Giovanni Mazzillo – teologo, www.puntopace.net

A don Luigi Lorenzetti e a tutti i costruttori di pace

Introdurre questo numero di Orientamenti pastorali dedicato alla pace non è un’operazione facile. Vi sono stato chiamato (è proprio il caso di dirlo) probabilmente per alcuni motivi. Per i miei testi ispirati alla e dalla teologia della pace,[1] la mia appartenenza ormai cinquantennale alla Pax Christi italiana, i numerosi interventi sulla sua rivista Mosaico di pace[2] e a seminari e convegni sulla stessa materia. Tra questi, quelli tenuti fino a oltre un decennio fa con fratel Gianni Novello alla comunità di Rossano Calabro[3] e in quella carmelitana di Pozzo di Gotto (Messina).[4] Il tutto con un collegamento per me sempre arricchente con vescovi che hanno dedicato le loro energie alla pace, tra i quali spiccano mons. Luigi Bettazzi e mons. «Tonino» Bello. Alla loro ispirazione e iniziativa si deve anche il progetto di una rivisitazione della teologia nella prospettiva della pace, che ebbe come esito, nel 1997, Il dizionario di teologia della pace, libro che porta come curatore principale don Luigi Lorenzetti, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane di Bologna. Si tratta di un grosso volume che, per la fretta non ebbe nemmeno un’accurata correzione delle bozze e che più recentemente Lorenzetti stesso avrebbe voluto ripubblicare in maniera aggiornata e – come egli diceva – «ristrutturata». Purtroppo, non ne ha avuto il tempo, essendo stato chiamato al cielo il 2018. Così come non aveva avuto modo di vedere coronato il sogno di una sistematica teologia della pace don Tonino Bello, da cui avevo avuto l’incarico, con il prezioso supporto di don Luigi Sartori, della convocazione dei teologi italiani sulla materia, con gli incontri che portarono successivamente alla divisione degli ambiti e dei lemmi del Dizionario. Il compito mi era stato assegnato in quanto membro del Consiglio nazionale della Pax Christi italiana e anche perché, insieme con don Enrico Chiavacci, avevo l’onore di essere uno dei consulenti teologici di mons. Bello. Inoltre, credevo e credo nella possibilità della rivisitazione, se non della riscrittura, dell’intera teologia secondo la prospettiva della pace. All’epoca avevo pubblicato già Teologia come prassi di pace (1988) e Gesù e la sua prassi di pace (1990), che si aprivano con una sorta di dichiarazione teologico-programmatica proprio da parte di don Tonino Bello, con queste parole, sempre utili per chiunque affronti il tema che ci interessa: «Percorsi per una collana sulla teologia della pace. Se è vero che la teologia, proprio per quel suo essere luogo di incontro tra le provocazioni di Dio e quelle della storia deve organizzare l’impianto dei suoi interessi attorno all’ordine del giorno che le pone il mondo, c’è da concludere che, oggi come non mai, essa è chiamata ad avvolgere il suo filo conduttore attorno al pilastro dottrinale della pace. Non fosse altro che per fondare l’ortoprassi dei tanti movimenti ecclesiali sui plinti saldi di una teologia della pace che, lontana dai sussulti emozionali del momento, si configuri in termini organici, articolati, esigenti: non da appendice. Insomma, né con le visioni riduzionistiche degli “scholion” negli antichi trattati. Quando la teologia avrà superato la fase sia pure apprezzabile del florilegio, per cominciare a produrre approcci sistematici e visioni globali attorno al tema generatore della pace, forse il sentiero di Isaia, ancora così poco percorribile, si affollerà finalmente di camminatori».[5]

I percorsi prevedevano una collana di testi che riscrivessero i tradizionali trattati di teologia, similmente a ciò che accadeva all’epoca, in ambiente latino-americano, con la teologia della liberazione, rispetto alla quale molti di noi erano e restano convinti che la teologia della pace non sia che la seconda faccia della stessa medaglia. La grande medaglia che è la teologia della salvezza, cioè quella scaturente dalla historia salutis, teologia che aveva messo in moto e accompagnato il rinnovamento non solo della teologia, ma della stessa chiesa, precedentemente e successivamente al Vaticano II.[6] Negli incontri sulla teologia della pace, tenuti solitamente a Bologna, si optò per il dizionario suddetto con le sue 11 sezioni, alcune più specificamente teologiche altre filosofico-scientifiche, una ecologica e una pedagogico-pastorale. Da allora in poi, sulla pace si è scritto e si scrive ogni giorno. Non altrettanto su una più sistematica teologia della pace, a partire dalle impostazioni pur sempre valide di quel dizionario, ai cui lemmi di allora non pochi sono da aggiungere, sia per gli sviluppi intanto intervenuti nel magistero della chiesa da parte degli ultimi papi e dei diversi episcopati nazionali, sia per quanto è mutato nel linguaggio e soprattutto per l’evoluzione tecnologica galoppante, che ha obbligato e obbliga a interventi più puntuali, aggiornati e specifici.[7] E ciò non solo sul piano dei nuovi arsenali degli armamenti e del loro utilizzo, ma anche su quello della riflessione antropologica, dell’intelligenza artificiale, del cosiddetto transumanesimo e di quanto a esso afferisce.[8] 

