Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?

Chiariamo subito il nostro punto di vista e il compito che ci siamo dati in questi giorni. Siamo partiti da una consapevolezza che già da tempo il Centro di Orientamento Pastorale sta vivendo e cioè della situazione delle nostre parrocchie piccole, senza prete che devono assolutamente ritrovare la vitalità ecclesiale in questo costante deperimento cui è soggetta soprattutto nei piccoli centri o paesi o parrocchie.

Già a Padova prima della pandemia avevamo tentato un approccio al discorso delle parrocchie senza prete e ci siamo accorti che si doveva assolutamente cambiare stile di chiesa e di parrocchia. In questi anni, a partire dagli incontri su tematiche legate alle aree interne del Sud  tenutisi a Benevento, si è allargata l’attenzione anche alla situazione sociale, politica, sanitaria, lavorativa di queste realtà e anche i politici sono stati coinvolti soprattutto per il loro dovere di garantire a tutti una cittadinanza effettiva.

In questi giorni ci siamo ritrovati a guardare con maggior progettualità a queste piccole realtà che noi vogliamo esplicitamente aiutare ad essere comunità cristiane che seguono e annunciano Cristo. Nessuno pensi che non ci interessiamo alla vita concreta della gente, che non ci interessa lo stato di abbandono di essa per tutti i suoi beni di prima necessità. Noi qui abbiamo voluto ridire quello che ci spetta per il fatto che siamo comunità cristiana che vuol continuare a obbedire al mandato di Cristo lasciato agli apostoli e alle prime comunità di cristiani. In questi piccoli centri spesso c’è un bel luogo per il culto, una bella chiesa, che rimane spesso chiusa,  sostenuta dalla gente del luogo, ancora molto amata e che non sa più dire il suo vero perché, il suo compito, il perché della sua presenza. Non siamo ancora alla vendita o all’utilizzo di essa in termini commerciali, ma sicuramente alla constatazione che sono inservibili, se non per le sempre più rare messe domenicali. Ci siamo domandati: che tipo di comunità cristiana formano le poche famiglie che vi restano? Sono ancora la chiesa del Signore Gesù? La risposta l’abbiamo articolata su vari versanti.

 

  1. Dove siamo?

Abbiamo iniziato facendoci una domanda seria alla cui risposta è appeso il nostro compito di prenderci cura. Dove siamo?». Non conta tanto la risposta, ma che almeno cominci a crescere la consapevolezza della domanda. Senza consapevolezza non possiamo “prenderci cura”.

Dal 2020 in avanti abbiamo assistito a quattro grandi crisi, che sono punti di non ritorno (crisi strutturali):

1.) la pandemia con il suo impatto  sulla vita del paese, sembrava passasse presto, ci siamo illusi non poco e ancora non ne siamo usciti

2.) crisi dell’inflazione, dopo più di 10 anni senza aumento dei prezzi si abbatte come uno tsunami al 10% con l’aumento dei costi improvviso

3.) crisi dell’energia, senza dipendere dall’inflazione; tutti a calmarci come se fosse un fatto passeggero, con il suo impatto sulla vita delle famiglie e dell’imprese, nonostante gli “aiuti” dello Stato, non ne siamo ancora usciti;

4.) la guerra in Ucraina, anch’essa pensata come veloce e non se ne vede ancora la conclusione.

Queste crisi esaltano le difficoltà strutturali di lungo periodo che il nostro paese si porta dietro, che sono:

  • Difficoltà demografiche (indicatori demografici sempre più negativi se avremo 100.000 bambini in meno fra tre anni, compresi gli indicatori di aree in spopolamento per ragioni diversificate);
  • difficoltà retributive; l’Italia è l’unico paese in Europa in cui non è cresciuta la retribuzione e conseguente perdita del senso di lavoro;
  • disinvestimento in termini di capitale umano; non si è investito sul mondo giovanile anche nella qualità dell’occupazione;
  • propensione forte al risparmio, con la sua ricaduta nel sociale, perché gli italiani hanno perso la speranza nel futuro (la regola è «metto via “denaro” oggi per i momenti più difficili del domani)»;
  • aumento del debito pubblico; il terzo settore, in crescita, è lasciato a stesso; difficoltà di ottenere finanziamenti… ; crisi di rappresentanza intermedia nel territorio: il “nascondersi”, in non incoraggiare tavoli di domanda e di ricerca condivisione di risposte.

