Domenico Sigalini – presidente del COP

Abbiamo ancora davanti agli occhi le commoventi immagini di papa Benedetto agli sgoccioli della sua vita, nella nobiltà di una vecchiaia portata sempre con grande dignità e saggezza, fino agli ultimi istanti su questa Terra.

Abbiamo ancora in mente la lucidità dei suoi pensieri e ragionamenti e il suo approccio al nostro essere persone sempre più necessitate e capaci di porci domande di senso e di entrare in relazioni autentiche con gli altri.

Quest’anno si chiude con un velo di malinconia, perché un uomo saggio e buono ci ha lasciato, per raggiungere definitivamente quel Regno che, instancabilmente, nella sua lunga vita ha annunciato e difeso.

Inizia un nuovo anno. Volgiamo lo sguardo ai giorni passati: qualcuno ci ha sempre aiutato a consegnarci alla libertà delle nostre scelte, alla nostra vita, alla nostra originalità, alla nostra storia; abbiamo avuto qualcuno nella vita che ci ha stimati come persone e che si è dedicato gratuitamente alla nostra crescita e ha consegnato ciascuno a se stesso. Non abbiamo avuto accanto adulti scettici che non trovavano interesse per cui valesse la pena veramente di coinvolgere fino in fondo la propria umanità, non siamo stati trattati come un fascio di reazioni, ma sempre persone e come tali vogliamo affrontare ciascuno il nostro futuro e quindi anche questo nuovo anno. Siamo abituati a non cadere nel tranello del classico, vecchio venditore di almanacchi che ci promette sempre che il prossimo anno sarà migliore dell’anno passato, ma vogliamo lo stesso riempirci di speranza, fiduciosi in una umanità di fratelli, come il Signore ci ha creati, progettati, amati, riguadagnati a una vita buona, a una umanità sempre più vera e consapevole delle proprie responsabilità.

Ogni giorno abbiamo bisogno di riti per capire chi siamo, che esistiamo, che il tempo passa, che la vita ha un senso. È un rito il bacetto prima di uscire di casa, è un rito la preghiera, lo è la telefonata o l’SMS, il mazzo di fiori, il «buon giorno» anche se detto qualche volta tra i denti, è stato un rito il regalo di Natale anche se rischia di essere un ricatto o un legaccio. L’ultimo giorno dell’anno è un rito lo scatenarsi dei botti, dei brindisi, del lancio degli oggetti vecchi, della cena con gli amici, del cambio del calendario. È il tempo che passa inesorabile e forse si fa baldoria perché noi adulti che lo vediamo fuggire vorremmo fermarlo e i giovani vorrebbero scavalcarlo perché non vedono l’ora di essere autosufficienti e padroni della propria vita.

Il vangelo invece, per farci capire dove siamo e che cosa significa il passare del tempo, ci rimanda al principio anziché alla fine, ci ricorda che all’inizio di tutto c’era la Parola. Non esisteva nulla, c’era il caos forse, esisteva solo Dio nella sua vocazione fondamentale: comunicatore. Dio era ed è Parola, uno che fa consistere il suo essere nel comunicarsi, nel farsi dono, nel proiettarsi verso, nel far essere. Il tempo è cominciato proprio lì, dalla sua volontà di far essere l’uomo per dialogare con una libertà. Proprio per portare questo dialogo alla sua massima possibilità, questo Dio Parola, questo Dio comunicativo, s’è fatto uomo, s’è dato una vita tra noi per aumentare al massimo il dialogo. La comunicazione tra due persone è al massimo, quando più grande è quello che si ha in comune. Dio ha voluto aver in comune la vita intera. Ciascuno avrà un momento per pensare a dove sta andando la sua vita, per fare un bilancio, per rendersi conto di tanti doni, di tutte le persone che la condividono con lui, per ricucire torti, per ritornare saggiamente indietro da vie sbagliate che ha preso.

Non abbiamo bisogno di baldoria per dimenticare, ma festa per ringraziare e forza per cambiare. Siamo diventati più vecchi di un anno, ma iniziamo di nuovo a seminare ancora e sempre nuova speranza e soprattutto continuare a sperare nella pace e nella fine di questa guerra europea.