  1. La costruzione della pace parte dell’insegnamento sociale della chiesa

 Un primo aiuto in questo mare magnum, anche al fine di ritrovare un nesso continuativo principalmente su ciò che riguarda la formazione alla pace, il suo legame con la giustizia, le acquisizioni sulla nonviolenza attiva e sul dovere di disubbidire agli ordini che mirano a distruggere indiscriminatamente, e infine sulla stessa intelligenza artificiale, può venire dalla successione dei messaggi papali sulle giornate della pace del 1° gennaio di ogni anno, fino all’ultimo del 2024, dedicato a «l’intelligenza artificiale e la pace».[9] Tutto ciò accompagna quanto contenuto nel Compendio della dottrina sociale della chiesa e ne è un ulteriore sviluppo. Il Compendio parla in diversi passaggi della pace e della vocazione del cristiano alla sua costruzione. Ne tratta specificamente al numero 11, sotto il titolo «La promozione della pace» e presenta i suoi pilastri portanti: aspetti biblici; la pace frutto della giustizia e della carità; il fallimento della pace; la guerra; contributo della chiesa alla pace.[10] La compilazione del testo evidenzia un linguaggio nuovo e contenuti innovativi a obiezioni quali la legittima difesa, difendere la pace, il dovere di proteggere gli innocenti, le misure contro chi minaccia la pace, il disarmo, la condanna del terrorismo. Un esempio per tutti riguarda l’approccio alla nonviolenza, scritta proprio in questa forma e non separando le parole, come a indicarne il valore propositivo e non la pura assenza di intervento violento. È proposta come realtà motivata e costruttiva, fino a prescrivere – non più soltanto a tollerare, come troviamo ancora nella Gaudium et spes[11] – l’obiezione di coscienza in questi termini: «Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato a opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali […] Tali atti non si possono giustificare con il motivo dell’obbedienza a ordini superiori».[12] Da tutto ciò che si è detto, si nota che un progresso c’è stato e riguarda una declinazione della pace in tutta la sua vasta gamma. Si può dire che si è cominciato finalmente a recepire le varie implicazioni che sono già nel vangelo: dalla mitezza («Beati i miti perché possederanno la terra», Mt 5,5), che non contraddistingue un’indole paciosa e passiva, alla dichiarazione della figliolanza divina da parte di Gesù degli eirenopoioi, cioè testualmente i facitori di pace» (Mt 5,9). Ciò a fronte di una traduzione antecedente al Vaticano II: «Beati i pacifici», che invece sembrava indicare più sopportazione del male che costruzione del bene. Gli studi qui offerti evidenziano questo e altri guadagni ermeneutici, movendo da un’analisi storica più vicina all’ambiente culturale-religioso, in cui si esaltava la guerra condotta in nome di Dio contro i pagani e gli infedeli, se non contro quelli che erano considerati traditori del proprio popolo perché ritenuti venduti ai pagani stessi. Ciò accadeva nei circoli essenici, dal momento che nella Palestina del tempo di Gesù si custodivano e tramandavano espressioni come questa: «Fatevi coraggio per la guerra e ciò dovrà esservi computato a giustizia».[13] E che si trattasse non di espressioni isolate o di imprecazioni emotive ma di teologia scaduta in ideologia guerresca, lo dimostrano incitamenti come questo: «Sorgi, potente! Prendi i tuoi prigionieri, uomo di gloria! / Impadronisciti del tuo bottino, / tu che agisci da eroe! / Poni la tua mano sulla nuca dei tuoi nemici, / il tuo piede su mucchi di uccisi! / Schiaccia i popoli tuoi nemici, / la tua spada divori la carne colpevole! / Riempi di gloria la tua terra, / di benedizione la tua eredità!».[14] Esortazioni simili fanno di sicuro accapponare la pelle, ma mettono in risalto l’assoluta e rivoluzionaria convinzione di Gesù il cui pensiero globale è ben riassunto dalla beatitudine riportata da Matteo: «Beati i facitori di pace, perché sono questi i figli di Dio».

