto dei poli o delle case che ospitano la “concentrazione” con l’attenzione di non far morire quella ministerialità diffusa che già la prossimità ha fatto crescere, individuato e messa all’opera.

  1. Una prossimità attiva che va sostenuta e aiutata a contaminare le nuove unità pastorali

Una comunità, se intende inserirsi nel processo di annuncio del vangelo nella cultura odierna, dovrà maturare alcuni caratteri essenziali. Anzitutto dovrà tener presente che non potrà non considerare come la diminuzione del clero sia una situazione in evoluzione che sta portando a una revisione dei soggetti pastorali. Altro carattere da maturare è la consapevolezza dei fedeli laici come soggetti attivi dell’agire pastorale. Rispondere alle sfide di oggi come comunità ecclesiale richiede l’uscire da una forma “prete centrica” e addentrarsi in una forma di Chiesa in cui il Popolo di Dio è la comunità che evangelizza. Non si tratta semplicemente di accorpare parrocchie e di ripensare alcuni incarichi tradizionalmente affidati ai sacerdoti: si tratta di iniziare un cammino di ripensamento della forma che la Chiesa ha assunto nel corso della storia. L’urgenza pastorale è cambiare il punto di partenza: non una necessità organizzativa, ma un’azione pastorale di uomini e di donne che esercitano in comunione i propri specifici carismi (ministri ordinati, ministri istituiti laici, religiosi, ministri di fatto…). Alcuni strumenti, anche normativi, ci sono (ministero del catechista, l’accolitato, il lettorato…) e il momento è favorevole.

  1. Bisogno di nuove ministerialità 

Il passaggio dalla logica della conservazione a quella della missione sarà possibile solo grazie all’inserimento di nuovi ministeri, oltre a quelli tradizionali, grazie anche a nuove forme di educazione alla fede o di servizio pastorale. Sicuramente il ministero della conduzione pastorale va ripensato in chiave sinodale superando l’asse individuale parroco-parrocchia. Qualche esperienza sta avvenendo anche in Italia: équipe ministeriali, famiglie a Km 0, gli animatori di comunità, le guide dell’oratorio … Queste nuove ministerialità non devono essere immediatamente codificate, ma subito sperimentate e non fatte morire per ministerialità imposte dall’esterno.

  1. Prete uomo “in cammino” nel territorio secondo lo Spirito; capacità di coniugare restanza e itineranza

Per un seminario che si prepara a essere luogo formativo e sostenitore dei futuri preti, anche in parrocchie senza prete residente, occorre formare un uomo capace di ascoltare! Incontrare il Signore laddove è, poiché il Signore ci precede. Un presbitero deve essere:

  • libero dal “si è sempre fatto così”;
  • capace di prendere l’iniziativa;
  • lasciarsi coinvolgere nella vita del territorio;
  • persona che accompagna, e non giudica; riconosce il bene che c’è in quella comunità;
  • persona che sappia celebrare la gioia (non moltiplicando messe, ma preparando coinvolgendo la comunità);
  • capace di relazioni (con altri preti e la gente);
  • capace di motivare azione (nel rispetto delle competenze e caratteristiche della persona), restanza e itineranza.

(Il testo completo della relazione sarà pubblicata negli Atti, in Orientamenti Pastorali di novembre o dicembre 2023)