Nell’ultimo rapporto Censis l’oggi è stare in uno stato di “latenza”, periodo che intercorre tra l’intercettazione della questione e la riposta. Lo stato di latenza possiamo dirlo con una metafora: «essere un clandestino nel transatlantico della storia».

Dal titolo di questa settimana occorre essere provocati, e comprendere che dobbiamo «fare in fretta»; non c’è più tempo.

Il documento Evangelizzazione e promozione umana denunciava già anni fa una perdita di contatto con la realtà; questo, oggi, è sempre più tangibile: la questione è ben più larga dal mettere sotto processo la “tecnologia”.

Come si colloca questo ragionamento con la questione delle aree interne? Quello di aree interne è concetto che trova definizione già negli anni’ 50 a partire dallo spopolamento del mezzogiorno. Oggi consideriamo una dimensione algoritmica: un’area è detta interna quando è ad un tot di minuti (almeno 27,7 minuti primi) da luoghi vitali di servizio (come scuola e sanità). A questa dimensione si aggiunge una accentuata crisi demografica.

Cosa fare? Nelle “strategie per le aree interne” (nazionali e territoriali) oltre all’erogazione di risorse finanziare (allo stato attuale difficile), occorre imparare a saper bene spendere i soldi. Occorre una “politica integrata” unitamente a strumenti di accompagnamento. Occorre un “tenere insieme” le istituzioni territoriali (Chiesa compresa) dal punto di vista di un “senso” condiviso.

 

  1. Il vento necessario per rimettersi in volo è proprio in quella ripresa (in atto) del concetto di territorio locale.

Una Chiesa che è sempre in cammino, deve mettersi in prossimità di tutti, in un impegno – applicazione quotidiana. Certo una progettualità è necessaria, e questa richiede ascolto, discernimento (non meramente di settore, ma in integrazione). Quindi, occorre

  • andare oltre l’idea di territorio locale come “isola”, e studiarne le connessioni con l’esterno che è il territorio che l’ingloba.
  • ridestare “senso”, “restituire” motivazioni a tutto tondo, perché ci sia “movimento

Come Chiesa dove siamo?

Dal punto di vista ecclesiale il fenomeno non è né nuovo né circoscritto al nostro Paese: ci sono state in passato e ci sono oggi, in altri contesti, situazioni simili, descrivibili secondo due “coordinate pastorali”: la concentrazione e la prossimità:

la concentrazione riunendo le persone e utilizzando tempi e spazi centralizzati, soprattutto per la formazione, la maturazione di nuove prospettive pastorale, nuovi operatori e sostegno ai più deboli…. risolve la complessità e la dispersione

la prossimità consiste nel portare le risorse accanto ad ogni situazione presente sul territorio con la volontà di rinnovarlo, ma spesso con l’effetto dell’assecondare la dispersione,

Due esempi storici:

Nelle Reducciones gesuitiche in America Latina (XVII-XVIII secolo) si ha una forte concentrazione, per attivare processi educativi, pastorali, culturali, economici e sociali.

Nelle Pievi (sec. V-IX) la concentrazione viene temperata mediante la presenza di un sistema di chiese o cappelle.

Nelle parrocchie nate secondo la visione del Concilio di Trento, caratterizzate da una marcata autosufficienza, si impone il principio di prossimità, superato quanto a  isolamento o dispersione  dal riferimento alla Diocesi e alla figura del vescovo.

La situazione dei “Cristiani nascosti” del Giappone (sec. XVII-XIX), cui per sette generazioni (250 anni) sono stati impossibili qualsiasi manifestazione pubblica della fede e qualsiasi contatto tra le comunità, al di fuori delle poche famiglie di remoti villaggi, in assenza totale di ministri ordinati, rappresenta l’assoluta prevalenza del principio di prossimità.