Con queste e simili considerazioni,[15] arriviamo all’innegabile presenza della nonviolenza costruttiva collegata alla costruzione della pace nel vangelo, ma che era già negli intenti di Gesù, e al valore che essa ha avuto per la comunità cristiana dei primi secoli, dove era frequente il rifiuto del giuramento militare, a costo del martirio, da parte dei pagani convertiti e per la comunità cristiana di allora. In ogni caso, la pace ha un’attualità innegabile e vale sia per i cristiani sia per il mondo intero, se è vero che, come si legge nel documento firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal grande Imam Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb,[16] lo specifico delle religioni non è di provocare e diffondere la guerra ma piuttosto la pace. È l’unica via sulla quale ci possiamo salvare. L’alternativa è la distruzione di tutto e di tutti, come sostenuto anche da Lanza del Vasto.[17] Quanto detto e l’intero numero di questa rivista documentano l’attualità della pace che sembra essere oggi davanti a sfide diventate ancora più drammatiche che nel passato.[18]  

  1. Realtà diffusiva e concretissima della pace

 La ricostruzione generale sul tema fin qui condotta porta ad ulteriori e più puntuali riflessioni sulla pace che in nessun modo può essere trattata o considerata come tema settoriale specifico, né come operazione meritevole da affiancare ad altri atti di benevolenza, bensì come tema teologico primario, anzi come realtà teologale, perché intrinsecamente collegata alle virtù insignite di questo titolo. Del resto, dire «teologia della pace» non è aggiungerla ad altre «teologie del genitivo», sia perché l’ampiezza del tema è sconfinata, sia perché essa muove dalla radice stessa della rivelazione di Dio all’umanità: dal suo messaggio di salvezza per ogni uomo e per tutti gli uomini. Una conferma autorevole e decisa è anche in Giovanni Paolo II, che per la 37ª giornata mondiale della pace (2004), dal titolo significativo «Un impegno sempre attuale: educare alla pace» aveva indicato un inscindibile rapporto tra annuncio del vangelo e annuncio della pace in questi termini: «I vari aspetti del prisma della pace sono stati ormai abbondantemente illustrati. Ora non rimane che operare, affinché l’ideale della pacifica convivenza, con le sue precise esigenze, entri nella coscienza degli individui e dei popoli. Noi cristiani, l’impegno di educare noi stessi e gli altri alla pace lo sentiamo come appartenente al genio stesso della nostra religione. Per il cristiano, infatti, proclamare la pace è annunziare Cristo, che è «la nostra pace» (Ef 2,14), è annunziare il suo vangelo, che è «vangelo della pace» (Ef 6,15), è chiamare tutti alla beatitudine di essere «artefici di pace» (cf. Mt 5,9)». Pertanto, dire «pace» è utilizzare un concetto olistico, che abbraccia più campi di ricerca ed è capofila di numerose implicanze, che rimandano a implicanze strutturali e direi costitutive della pace stessa e della storia umana. Per portare qualche esempio, pace e disarmo, pace e giustizia, pace ed ecologia, pace e diritti umani, pace e pena di morte, pace e futuro del mondo sono non semplici tematiche da discutere, ma implicano responsabilità e atti che costruiscono o distruggono l’uomo e la storia. Su questa scia, oltre ai citati messaggi per le giornate mondiali della pace, le encicliche, le esortazioni apostoliche, i discorsi e gli interventi diplomatici dimostrano un fecondo proseguimento di quanto è presente nell’ultima parte della Gaudium et spes, e che è stato più recentemente studiata nel già citato VIII volume del Commentario ai documenti del Vaticano II. A partire da quel testo, si può cogliere la successiva declinazione pluriforme e tuttavia ben concatenata degli aspetti teologici e pastorali che ne scaturiscono. Accusare tutto ciò di orizzontalismo sociologico, oltre a essere ingeneroso, sarebbe l’espressione di una totale lontananza non solo dallo spirito del Vaticano II ma anche, per questo, dall’uomo e dal sogno di Dio per un’umanità che egli ha progettato per la felicità e non per la perdizione. Se teologia ebraico-cristiana significa non una serie di astratte deduzioni logiche, ma ricostruzione della declinazione e attualizzazione di una storia di salvezza, questa conduce da sé alla prassi di pace da parte di Dio, fonte di pace, perché vita intratrinitaria di pace, e alla pace come shalom nella storia umana. Partiamo innanzitutto biblicamente – non possiamo fare diversamente, e non ideologicamente – da un punto