Ivo Lizzola – docente di pedagogia sociale e di pedagogia della marginalità e del conflitto Università degli Studi di Bergamo

La convivenza nostra, la tenuta e la coesione della nostra comunità nazionale, lo sfilamento dei legami, erano già evidenti prima dell’epidemia, della pandemia. Ora lo saranno ancor di più, con l’entrata in dissolvenza di profili di futuro, sul piano economico e occupazionale, su quello delle relazioni tra gruppi e soggetti sociali (sfidate e provate da impoverimenti e diseguaglianze ancor più marcate) su quello di un ethos civile e di una cultura dei diritti e delle responsabilità che dovrà fronteggiare risentimenti, rancori, spinte all’autoassicurazione, alla separazione e all’esclusione. Bellezza e bontà del vivere, giustizia e generosità, fiducia e speranza, fraternità sono dimensioni, esperienze dell’umano che chiederanno riseminazioni, ritrovamento di senso e di sorgenti. Fraternità di figli. Tempo duro d’attraversamento, tempo d’attesa e prova. Tempo opportuno, comunque tempo di Grazia? Certo tempo d’esodo e sperdimento; tempo d’esodo e d’inizio. In cui donne e uomini sperimentano la debolezza del credere. Un sinodo è un cammino, un cammino dentro un cammino. Quando si cammina all’aperto, come in esodo, a volte il cammino fatica a trovare dialoghi, orizzonti contro lo sperdimento, a tenere la Promessa e la capacità di annuncio. Molti incontri e territori attraversamenti appaiono estranei, ostili, indifferenti. È allora che occorre ascoltare il cammino. Occorre tornare ad ascoltare, trovare domande buone, incontrare chi è vicino e chi è lontano. Occorre raccogliersi e uscire, per poi ancora raccogliersi, riflettere e poi tornare a visitare. Una comunità in esodo deve farsi attenta, capace di serbare la Promessa, di coltivarne e scoprirne i tratti nel suo vivere, operare, incontrare, aprire strade e buona coltivazione. Una comunità cristiana in uscita cerca l’annuncio per esserne capace: nel tempo che le è dato, tempo decisivo, deve riconoscere, interpretare, tematizzare, ascoltare, incontrare. Il sinodo è un cammino di incontro e riflessione, di raccoglimento, di attento e umile contatto con il tempo, la vita, le storie. Una soglia, che è un cammino nel cammino di un popolo un po’ sperso, appunto. Il sinodo ha da essere una esperienza, intensa e aperta, una sosta e un cercare in ciò che si sta vivendo, provando, operando, incontrando. In ciò che cogliamo del dialogo e dell’interrogazione reciproca, continua tra la Parola, il vangelo di Gesù e la vicenda delle donne e degli uomini in questo tempo complesso e difficile, meraviglioso e terribile.  Se si darà così varrà per certa parte già in sé, per ciò che rappresenterà ed esprimerà come ricerca e lettura della Parola nel tempo presente, varranno già gli incontri, i confronti e gli ascolti; le domande fatte e quelle raccolte, gli orientamenti, i riorientamenti, le scelte che matureranno, la franchezza esigente nelle parole e nelle letture scambiate (dentro la comunità, sui suoi confini, con i vicini, e con i più lontani, i diversi o i separati incontrati in visita): tutto questo sarà già prezioso. E il cammino continuerà, impegnativo. Nella ricerca pratica di una storia comune, di legami fraterni ed esigenti, di dedizioni e riconoscimenti, di ricomposizione e giustizia.

Ci sono tre aree preziose che il cammino di ricerca, ascolto e parole di un cammino sinodale deve certamente attraversare, cui deve offrire accoglienza. Una prima è quella dei luoghi e delle questioni che rompono, separano, contrappongono nella convivenza. Una seconda area è quella delle fragilità, delle patologie, delle condizioni di vulnerabilità e di esposizione più delicate e difficili. Una terza è l’area diffusa e nascosta nelle pieghe delle città e dei territori dei silenzi delle abulie, delle anomie, degli abbandoni, delle depressioni.

