Don Alfonso D’Alessio, parroco di Sant’Andrea Apostolo di Antessano di Baronissi (SA)

Durante il lockdown la pastorale è cambiata, e le prospettive, le problematiche, le difficoltà, e le opportunità che offre la pastorale digitale, noi parroci le abbiamo sperimentate sul campo.

Bisogna essere molto franchi: c’è stata un’iniziale difficoltà. Perché? Perché la pastorale digitale era vista, anche da noi preti, parroci (non tutti certamente), un po’con con diffidenza …

Il periodo di “chiusura” ha offerto la possibilità di “sperimentare”, ha significato che all’inizio si è cercato di essere “presenti” attraverso i social, attraverso gli strumenti che i telefonini mettono a disposizione per raggiungere i parrocchiani, i fedeli affidati e la comunità … e allora, fatte salve le prerogative delle leggi sulla privacy, si sono creati gruppi su WhatsApp o su altri mezzi per cercare di raggiungere tutti, e si è dato impulso anche alla trasmissione della celebrazione eucaristica attraverso i social. Certo, l’inesperienza ha fatto sì che all’inizio si potesse cadere in qualche “sovrapposizione”, magari inondando più che condividendo attraverso i social, ma l’esperienza è stata molto positiva. Per esempio, nella nostra Arcidiocesi − anche con la guida degli esperti delle comunicazioni della diocesi e con lo stesso arcivescovo, mons. Andrea Bellandi −, si è cercato di entrare nel concetto della condivisione.

In pratica, questo ha voluto dire che i parroci sono stati attenti a trasmettere la celebrazione eucaristica senza “accavallarsi” su quelle che erano le trasmissioni o le celebrazioni mandate in onda dal papa, attraverso Radio Vaticana e la TV Vaticana, oppure dallo stesso Arcivescovo.

Vorrei precisare che non si è “messo tanto per mettere”, ma si è cercato di condividere con un fine, che è stato quello dell’incontro, della solidarietà, e questo è divenuto per noi un vero e proprio tesoro. Si è scoperto, per esempio, che anche quei parroci − pochi, in verità − che vedevano con il fumo negli occhi e con un po’ di timore questa novità, hanno poi avuto occasione di apprezzarla, perchè in questo modo è stato possibile raggiungere persone che prima non frequentavano le celebrazioni.

Ora il punto è sviluppare l’esperienza: va bene raggiungere, va bene la celebrazione dell’eucaristia trasmessa, fatta però con regole precise, per non banalizzare… Il rischio infatti è che poi alla fine si viva in una realtà parallela (che non è una realtà parallela, ma è la nostra realtà). Banalizzare no, ma nemmeno non comprendere che è la realtà. È vero, non è una realtà parallela, ma lo stesso santo padre Francesco, e Benedetto ancor prima … insomma, ci hanno sempre invitati ad “abitare” il luogo della rete “4.0”, che, ripeto, non è una realtà parallela, ma una realtà da abitare.

La vera sfida semmai è conciliare: aver potuto raggiungere, anche se non fisicamente, i propri parrocchiani − con il messaggio, con il commento del Vangelo che viene proposto anche attraverso esperti a livello nazionale, con le tv e le reti nazionali – e, avendo dato la possibilità a questi ultimi di  ascoltare la voce del proprio parroco, del proprio pastore, hanno significato una importante continuità. Certamente non si può sostituire alla confessione sacramentale o all’eucarestia ricevuta con la  presenza fisica alla Messa.

Bisogna far tesoro di quest’esperienza: favorire l’incontro, fare in modo che l’esperienza digitale diventi un punto di contatto per tutta la comunità, per tutti i parrocchiani affidati ai singoli parroci, trovando il modo di condividere e mettere tutto in equilibrio.

Non va solo aumentato il confronto ecclesiale, ma ritengo che sia giunto il momento di formare il clero (cominciando proprio dal clero) ed i fedeli laici che nella comunità sono impegnati in attività pastorali.

Credo che anche nei seminari occorra prendere come ambito di formazione quello della comunicazione.

Paradossalmente noi oggi, attraverso i social (e non si tratta, ripeto, di una realtà parallela, quanto piuttosto una realtà da abitare), possiamo conoscere le persone più di quanto a volte le si conosce in modo personale, o comunque quantomeno anche in modo più veloce, ma per fare questo bisogna essere preparati, non sopraffatti dalla paura. Quest’ultima è stata vinta dall’esperienza che abbiamo fatto: adesso non bisogna disperdere il tesoro, quindi prepararsi, continuare, e sentire proprio come comunità il dovere di essere presenti anche nel “mondo virtuale”.

La pastorale digitale può essere il “la”, un viatico per una pastorale in presenza, non dev’essere sostitutiva, deve essere complementare: l’una non sostituisce l’altra o, meglio ancora, non esclude l’altra, perché molti pensano “beh, io preferisco fare di persona, cosa mi serve essere in rete?”. Ma la rete è quell’ambito che può preparare all’incontro di persona: questa è una cosa importantissima.

Ma c’è anche un’altra dimensione che credo noi parroci, almeno nella mia esperienza, abbiamo scoperto, cioè la possibilità di dialogare con chi nelle chiese, nelle parrocchie, nei gruppi parrocchiali non incontreremo mai.

Quindi un’occasione di confronto che può poi portare all’incontro personale, ma senza la  quale non ci sarebbe sicuramente nemmeno un incontro personale.

Contributo tratto dall’intervista di Federico Piana a don Alfonso D’Alessio, Radio Vaticana, 11 agosto 2020, rubrica su podcast: “La finestra del papa”, seconda parte. Scaricabile su https://www.vaticannews.va/it/podcast/rvi-programmi/la-finestra-del-papa/2020/08/la-finestra-del-papa-seconda-parte-11-08-2020.html     

Per gentile concessione.