All’inizio di questo allentamento della clausura del coronavirus, che coincide con la festa liturgica della Sindone, ci rivolgiamo al Signore Gesù, perché il suo sacrificio sulla Croce ci dia la forza di continuare ad essere solidali e attenti a tutti i malati di Covid-19 e di non dare di nuovo la stura al contagio.

 

Da oltre mezzo millennio il 4 maggio è la festa della Sindone. Giulio II, papa guerriero e mecenate, 514 anni fa, il 26 aprile 1506, approva i testi della messa e dell’ufficio (breviario); si richiama al pensiero dei predecessori, soprattutto al trattato di Sisto IV sul «Sangue di Cristo»; parla del legame tra la Croce e la Sindone; fissa la festa al 4 maggio, giorno successivo alla festa del «ritrovamento della Croce» che, con la riforma del calendario liturgico dopo il Vaticano II, è stata spostata al 14 settembre. Ma la memoria della Sindone resta al 4 maggio.

Contro uno dei luoghi comuni acriticamente accettati e ripetuti – «La Chiesa non ha mai preso posizione a favore della Sindone» – la «bolla» di 516 anni fa afferma: «Noi crediamo degna e doverosa cosa che questa Sindone in cui fu involto nel sepolcro nostro Signore Gesù Cristo, nella quale appaiono manifeste le orme del Cristo fattosi uomo, comprendendo in sé la divinità, e nella quale si vedono i segni del suo vero sangue, debbasi venerare e adorare. Come veneriamo e adoriamo la Santa Croce alla quale fu affisso nostro Signore Gesù Cristo e per la quale fummo redenti, così dobbiamo ugualmente e degnamente venerare e adorare la Santa Sindone sulla quale sono chiaramente visibili le impronte di quella umanità di Cristo che la divinità aveva assunto, cioè del suo vero sangue».

Con la «Missa Sacrae Syndonis qua Corpus Domini nostri Iesu Christi e cruce in sepulcro positum involutum fuit» la massima autorità della Chiesa ritiene autentica la Sindone, allora conservata nella Sainte-Chapelle di Chambéry prima del trasferimento nel 1578 a Torino. Del 1673 è una versione più articolata e perfezionata dal punto di vista teologico. A Torino il «proprio» diocesano per la messa e l’ufficio delle ore è adeguato alla riforma liturgica conciliare in due versioni: una approvata il 25 dicembre 1976 dal cardinale Michele Pellegrino – che il 23 novembre 1973 promuove la prima ostensione televisiva – e una approvata il 1° novembre 1994 dal cardinale Giovanni Saldarini. Tra le possibili «seconde letture» c’è lo stupendo messaggio di Paolo VI per l’ostensione televisiva del 1973.

La convinzione che la Sindone sia una reliquia è espressa dai nunzi apostolici che dalla corte di Torino inviano dispacci alla Segreteria papale a Roma descrivendo le solenni celebrazioni del 4 maggio. Lo storico Pietro Savio in «Ricerche storiche sulla santa Sindone» del 1957 conta ben 102 lettere di nunzi nelle quali ricorrono espressioni molto impegnative: «Santissima Sindone, santissimo Sudario, santissima Reliquia, santa Reliquia, insignissima reliquia della santa Sindone».

Interpellato il 28 aprile 1989 dai giornalisti sull’aereo che lo porta in Africa, Giovanni Paolo II asserisce: «Reliquia lo è certamente, non si può cambiare. Se non fosse una reliquia non si potrebbero capire queste reazioni di fede che la circondano e che si dimostrano anche più forti delle controprove di ordine scientifico. In questo senso la reliquia è sempre un oggetto di fede. L’icona può essere un oggetto di fede, e lo è molte volte, ma è anche un oggetto della cultura e dell’arte: il problema dell’autenticità si deve ritenere sempre scientificamente aperto». La spiegazione di Papa Wojtyla è dovuta al fatto che era sorto un dibattito sull’uso della parola «reliquia» applicata alla Sindone. Il cardinale arcivescovo Anastasio Alberto Ballestrero – promotore della clamorosa ostensione popolare che nel 1978 aveva attirato (presunti) tre milioni di visitatori – aveva incominciato a definirla «icona», mentre all’inizio del 1978 aveva usato la parola «reliquia».

La Sindone è anche fonte di ispirazione e stimolo all’impegno per molti santi subalpini da Carlo Borromeo, nato sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, al cottolenghino Luigi della Consolata (Andrea Bordino), da Giovanni Bosco a Leonardo Murialdo, da Sebastiano Valfrè a Luigi Orione, dalla principessa Clotilde Savoia–Bonaparte ad Adolfo Barberis. I Papi hanno espresso giudizi sempre più lusinghieri. Pio VII la vede due volte nel 1804 e nel 1815; Giovanni Paolo II la venera nel 1978 – quando è cardinale arcivescovo di Cracovia prima di essere eletto papa –, nel 1980 e nel 1998; Benedetto XVI nel 1998 (da cardinale) e 2010.

Anche Francesco, papa argentino con solide radici piemontesi, venera la Sindone nella visita a Torino nel 2015 per onorare San Giovanni Bosco nel bicentenario della nascita (1815-16 agosto-2015). Il 21 giugno di cinque anni fa trascorre dieci densi minuti di silenzio e preghiera con lo sguardo rivolto alla Sindone nella Cattedrale durante l’ostensione di quell’anno. Poi si alzò e toccò la teca, prima di fermarsi in preghiera alla tomba del beato Pier Giorgio Frassati.

Due anni prima il 30 marzo 2013 – durante la seconda ostensione televisiva: era il Sabato santo – manda un messaggio molto pregnante, concluso da una preghiera di San Francesco d’Assisi. Dice il papa: «Mi pongo anch’io davanti alla Sindone. Il nostro non è un semplice osservare ma è un venerare, è uno sguardo di preghiera, è un lasciarsi guardare. Questo Volto ha gli occhi chiusi, è il volto di un defunto, eppure misteriosamente ci guarda e nel silenzio ci parla. L’Uomo della Sindone ci invita a contemplare Gesù di Nazaret. L’immagine impressa nel telo parla al nostro cuore e ci spinge a salire il Calvario, a guardare al legno della croce, a immergerci nel silenzio eloquente dell’amore. Lasciamoci raggiungere da questo sguardo, che non cerca i nostri occhi ma il nostro cuore».

«Ascoltiamo – aggiunge Bergoglio – ciò che vuole dirci, nel silenzio. Attraverso la Sindone ci giunge la Parola unica e ultima di Dio: l’amore fatto uomo, incarnato nella nostra storia; l’amore misericordioso di Dio che ha preso su di sé tutto il male del mondo per liberarci dal suo dominio. Questo Volto sfigurato assomiglia a tanti volti di uomini e donne feriti da una vita non rispettosa della loro dignità, da guerre e violenze. Eppure, il volto della Sindone comunica una grande pace; questo corpo torturato esprime una sovrana maestà. È come se lasciasse trasparire un’energia contenuta ma potente, è come se ci dicesse: abbi fiducia, non perdere la speranza; la forza dell’amore di Dio, la forza del Risorto vince tutto».

«Contemplando l’Uomo della Sindone – conclude il pontefice –, faccio mia la preghiera che san Francesco d’Assisi pronunciò davanti al Crocifisso: “Altissimo e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio. E dammi fede retta, speranza certa, carità perfetta, senno e conoscimento, Signore, che faccia il tuo santo e verace comandamento”».

Pier Giuseppe Accornero, giornalista, sacerdote e scrittore