prospettico salvifico, la cui espressione storica umana è la costruzione della pace, perché della salvezza la pace è la concretizzazione benefica, amorevole e tendente a una fraternità sempre più diffusa nella storia. È la sua concretizzazione storica. Coinvolge l’agire di Dio nel mondo, che realizza il suo progetto per il bene degli uomini, ciò che paradigmaticamente troviamo in Geremia 29,11: «Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – oracolo del Signore –, progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza». Gli «orientamenti pastorali» di chiunque agisca consapevolmente e responsabilmente nel popolo di Dio non possono non muovere da tale sogno/progetto per aiutare tutti a riprogettare la visione del futuro dell’uomo nel suo mondo e nella sua storia, divenuti anche mondo e storia di Dio. Ciò significa rivedere la nostra antropologia tradizionale non alla luce di ogni paventato transumanesimo tecnico scientifico, bensì di un umanesimo trascendente, capace di trascendersi continuamente. Trascendente non in senso puramente metafisico, ma trascendente i limiti: la guerra, la violenza, l’inimicizia, la paura tra gli uomini. Tutto ciò che ha rallentato, anzi ha impedito lo sviluppo di un umanesimo degno degli uomini perché degno di Dio e della sua immagine in lui. L’escatologia futura deve essere rivisitata nella concretezza di un progetto tendente alla felicità e che abbraccia l’oggi. L’incarnazione di Cristo, la sua risurrezione, l’invio del suo Spirito, di colui che dà la pace, non come la dà il mondo, ma dà la sua pace come dono condiviso e come compito da realizzare per la chiesa e gli uomini, ci immettono nella tematica del messianismo di Cristo e del conseguente popolo messianico (Lumen gentium, n. 9), cioè di noi tutti come chiesa. La fondazione biblica è dunque storico-teologica o, se si preferisce, teologico-storica. A iniziare dal regno di Dio, la basileia tou theoù, la sua regalità sulla terra, tendente a dare un nuovo ordine storico e cosmico secondo la sua ottica, il suo progetto e la sua «politica». È regalità condivisa con gli uomini. Regalità diffusiva e tuttavia da diffondere e concretizzare, oggi. Oggi perché non sia troppo tardi. Pace come regalità voluta da Dio per tutti i suoi figli, e pertanto convivenza dei popoli nella loro diversità e ricchezza. La lezione biblica, a partire dall’esperienza dell’esilio babilonese, ha abbracciato l’universalismo salvifico. Concetto non più peregrino ma direi determinante lo stesso messaggio biblico. Realtà teologica che si è innestata in quel filone che sembra attraversare la Bibbia come shalom in quanto benessere globale e non come pura assenza di guerra. La pace viene nel mondo attraverso il Messia e una delle caratteristiche principali del Messia è che egli realizza l’intento di Dio.[19] È nel messianismo che emerge al massimo grado il rapporto pace-giustizia: giustizia come giusta valutazione della realtà nel suo complesso e nella storia di ogni essere umano e giustizia come valore indiscutibile e riferimento evangelico delle vittime della violenza in tutte le sue forme. In particolare, nella crocifissione di Gesù e in quella di tanti di oggi, affiora la concatenazione pace-giustizia. Il discorso merita un affondo particolare, perché non si tratta solo di mettere in relazione due concetti, ma due realtà concatenate e problematiche. Dato il peso olistico di entrambe, bisogna cercare di indicare quanto costitutivamente la pace implichi la giustizia, perché non ci può essere pace senza giustizia e viceversa. Se la giustizia tende alla pace e questa ne è il suo frutto, vale anche la concatenazione opposta. Isaia afferma che «effetto della giustizia sarà la pace» (Is 32,17), Giacomo scrive: «Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace» (Gc 3,18). Si tratta di una reciprocità che rende valide entrambe le formulazioni «la pace nasce dalla giustizia», «la giustizia è frutto della pace». Sono asserzioni non peregrine, ma scaturenti dalla concezione teologica della presenza di Dio e della sua signoria (il suo regno) nella storia di Israele e nella storia umana. Certamente la giustizia deve tendere alla pace, né questa sembra possa venire se non si realizza la giustizia. È anche vero, rispetto alle guerre che sono in atto nel mondo, che, se la pace non viene, come tutti ci auguriamo, non bastano la diplomazia né le buone intenzioni. La pace non viene perché neanche nei programmi diplomatici c’è una progettualità di giustizia che accompagna i progetti di pace.

