“Virtù sinodali” da intendere oltre che una sorta di indicazioni stradali – tecnicamente – per arrivare a questa fantomatica sinodalità. Ricordando quel principio di comunicazione odierna: il contenente è sempre più vicino al contenuto. Sinodalità è comunionalità in cammino. Cammino sinodale, sembra una tautologia. Potrà essere mai una sinodalità che non sia una comunione per strada? Francesco esortò i suoi frati ad essere contenti di stare con la gente lungo la strada. I cristiani alle origini erano definiti quelli della via: la sinodalità c’era già tutta. La strada è dove la vita degli altri ti viene incontro. Il rischio che il tutto non si riduca a un contenuto tra gli altri. La sinodalità non è un tema tra gli altri, ma è un metodo, un luogo irrinunciabile dove stare. Il “metodo”, è già il contenuto. Il rischio è quello di un autogol.

Le virtù sinodali, vanno rilette nell’ottica di questa definizione. Le “azioni buone”. Le virtù dobbiamo intenderle accoppiate, così come l’andare del Vangelo, è a due a due. Si pensi  all’accostamento tra prudenza e creatività.Francesco ad esempio accosta la santa povertà con l’umiltà. Si pensi all’ascolto – attivare orecchi e occhi, mai sufficiente – che se non diventa dialogo, rimane autoreferenziale. Le virtù vanno lette tra duplice identità umana e divina. Ben si comprende che la virtù non è una posa; è un movimento, è una dinamica. Una virtù sinodale, è una virtù in cammino. Passare la sinodalità alla sinfonia. Dal colloquio al canto, considerando la sopportazione e l’elaborazione del conflitto. Perché la teologia non diventi ideologia.

Il contrario della virtù non è il vizio, è la mancanza di fede.