Carmelo Torcivia – docente stabile di teologia pastorale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – sez. «San Luigi» di Napoli

L’anno liturgico porta con sé una struttura circolare aperta, come una sorta di spirale che tende continuamente verso l’alto. L’assunzione di questa figura della spirale rivolta verso l’alto vuole da un lato scongiurare il pericolo del cerchio chiuso in se stesso, pur mantenendo e garantendo l’idea della circolarità, e dall’altro lato imprimere una direzione lineare. Sempre, infatti, l’anno liturgico ripresenta gli stessi temi a persone credenti in Cristo e a comunità cristiane, che sono così messe in condizione di convertirsi secondo le singole fasi di vita che stanno attraversando. Queste diverse fasi di vita, così come le convinzioni personali che cambiano con il succedersi degli anni, permettono che la ripresentazione annuale degli stessi temi non procuri abitudine e noia, ma sia vissuta con autentico spirito di novità. Così inteso e riprendendo le già citate figure geometriche del cerchio e della linea, l’anno liturgico permette la riconciliazione culturale tra una storia intesa come sola circolarità, ereditata dalla cultura greco-classica, e una storia intesa come sola linearità, ereditata dalla tradizione ebraico-cristiana, e manifesta la verità antropologica del farsi di ogni uomo.

Per una dinamica teologico-pastorale dell’articolazione dell’anno liturgico

Lo svolgimento dell’anno liturgico mette in atto una serie di temi che possono rappresentare delle vere e proprie tappe di un percorso di maturazione umana-spirituale.

Se dal punto di vista storico l’anno liturgico nasce dal grande evento della celebrazione memoriale della Pasqua di Cristo, dal punto di vista della sua progettazione pastorale conviene adottare il seguente schema, che vuole in ogni caso garantire la centralità del mistero pasquale celebrato annualmente.

  • Avvento: l’attesa del Dio veniente.
  • Natale: l’incontro tra Dio e l’uomo avviene definitivamente per l’incarnazione kenotica del Figlio.
  • Tempo ordinario: la tessitura globale della narrazione della salvezza in Cristo.
  • Quaresima: il cammino di preparazione alla celebrazione dell’evento della Pasqua di Cristo.
  • Pasqua: la resurrezione di Cristo.

Il tempo di Avvento

Se si considera il tempo di Avvento e la sua teologia e spiritualità, ci si rende conto che, pur a fronte di temi altamente impegnativi e stimolanti, la risposta offerta generalmente dalle comunità parrocchiali risulta sempre un po’ debole. Da una parte, infatti, il feedback che le comunità cristiane danno sullo splendido tema dell’attesa di Dio risulta molto insufficiente. È come se si sentisse già il tema antropologico dell’attesa come evanescente per l’oggi e poco identificabile per il futuro. Inoltre, è ben nota – e non da oggi – la mancanza di tensione escatologica delle comunità cristiane e della Chiesa tutta. Questa tensione rimane purtroppo relegata ad alcuni monasteri o a particolari gruppi ecclesiali. Non solo. La mancanza di una seria riflessione antropologica da parte delle nostre comunità cristiane non permette di mettere a fuoco tutte le rilevanze appunto antropologiche del tema dell’attesa. Ancora, l’attuale temperie culturale che è ormai da tempo sbilanciata sul presente, a dispetto del futuro, certamente non aiuta ma anzi rafforza la debolezza dell’attesa. Ancora di più. Sul versante delle nostre comunità si nota una certa propensione al fare e alla progettualità, più o meno costringente. Il tema dell’attesa e del futuro come adventus rinviano invece alla gratuità, al dono, alla sorpresa, alla capacità di accogliere, rivestiti e colmi di stupore. Se infine si considera che la gran parte del tempo di Avvento è attraversata da un’altra attesa – quella di un Natale familiare e consumistico –, è chiaro che tutto ciò inficia grandemente la pregnanza spirituale di questo tempo che ha bisogno invece di essere incrociata da una finezza di spirito e non da una grossolanità della sua accoglienza.

Il tempo di Natale

Per quanto riguarda il tempo di Natale, innanzitutto si accentua la forte caratterizzazione familiare e consumistica già anticipata nel tempo di Avvento, aggravata dalla generale sospensione delle attività pastorali ordinarie, che molte volte non fanno neanche da contrappeso. Inoltre, la brevità di questo tempo liturgico e l’alta concentrazione spirituale e liturgica sulla celebrazione del Natale e dell’Epifania non riescono a sviluppare il grande tema dell’incarnazione del Figlio di Dio e del nostro essere figli nel Figlio. Ovviamente, momenti di festa parrocchiali e ritiri e iniziative di carità, in genere organizzati in ogni parrocchia, servono a puntellare questo tempo di azioni pastorali che ricordano il significato cristiano del Natale.