Immaginare un futuro per la comunità cristiana nelle “aree interne” implica una visione circa la risoluzione attuale del rapporto tra concentrazione e prossimità.

Si propone di partire dal necessario primato della concentrazione, capace di sostenere quelle dinamiche di innovazione che restituiscano alla Chiesa capacità missionaria e formativa per le nuove generazioni. Ciò richiederà individuazione di spazi e tempi “intensivi” in cui assicurare proposte di qualità, grazie a risorse materiali e umane sufficienti. Anche l’apporto delle nuove tecnologie potrà contribuire a tali dinamiche.

Occorre scommettere sulla qualità, con una attenzione esplicita al mondo giovanile, tempi di condivisione di vita, tempi intensivi concentrati, aggregazioni significative…

È ovviamente necessario predisporre una nuova relazione tra Chiesa e territorio, che aiuti a superare l’impoverimento della parrocchia in se stessa nelle condizioni odierne

Ciò non significa tuttavia, abbandonare l’opportuna cura per la prossimità, non solo per il valore evangelico della “pietra scartata”, ma per valorizzare le potenzialità relazionali ed esperienziali legate ai piccoli e piccolissimi centri. A tale scopo, occorrerà istituire nuove forme e figure ministeriali dedicate alla prossimità o valorizzare le famiglie come piccole chiese, che hanno in sé tutti i sacramenti, la parola di Dio, la vita  di una famiglia cristiana normale e convinta. La famiglia non è all’anno zero nella corresponsabilità e nella educazione dei figli alla fede.

Il rapporto tra concentrazione effettiva e senza forme di imposizione e di potere e prossimità non impigrita  in rivalità paesane è delicato e va studiato bene perché non si devono assolutamente demotivare o far morire le quotidiane forze della prossimità, la tradizione educativa di un oratorio spazio di comunicazione tra la gente, i suoi giovani, le sue iniziative sportive, le esperienze formative geniali e rendere anonima o forma di potere la concentrazione La ricerca dei poli o dei luoghi in cui si dà casa alla concentrazione deve essere ricercata da tutti, in certi campi anche dislocata in base alle operazioni da vivere assieme, in luoghi il più possibile centrali, anche rispetto ai sistemi di istituzioni, trasporti e servizi. L’organizzazione va fatta tra gente che collabora, si vuole bene, decide assieme, con la presenza di ministri ordinati e di ministerialità laicale, con una sufficiente articolazione ecclesiale (associazioni, opere, religiosi…) e dotazione strutturale. Una volta individuati i poli, si dovrà investire sulla loro adeguatezza, anche ripensando l’assetto del patrimonio ecclesiale sul territorio.

Ciò implica la redazione di un progetto, capace di supportare una riforma che deve essere profonda e rapida più che altrove (perché il degrado è assai veloce) e che guidi e non  subisca le mutazioni, orientando la Chiesa alla missione. Servono scelte decise, anche se faticose, con “gradualità impaziente” e attenzione alla complessità.

Potrebbe esser molto utile, in questi anni di ricerca e riforma, un osservatorio-laboratorio, che faccia monitoraggio delle tante esperienze in atto, le valuti e ne selezioni le migliori, standardizzandole affinché siano replicabili, e magari che accompagni chi desidera attivarle.

Siccome le aree interne non sono solo una questione ecclesiale-pastorale, si impone un altro ragionamento, un’altra attenzione alle alleanze con le realtà civili, popolari, culturali e lavorative

  • con la scuola, per una cultura orientata al rimanere;
  • con le istituzioni, per servizi sufficienti e diffusi;
  • con le associazioni, per una comunità solidale;
  • con le aziende, per una formazione che dia ai giovani opportunità.