Conflitto, vulnerabilità, senso del nulla non sono dimensioni di specifiche zone sociali, e di luoghi e condizioni particolari. Sono dimensioni antropologiche, territori delle interiorità di ogni persona. Un sinodo non può non incontrarle, «tenerle dentro», avvertirvi una chiamata alla conversione, l’attesa di un annuncio. Ascoltare nel cammino del sinodo operatori, esperti e responsabili di politiche sociali e del sistema giuridico sarà utile, ma importante sarà incontrare storie e attraversamenti di ferite e di riconciliazioni, dell’offendere e dell’essere colpiti, del ricostruire e del lasciare, del declinare e del rinascere. Di persone, di tessuti di relazione.

Un sinodo che vive dentro e di fronte alla crisi della politica e alla crisi sociale, può mostrare la possibilità di ricchezza della franchezza, delle diversità che si riconoscono e rispettano, del riconoscersi e distinguersi di una comunità dei cattolici, delle comunità e confessioni cristiane. Un sinodo nell’anossia spirituale e culturale d’Italia, e d’Europa, non può che essere respiro attento e che attende, esperienza di uscita per le strade e i crocicchi, come indica l’Evangelii gaudium, una occasione per convenire, convocare, essere chiamati, nessuno escluso. Sorpresa d’attenzione e di compagnia, di «avvicinanza» a chi è scivolato ai margini, o fuori.

Perché non tutto è dibattito o opinione, non ogni interpretazione o rappresentazione vale un’altra: c’è una verità del vivere che chiama e che va incontrata, c’è una Parola di vita che fa luce e che orienta a relazioni generative, capaci di cura, che fanno giustizia. Che ricompongono le scissioni e salvano.

Si può prefigurare un cammino di dialoghi e di compagnie, di confronti dentro e fuori le comunità, di ascolto reciproco delle attese e dei sogni di futuro. Con un tratto fortemente intergenerazionale. Cammino di conversone, di autoevangelizzazione, di condivisione del vangelo. In tutti i percorsi da intrecciare nel cammino la comunicazione e la riflessione andranno curate da luoghi e funzioni di presidio e di buona mediazione perché si dia nuova conoscenza, co-nascita. Preziosa sarebbe la crescita di un con-sentire tra differenze non (più) separate o addirittura ostili, un co-orientarsi, un tra-dursi. E un lasciare spazio giusto alle ricerche, alle offerte e alle specificità di linguaggi e carismi. Nel riconoscimento della sorgente comune: la Parola, nel suo dialogo continuo, atteso con la vita e la storia concreta delle donne e degli uomini, delle generazioni. La Chiesa, la comunità cristiana, è sempre convocata e chiamata a incontrare e rendere nuovo il suo volto nell’incontro con il vangelo e nell’incontro con la vicenda dell’uomo, di ogni donna e ogni uomo, del loro vivere insieme degli uomini e delle donne nel tempo. Un cammino sinodale dovrà essere capace di sostare, anche un po’ esitare, di non organizzare troppo rigidi criteri di lettura, né comunicazioni troppo determinate, troppa forza nei messaggi. In modo che la convocazione nel cammino del sinodo sia vissuta come occasione di narrazione e di ascolto, di discernimento e di verifica, di elaborazione e scelta. E sia, così, momento di Grazia, nell’incontro con la Parola e con la storia, con ciò che viviamo e che vive tra noi.

Certo, occorre organizzare un movimento, un processo complesso nel quale si rispettino:

  • il ritmo dell’ascoltarsi e ascoltare, del racconto e dell’interrogazione (con attenzione ai come, ai perché, ai verso dove, ai da dove), delle presenze/vicinanze e delle distanze/assenze;
  • il ritmo del discernere riflettendo, del distinguere/confrontare e del cercare/considerare, del pensare fedele e profetico, segnato da fiducia, speranza, inizialità;
  • il ritmo dello scegliere e dell’indicare, del muovere verso orientamenti e direzioni, dell’essere segno di contraddizione e del far nuove le cose, o del lasciare spogliandosi e dell’abbracciare eleggendo e decidendo;
  • il ritmo del celebrare, dell’invocare e dell’affidarsi, dell’alimentarsi alla Parola, alla preghiera comune, all’eucarestia, perché il sinodo serbi il suo cuore di evento spirituale.