Cosa fare per dare respiro teologico-pastorale a questo tempo liturgico così importante?

Oltre alle cose già dette prima, bisognerà affidare alle famiglie un compito di maggiore responsabilità sia di preghiera sia di formazione sia di carità. Un’opportuna sussidiazione svolta attraverso strumenti agili, ma densi di afflato biblico-teologico, che permettano lo sviluppo di alcune preghiere da celebrare in famiglia, un’indicazione di brevi ma succosi libri teologici e spirituali, da poter donare e far donare a parenti e ad amici per una proficua lettura personale, una messa in opera di iniziative parrocchiali e familiari di accoglienza di poveri, di migranti e di emarginati possono benissimo riempire di senso cristiano questo tempo e offrire una visione teologica e antropologica nella logica dell’incarnazione. Non solo. Questo maggiore protagonismo delle famiglie, che a qualcuno potrebbe sembrare giocare in alternativa a quello parrocchiale, si rivela importante in ordine al giusto ruolo di soggetto che la famiglia assume nei confronti di tutta la pastorale. Questo è il tempo in cui maggiormente può risaltare il ruolo della famiglia cristiana.

Se si considera poi con sguardo unitario i tempi di Avvento e di Natale e li si vede nella logica dell’inizio dell’anno pastorale, si può apprezzare, dal punto di vista teologico, la preziosa memoria che tutti gli uomini siano in attesa di un Dio che venga loro incontro. Questa attesa è colmata dall’esperienza dell’autodonazione di Dio nel Figlio, che, se avviene come culmine della storia della salvezza in terra di Palestina, tuttavia non risulta chiusa in se stessa ma si apre a un altro culmine: quello cosmico della parusia. Iniziare così ogni anno pastorale significa porre correttamente quei termini dell’antropologia teologica che vedono l’uomo capax Dei, uditore della Parola, in vigile tensione verso Dio e, nel contempo, recettore del dono stesso di Dio, cui attinge nella sua partecipazione alla figliolanza di Dio e alla comune tavola dell’humanum, nella convivialità delle diversità e senza l’esclusione di alcuno.

Il tempo ordinario

Il tempo ordinario che immediatamente segue, alla luce dell’icone filiale/ministeriale del battesimo di Gesù, può essere molto utile sia per dare l’opportuno spazio-tempo per l’interiorizzazione di ciò che si è vissuto e compreso, dando così grande serietà allo scorrere feriale della vita cristiana, sia per mettere a fuoco con il Consiglio pastorale parrocchiale (CPP) il senso da dare – anno dopo anno – alla centralità della Pasqua e della sua celebrazione nella vita di ogni specifica comunità cristiana. Si tratta di un lavoro delicato, che implica una bella capacità di leggere la propria storia comunitaria come storia in cui si rivela la presenza di Dio e le risposte – fedeli e infedeli – dei credenti, ma anche di leggere la storia del territorio e di sapere raccogliere sfide antiche e nuove, compresi anche i «piccoli» segni dei tempi, attraverso cui Dio parla oggi alle comunità cristiane. Seguendo questa logica il CPP non programma per prima lo svolgimento della Quaresima, ma piuttosto quello della Pasqua. Dopo e in coerenza con quanto individuato sul significato annuale della Pasqua e sulle iniziative a essa legate, va pensata la riflessione sulla Quaresima.

Il tempo ordinario continua poi la sua preziosa funzione dopo la chiusura del tempo di Pasqua, cioè dopo la celebrazione della Pentecoste. È infatti sotto la luce della Pentecoste che si comprende la continuazione del tempo ordinario. Il senso che così qui acquista è di raccolta e di fecondità in ordine a quanto già maturato fin dal tempo di Avvento, sotto la luce della creatività, donata dallo Spirito.

Sicuramente, la pausa estiva non aiuta l’esercizio in fecondità creativa di questa continuazione del tempo ordinario, perché l’estate risulta potenzialmente portatrice di dispersione e di «distrazione». E tuttavia, una sapiente pastorale «estiva» – in mare così come in montagna, per chi rimane in città così come per chi s’inserisce nei percorsi cultural-turistici – può rimediare a questa dispersione.

Il tempo di Quaresima

Alla luce di quanto riflesso e programmato sulla Pasqua e sul tempo pasquale, il CPP pensa allo svolgimento del tempo di Quaresima. La forza simbolica che la Bibbia annette al numero 40 chiede a ogni comunità di pensare alla Quaresima come a un itinerario che interessa l’intero corso della vita di una persona o di una comunità.

Qual è allora il senso sia della globalità della vita sia delle fasi che si attraversano? Quali sono i punti fermi della vita interiore su cui poggiare e quali le difficoltà e le resistenze alla proposta di Dio per una bella e completa umanizzazione degli uomini? Quali elementi delle prassi umane e religiose si possono e si devono mettere in crisi, identificandoli così come gli attuali idoli? Queste e altre domande possono guidare la riflessione del CPP.