 

  1. Vocazione e preparazione ai ministeri dei laici al servizio delle comunità cristiane senza prete residente 

Non è nuovo per noi il discorso sui ministeri, che abbiamo approfondito a Frascati l’anno scorso. Però è tempo di far rifiorire nelle nostre comunità una “ministerialità diffusa”:

“Il tema è di fondamentale importanza per la vita della Chiesa: infatti, non esiste comunità cristiana che non esprima ministeri. Le lettere paoline, e non solo, lo testimoniano ampiamente. (…) La varietà dei termini usati descrive una ministerialità diffusa, che va organizzandosi sulla base di due fondamenti certi: all’origine di ogni ministero vi è sempre Dio che con il suo Santo Spirito opera tutto in tutti (cfr. 1Cor 12,4-6); la finalità di ogni ministero è sempre il bene comune (cfr. 1Cor 12,7), l’edificazione della comunità (cfr. 1Cor 14,12). Ogni ministero è una chiamata di Dio per il bene della comunità”.

(Francesco, Messaggio nel cinquantesimo anniversario di Ministeria quaedam, 15.10.22)

– tempo di passare dalla teoria alle scelte concrete, senza rinviare ulteriormente la questione dei ministeri, in particolare dei ministeri dei laici. Non agire è già una scelta.

– Cf. papa Francesco che da una parte esorta ad un

“attento discernimento comunitario, nell’ascolto di ciò che lo Spirito suggerisce alla Chiesa, in un luogo concreto e nel momento presente della sua vita. (…) per non rischiare che la dinamicità diventi confusione, la vivacità si riduca a improvvisazione estemporanea, la flessibilità si trasformi in adattamenti arbitrari e ideologici”

(Messaggio nel cinquantesimo anniversario di Ministeria quaedam, 15.08.22)

 

La nostra attenzione sarà rivolta ora alla proposta vocazionale dei vari ministeri, alla loro preparazione non fuori dal contesto dei poli o delle case che ospitano la “concentrazione” con l’attenzione di non far morire quella ministerialità diffusa che già la prossimità ha fatto crescere, individuato e messa all’opera.

 

 

Possibile cammino in 10 passi per il discernimento comunitario e la formazione dei ministri istituiti

 

  1. la formazione preliminare della comunità
  2. il discernimento della comunità in relazione alla sua realtà e ai suoi bisogni

Obiettivo: preparare la comunità a discernere e accogliere i suoi ministeri istituiti.

  1. Criteri di base per il discernimento dei candidati
  2. maturità umana e spirituale del candidato
  3. senso ecclesiale
  4. capacità di collaborare
  5. Altre caratteristiche da tenere presenti in positivo
  6. Altre caratteristiche da tenere presenti in negativo
  7. Criteri specifici per il lettorato
  8. Criteri specifici per l’accolitato:
  9. Criteri specifici per il ministero del catechista:
  10. Contesto del discernimento.
  11. Chi opera il discernimento?
  12. La presentazione del candidato/a:
  13. la formazione: proporzionata a quanto ci attendiamo dai MI.
  14. Presentazione dei candidati in vista dell’istituzione
  15. Istituzione
  16. Mandato
  17. Casi particolari

 

  1. Una prossimità attiva che va sostenuta e aiutata a contaminare le nuove unità pastorali

 

Una comunità, se intende inserirsi nel processo di annuncio del Vangelo nella cultura odierna, dovrà maturare alcuni caratteri essenziali.

Anzitutto dovrà tener presente che non potrà non considerare come la diminuzione del clero sia una situazione in evoluzione che sta portando a una revisione dei soggetti pastorali.

Altro carattere da maturare è la consapevolezza dei fedeli laici come soggetti attivi dell’agire pastorale. Rispondere alle sfide di oggi come comunità ecclesiale richiede l’uscire da una forma “prete centrica” e addentrarsi in una forma di Chiesa in cui il Popolo di Dio è la comunità che evangelizza. Questo presupposto teologico, che era già maturato con le nuove istanze ecclesiologiche del Vaticano II, non aveva però mai avviato cammini di aggiornamento territoriale. L’avvio di questi cammini è stato acceso e accelerato oggi, dall’incombente necessità di garantire un sacerdote a ogni comunità, alla luce del drastico calo di presbiteri.