Il sinodo come occasione per la chiesa, e per tutta la convivenza, di «trattare» con il profondo cambiamenti che attraversiamo: i poteri e i limiti delle tecnoscienze, la democrazia e libertà, gli specialismi e le ricomposizioni, la giustizia e l’eguaglianza, la cura della biosfera e la vulnerabilità, il plurale e l’appello al bene … Un sinodo come cammino per maturare un modo nuovo di proporre e di vivere il vangelo della gioia, del dono e della speranza nel tempo e nelle vicende di un Paese (e di un’Europa, un Mediterraneo) che sentono durezza e separazioni, violenza e sperdimento, crisi di una realtà simbolica e antropologica. Per riprendere conversazioni, incontri, anche forza di una vocazione all’oltre. Portando lo spazio sinodale, e il vangelo nei luoghi e nei momenti dove si concentrano significati e legami decisivi delle esperienze umane: la cura, l’educazione, il lavoro, la distribuzione dei beni, la giustizia, la povertà, la politica … Il vangelo non può non essere accolto, ascoltato, testimoniato che a partire dalle condizioni e dalle situazioni nelle quali uomini, donne, generazioni stanno costruendo la loro umanità. La comunicazione nel sinodo, del sinodo e dal sinodo è decisiva. A evitare «fruizioni» spettacolarizzanti, partecipazioni e rappresentazioni per schieramenti, «riduzione» a dibattiti, confronti, o contrapposizioni. La comunicazione dovrà essere attenta a non essere frammentata o dispersiva, magari per finire stretta su «sintesi» finali. Una comunicazione di movimenti, di individuazione di nodi e questioni, poi di percorsi e orientamenti. Le diversità possono essere generative, l’altro è necessario. Certamente nei movimenti dei cammini intrecciati del sinodo emergono anche giudizi e scelte, a riconfigurazione della missione delle comunità, dell’annuncio del vangelo, nello sforzo di comprensione. La «tenuta» dei cammini (e dei collegamenti tra questi) può comporre intreccio, trama e ordito chiede funzioni di servizio delicate, attente al riconoscimento e alla evoluzione, più che alla riduzione e alla sintesi. Senza temere di lasciare incompiutezze, anche qualche fragilità. Da ammettere, anzi evidenziare. Non servirebbe un sinodo con tutti allo stesso ritmo, con lo stesso linguaggio, allo stesso «traguardo». Solo su alcuni «tornanti» ritenuti importanti (e su cui siano avvenute maturazioni importanti) potrebbe essere, magari, opportuno chiedere di affrontare un confronto e una ricerca attorno due o tre prospettive, o indicazioni d’orizzonte o di pratiche. Aiutare e preparare bene un buon confronto è anche aiutare convergenze, riconoscimenti e apprezzamenti. Forse si può sperimentare una forma di discernimento comunitario senza ricerca dell’identico, senza esclusiva o prevalente attenzione alla costruzione di maggioranze. «Che cercate?» chiede Gesù nel Vangelo di Giovanni (1,38). Un cammino sinodale della Chiesa italiana può portare storie, esperienze, riflessioni per aprire a questo sguardo: «Che cercate?»: forse la fragilizzazione della nostra società, il senso profondo di incertezza, quando non di angoscia, in cui paiono crescere i problemi mentre decrescono le risorse per affrontarli (materiali, ma anche psicologiche, affettive, culturali…), può essere fronteggiata, abitata. «Che cercate?»: nelle organizzazioni, nei servizi, nelle iniziative; nel fare, nel gestire, nell’erogare; nella ansia di operatori, educatori, politici, coordinatori… È una domanda da serbare, da coltivare in sé, da tenere aperta tra noi, in spazi comuni che un poco vibrino dell’attesa di vita di donne e uomini affaticati e appassionati. L’esperienza dei cristiani può tenere viva questa domanda in forza della gratuità, della non- potenza, della generatività con cui si mantiene attenta ai mondi della vita.

Estratto del numero 4/2020 di Orientamenti Pastorali (EDB, tutti i diritti riservati)