Tra le iniziative che entrano in gioco nella programmazione della Quaresima assumono particolare rilevanza tutti quelle che s’indirizzano a favore dello sviluppo delle pratiche del silenzio e della capacità di viaggiare nella propria interiorità così come quelle che rafforzano un’operatività critica della comunità. La Quaresima è tempo d’intelligenza critica e spirituale che si lascia illuminare dal mistero pasquale. La posta in gioco è la conversione personale, comunitaria, pastorale.

Se si considera con sguardo unitario i tempi di Pasqua e Quaresima, ci si rende conto della loro effettiva centralità teologico-esistenziale. L’individuazione di un corretto senso della vita non può che tenere conto del senso della morte, in sé distinto da quello della vita. Non solo. Diventa importante sottolineare l’ordine tra i due sensi: prima viene la morte e poi la vita. Ci aiutano in tal senso, oltre le ben note riflessioni biblico-teologiche, anche tutte quelle riflessioni antropologiche che vedono i vari processi del morire dentro la tessitura della vita così come alcune riflessioni filosofiche che pongono la nascita alla fine/al fine dell’esistenza (Maria Zambrano).

Il tempo di Pasqua

L’evento della Pasqua è un evento unico che non dà più l’ultima parola alla morte e permette a ogni evento di morte e a ogni processo del morire di poter essere attraversati e interpretati come una nuova nascita in Dio. La risposta alla Pasqua non può che essere la testimonianza. Questa è infatti il tentativo originario di «ripresentare» l’esperienza d’incontro con il Risorto quanto più possibile in «trasparenza» e all’interno di un’originalità personale e comunitaria. L’evento della Pasqua – e la sua conseguente testimonianza – è così grande ed esistenzialmente impegnativo da dover richiedere una congrua e simbolica (40 giorni) preparazione spirituale e morale, individuale e comunitaria, interiore e di servizio.

Pertanto, la celebrazione dell’evento della Pasqua richiede la capacità di pensare anno dopo anno al suo significato, che va colto qui e ora per ogni comunità cristiana, perché sia la regia rituale delle celebrazioni del Triduo santo e delle domeniche di Pasqua sia la programmazione delle varie iniziative pastorali possano essere disposte in maniera coerente allo stesso significato individuato. Ovviamente, tutto questo non imbriglia né la ricchezza dei significati tratti dalla celebrazione del mistero celebrato né quella che scaturisce dalle azioni pastorali poste in essere, ma ne dà solamente una linea orientativa.

Tra le azioni pastorali da dovere mettere in cantiere nel tempo pasquale vanno privilegiate tutte quelle che ineriscono alle varie forme di testimonianza cristiana, soprattutto quelle più particolarmente contrassegnate dal mistero pasquale di morte di resurrezione, insieme alle iniziative di dialogo con credenti di altre religioni e non-credenti su tematiche inerenti ai significati del rapporto morte-vita, alle azioni/esperienze più significative di cambiamento di stile in vista di una maggiore umanizzazione, alle prospettive di azione e di riflessione su prospettive ecologiche e della «casa comune», secondo le linee tracciate dalla Laudato si’.

Conclusioni

Alla fine di questa semplice riflessione ad alta voce si possono focalizzare alcune strutture duali, poste in reciproca e feconda tensione tra di loro. La prima struttura duale riguarda i due poli del tempo ordinario e dei tempi forti. La seconda riguarda i due poli dei tempi Avvento-Natale e Pasqua-Quaresima. La prima esprime una profonda verità antropologica: il farsi dell’uomo non può che avvenire tra la tessitura quotidiana di una narrazione che incrocia tutti gli aspetti ordinari della vita e l’irruzione di eventi – incarnazione e redenzione – che fanno esplodere le questioni di fondo, risolvibili appunto solo nella logica degli eventi donati e non di una mera e spalmata ordinarietà dell’esistenza. La seconda indica che le questioni fondamentali del senso (inizio, fine, l’incontro con Dio), poste nel polo Avvento-Natale non possono che avere risposta nella vittoria della vita sulla morte, che è avvenuta in forma unica e definitiva in Gesù il Cristo.

Le nostre comunità cristiane custodiscono nel loro seno tutta la bellezza e la ricchezza del senso che ci consegna l’anno liturgico. La messa a frutto, però, di questa bellezza e ricchezza non può restare confinata nell’ambito rituale, seppur già molto significativo, ma ha bisogno di esplodere pienamente nell’ambito pastorale. Solo attraverso questa radicazione dell’anno liturgico in tutte le prassi pastorali, comprese ovviamente quelle liturgiche che fanno da matrice, è possibile rintracciare il volto di un’autentica comunità cristiana.

(Tratto da Orientamenti pastorali, n. 9/2020, EDB. Tutti i diritti riservati)