Non si tratta semplicemente di accorpare parrocchie e di ripensare alcuni incarichi tradizionalmente affidati ai sacerdoti: si tratta di iniziare un cammino di ripensamento della forma che la Chiesa ha assunto nel corso della storia.

 

Purtroppo – in diverse situazioni – si sta assistendo come a guidare la costruzione delle Unità pastorali non ci sia tanto la logica teologica conciliare, quanto piuttosto la necessità di gestire una crisi organizzativa che si è trasformata in una crisi simbolica della Chiesa. In questa situazione il rischio è quello di vedere molte delle parrocchie – per secoli luoghi di vita relazionale di annuncio del Vangelo – accorpate e ridotte a sole erogatrici di “servizi religiosi” dentro una logica parroco-centrica che vede l’accentramento di esperienze ecclesiali diverse come soluzione organizzativa-gestionale migliore.

L’urgenza pastorale è cambiare il punto di partenza: non una necessità organizzativa, ma un’azione pastorale di uomini e di donne che esercitano in comunione i propri specifici carismi (ministri ordinati, ministri istituiti laici, religiosi, ministri di fatto…). Alcuni strumenti, anche normativi, ci sono (ministero del catechista, l’accolitato, il lettorato…) e il momento è favorevole.

 

Bisogno di nuove ministerialità.

 

Il passaggio dalla logica della conservazione a quella della missione sarà possibile solo grazie all’inserimento di nuovi ministeri, oltre a quelli tradizionali, grazie anche a nuove forme di educazione alla fede o di servizio pastorale. Sono diversi i fronti della ministeriali ecclesiale da rivisitare o reinventare per rispondere al momento odierno. – Sicuramente il ministero della conduzione pastorale va ripensato in chiave sinodale superando l’asse individuale parroco-parrocchia. Il codice al can. 517 prevede la partecipazione dei laici alla conduzione pastorale. Qualche esperienza sta avvenendo anche in Italia: équipe ministeriali, famiglie a Km 0, gli animatori di comunità, le guide dell’oratorio … – Il ministero della Parola e dell’accompagnamento spirituale: i laici possono assumere la responsabilità della catechesi, dell’animazione della Liturgia della Parola, gruppi biblici … – Il ministero dell’ospitalità: valorizzando il diaconato come ministero della soglia, tra la vita interna ed esterna. – Il ministero della formazione: figura complementare al catechista ma diversa, qualcuno che permette di gestire un’eredità ancora più viva e propria dell’Italia un grande patrimonio che non può andare disperso ovvero il legame tra un’ampia fascia di ragazzi e giovani con la parrocchia: Grest, campi scuola, esperienze di incontro, di servizio, di formazione. …

Queste nuove ministerialità non devono essere immediatamente codificate, ma subito sperimentate e non fatte morire per ministerialità imposte dall’esterno.

Questa visione ci permette di non destinare alla chiusura o all’asfissia le piccole comunità che hanno già una vita attiva, matura, capace di relazioni e di esperienze formative capillari

 

 

  1. Prete uomo “in cammino” nel territorio secondo lo Spirito; capacità di coniugare restanza e itineranza

 

Per un seminario che si prepara a essere luogo formativo e sostenitore dei futuri preti, anche in parrocchie senza prete residente. Occorre formare un uomo capace di ascoltare! Incontrare il Signore laddove è, poiché il Signore ci precede. Un presbitero deve essere libero dal “si è sempre fatto così”, proprio nello spirito dell’Evangelii Gaudium capace di prendere l’iniziativa. Lasciarsi coinvolgere nella vita del territorio. Persona che accompagna, e non giudica. Riconoscere il bene che c’è in quella comunità. Persona che sappiano celebrare la gioia (non moltiplicando messe, ma preparando coinvolgendo la comunità). Prete capace di relazioni (con altri preti e la gente), capace di motivare azione (nel rispetto delle competenze e caratteristiche della persona); capacità pure di verifica. Un prete, uomo capace di restanza ed itineranza.

Nel concreto della diocesi di Genova, aprire il seminario alla pastorale diocesana, specialmente giovanile.