Ci sembra, appunto, che il futuro della pace passa attraverso la progettualità della giustizia in quegli ambiti e per quei fatti nei quali essa è violata, perché i diritti umani sono disattesi e la violenza ancora regna: sia palesemente sia in tutte le violenze occulte generate dall’ingiustizia.

Tratto da Orientamenti Pastorali n. 3/2024. EDB. Tutti i diritti riservati.

[1] Cf. https://bit.ly/49Q6WY8.

[2] Cf. le annate 2012-2013, iniziando da https://bit.ly/4ceg9LK, oggi https://www.mosaicodipace.it/.

[3] Cf V. Altomare e M.P. Borsetta (a cura di), Il Vangelo a S. Maria delle Grazie, La Mongolfiera, Doria di Cassano Jonio (CS), 2014; per una rapida informazione cf. https://bit.ly/48MHcdZ.

[4] Cf. https://bit.ly/43m0mGv.

[5] In G. Mazzillo, Teologia come prassi di pace, La Meridiana, Molfetta (BA) 1988.

[6] Cf. G. Mazzillo, «Verso una teologia della pace?», in Jesus, Numero speciale sulla pace, anno 1995, leggibile da:

http://www.puntopace.net/Mazzillo/TeologiaPacexJesus.pdf.

[7] Cf. G. Mazzillo, «Linee portanti del magistero ecclesiale sulla pace emerse successivamente a Lanza del Vasto», in Lanza del Vasto, Le due potenze. L’atomica e la nonviolenza, La Meridiana, Molfetta (BA) 2022¸ pp. 101-113.

[8] Su quest’argomento, oggi particolarmente attuale, segnalo l’interessante e puntuale dossier «Nuove tecnologie, intelligenza artificiale et etica», in MissioneOggi, annuncio / dialogo /liberazione, 9/10(2023)5, pp. 21-44.

[9] Cf. https://bit.ly/48O3VWU. Per le altre giornate mondiali della pace e la progressiva maturazione sul tema nei suoi tanti e coinvolgenti aspetti, compresi quelli del Vaticano II e successivamente a esso, cf. G. Mazzillo, «Commento sulla seconda parte del cap. V della Costituzione pastorale Gaudium et spes, su “La promozione della pace e la comunità delle nazioni”», in Commentario ai documenti del Vaticano II, S. Noceti – R. Repole (a cura di), VIII vol., EDB, Bologna 2019, pp 493-548. Contenuti espressi in maniera più essenziale sono reperibili al link: https://bit.ly/43dxCzv.

 [10] L’intero Compendio è leggibile direttamente dal link: https://bit.ly/3VbLpVh.

[11] «Sembra inoltre conforme a equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana» (Gaudium et spes, n. 79).

[12] Compendio della dottrina sociale della chiesa, n. 503.

[13] R. Eisenman – M. Wise (a cura di), Jesus und die Urchristen. Die Qumran-Rollen entschlüsselt, Bertelsmann, München 1993, p. 39.

[14] Regola della guerra: XI,10-12; da I manoscritti di Qumran, a cura di L. Moraldi, UTET, Torino 1986, pp. 313-314. Nel mio recente libro Da Gesù alla chiesa, San Paolo, Cinisello balsamo (MI) 2022, ho documentato le differenti e spesso contrapposte convinzioni sul messianismo, da quello radicale a questo sacerdotale, da quello del Battista a quello farisaico.

[15] Cf. G. Mazzillo, «Nella pace la nostra unica salvezza: riscoprire la nonviolenza di Gesù di Nazareth», in Vita cristiana. Rivista di ascetica e mistica 92 ns (2023)1, pp. 47-58.

[16] https://bit.ly/3PeGijB.

[17] Cf. Lanza del Vasto, Le due potenze. L’atomica e la nonviolenza, op. cit.

[18] Cf. «La pace: le sfide di oggi». È la pubblicazione 95 (datata n. 2, maggio-agosto 2023) di Horeb: tracce di spiritualità, edita dai carmelitani, che fa seguito a non pochi articoli comparsi in precedenti numeri della stessa rivista sul medesimo tema.

[19] Su questo tema, e soprattutto su come Gesù abbia vissuto la sua identità e la sua missione nel mondo in una corrente teologica senza soluzione di continuità, non posso fare che rimandare a quella parte della mia ricerca storica già citata: Da Gesù alla chiesa, soprattutto il cap. 8 (Dramma della crocifissione e continuità teologica, p. 257ss.).