Giancarlo Tettamanti – giornalista pubblicista, socio fondatore AGESC 

La storia della scuola italiana parte da una idea precisa: quella di forgiare l’italiano nuovo. Massimo D’Azeglio, nei suoi ricordi, evidenziò che «purtroppo si è fatta l’Italia, ma non si sono fatti gli italiani». Da qui la storia della scuola italiana e il suo rapporto con lo Stato, divenendo strumento dello Stato nel suo compito di plasmare la nazione in un certo modo determinato: la scuola, quindi, come agenzia principale dello Stato per l’integrazione sociale, culturale e territoriale delle diverse tradizioni storiche presenti nel paese, sia della civilizzazione e del processo d’azione. La scuola, quindi, come apparato dello Stato, intrecciando il suo operato in maniera uniforme, corollario di tutte le sue parti perché espressione di un unico disegno nazionale, centrale, di natura politica, giuridica, amministrativa e organizzativa, che non ammetteva – e non ammette – pluralità di parti separate.

Non facciamoci illusioni, oggi, del fatto che la legge 62/2000 ebbe riconoscere la presenza della scuola privata, cioè, costituita al di fuori del contesto statuale.

Certo, la scuola, chiamata paritaria, è stata riconosciuta come “ente pubblico”, ma questo riconoscimento è risultato infausto per la scuola non statale, poiché tale riconoscimento – di fatto inutile, poiché una istituzione (scuola) che opera al servizio della comunità è di per sé pubblica – ebbe sottoporre le scuole a orientamenti a disposizioni statuali che di fatto limitano la sua libertà. Ogni anno si parla di “autonomia”, ma la legge 59 del 1997 è risultata legge ingannevole. Tant’è che ha provocato un certo rilassamento negli ideali originali della scuola cattolica – e in genere delle scuole cosiddette paritarie – appiattitasi a essere soggetta alla equiparazione con la scuola statale, venendo meno ai suoi ideali obiettivi educativi e formativi. Qual è il sintomo che declina questa situazione? Il continuo riferirsi al concetto di “parità”. Cioè, quasi un rifiuto a considerarsi una scuola veramente “libera”, che rieduchi davvero all’umanità, con esperienze e sfide condivise. Come se senza “parità” e senza totale “autonomia” la scuola potesse essere una istituzione di fatto – data la sua diversa storia – fattore comunque reale di democrazia e di libertà.

A giudicare questa importazione della scuola italiana sta la convinzione della necessità di una istituzione “sopra” che sia di garanzia. Ma siamo veramente convinti che lo Stato sia compiutamente garante? Guardando la scuola d’oggi, e i giudizi che ci provengono anche dall’estero, la scuola italiana va totalmente ristrutturata perché non è in grado di garantire efficienza degli studi e della maturità culturale e umana di ciascun alunno a conclusione dei tredici anni di scuola; cioè, garante del percorso di fine scuola e di inizio del possibile cammino culturale ed operativo professionale e universitario.

La legge 59 del 1997, nel regolamento attuativo entrato in vigore nel 2000, ebbe a delineare gli scopi dell’autonomia: «L’autonomia delle scuole è una garanzia della libertà educativa e del pluralismo culturale, e sostiene la pianificazione e la realizzazione degli sforzi educativi che tendono allo sviluppo della persona umana, in risposta ai diversi contesti, ai bisogni delle famiglie e alle caratteristiche ‘specifiche della persona coinvolta, al fine di garantire ad essa il successo formativo, che consiste nel raggiungimento delle finalità e degli obiettivi educativi e di apprendimento. In tal senso a ciascuna scuola chiede di sviluppare un “piano dell’offerta formativa”, quel piano sottoposto all’attenzione delle famiglie e dei genitori responsabili della scelta della scuola per i loro figli». Così come scritto, sembrerebbe essere chiarito il fatto di una completa “autonomia”. In realtà non è stato così: nel 2001 questo percorso è stato completato e inficiato dalla cosiddetta “riforma del titolo V” della Costituzione, con un decentramento alle regioni che non negava, ma confermava la dipendenza dallo Stato della scuola italiana. Venne sancito e confermato un cammino della scuola italiana – statale e non statale cosiddetta paritaria – mediante l’art. 117 che così ebbe a riproporre vincoli statuali: «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle norme generali dell’istruzione». Come dire che il padrone non è cambiato: venne riconfermato l’addio alla vera “autonomia” delle scuole tutte, e la regimentazione delle scuole ai dettati nazionali. E quando qualcuno ebbe a credere che forse l’autonomia potesse avere attuazione concreta, tacitamente venne impedito lo sviluppo dell’idea.

E così è il discorso della “parità”, che a ogni momento di analisi della situazione scolastica ritorna a galla, come se la parità – particolarmente economica – non fosse altro che l’incentivo capace di migliorare la scuola. La scuola, il sistema scolastico, migliora solo attraverso il riconoscimento della libertà di istruzione e di educazione di ciascuna scuola, così come determinato al primo comma dell’art. 33 della Costituzione: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Da qui il concetto di scuola libera, che rappresenta l’unica soluzione al superamento della lunga deriva della scuola italiana, deriva che sembra essere ben lontana dall’esaurirsi. Al di là di ogni connotato pessimistico, appare ormai chiaro che la malattia che l’attanaglia consiste nella sua autoreferenzialità o, meglio, ai mondi che la circondano.

Questo stato di cose impedisce quindi alla famiglia di condividere con la scuola una corresponsabilità educativa, così come ai soggetti sociali del mondo del lavoro di condividere con essa un’azione comune. Da qui, di fatto, viene ancora condizionata la libertà di scelta scolastica dei cittadini. Il tergiversare oltre, rende incerto e dunque precario il futuro non soltanto della scuola ma della stessa comunità, se è vero, come è vero, che si educa soltanto nella libertà e che è a partire dall’educazione che si costruisce la società.