Giancarlo TETTAMANTI – giornalista pubblicista, socio fondatore AGESC

La parola «cultura» è oggi usatissima e quasi mitica, da tutti esaltata e citata come indicazione di un «valore». Ma quale sia questo valore non viene mai detto.

Siamo in un momento storico in cui anche l’esperienza del passato – che pur va considerata perché il presente si costruisce su ciò che viene dal passato senza del quale l’uomo non può conoscere né se stesso, né il mondo: senza l’esperienza del passato, l’uomo non ha storia – non offre più una sicura guida per il futuro. La tradizione sembra non avere più ragione di essere considerata, per cui viene a mancare di riferimento per il futuro. Oggi è presente nella nostra società una profonda crisi morale, addebitabile alla trasformazione del senso comune e all’instaurarsi di una nuova coscienza collettiva. Crisi morale e crisi di cultura, la cui conseguenza comporta la riduzione del concetto di ragione, la riduzione dell’immagine di libertà e la mutazione del concetto di coscienza. Si tende sempre più a giustificare la convinzione che sia l’ambiente culturale e sociale a formare i valori in nome dei comportamenti.

Nel mondo restituito solo a se stesso e sciolto da qualsiasi rapporto con la realtà trascendente, l’uomo celebra il suo trionfo; la piena verità su di sé, il dominio totale sulla realtà. Il mondo di oggi, il mondo delle ideologie ateistiche, del progresso scientifico e tecnologico-sociale, ha portato l’uomo a un livello mai prima raggiunto sul piano materiale, ma non ha aiutato, e non aiuta l’uomo a prendere coscienza del proprio essere e a misurarsi lealmente con quelle esigenze costitutive del suo spirito, dalle quali dipende la verità della persona e della sua avventura nel mondo.

C’è in atto una realtà complessa, dotata di straordinari strumenti di conoscenza e di trasformazione, soggetto di un progresso irreversibile, luogo dove l’uomo è chiamato a elaborare la sua definitiva emancipazione. In ordine a questa concezione culturale ed esistenziale, sorprende, tuttavia, che parte del cattolicesimo soffra di un complesso di inferiorità; sembra che la funzione del cristianesimo debba ridursi a un elemento destinato a rendere più facile l’autoliberazione, aderendo nella storia e nella prassi a quella ideologia cui il mondo stesso affida la sorte dell’uomo di oggi.

Da qui un impegno da attuarsi nei rapporti personali e comunitari implicanti gli ambienti educativi, rendendoli attivi e attenti a quei principi non negoziabili – vita, famiglia, libertà educativa e religiosa – che riguardano l’uomo nella sua entità antropologica, e che hanno carattere fondativo. E ciò senza trascurare tutti quei valori – dono, impegno, onestà, etica, spiritualità, altruismo, lealtà, coerenza, gratuità, creatività … – pur importanti e non trascurabili, ma che trovano la loro radice e la loro vera dimensione nei suddetti principi.

Esiste una cultura cattolica? «La cultura vera, quella fondata sulla «Verità dell’uomo», deve ritornare a diventare costume, cioè a determinare principi e norme di comportamento, perché proprio all’origine del discorso sulla cultura è già presente questa fondamentale tematica dell’ethos». Così mons. Luigi Giussani, ebbe a chiarire in risposta alla domanda. «La verità, che la cultura pone alla base dell’esistenza, dimostra di essere tale se ha la capacità di generare da sé un complesso articolato di principi che nascono appunto dall’impatto tra la verità e i problemi concreti e reali della persona nella sua dimensione personale come in quella sociale. L’essere cristiano è radicato in questo fatto ed è chiamato a continuarli dando alla vita dell’uomo, le modalità di pensare, di volere, amare e agire, recuperando, così, «l’immagine e la somiglianza» secondo la quale è stato creato. In parole più semplici: la fede, creando l’uomo nuovo», pone le premesse per un mondo nuovo. Quell’uomo nuovo che è principio di un comportamento nuovo e diverso in tutti i campi, dove nuovo diviene il suo modo di esistere, di lavorare, di soffrire, di gioire, di associarsi, di attendere alla umanizzazione della natura. Quell’uomo nuovo, quindi, che tende per impulso intrinseco e connaturale a costruire una società nuova, una nuova storia, una nuova cultura. La fede, forza culturale che spiega la vita in tutti i suoi momenti, si fa cultura. Quella cultura che non è e non può essere possesso di nozioni, ma che rappresenta il frutto di una adesione, di una appartenenza, di una «sequela».

È questa «cultura» che chiama famiglia e scuola, a caratterizzare la loro «identità», ponendola come testimonianza e riferimento ai ragazzi e ai giovani che sono stati dati loro perché ne prendessero cura. Quella «identità» che rappresenta il giusto svolgimento della propria dimensione culturale, cioè il modo con cui la persona, seppur aiutata dalle conoscenze e dagli strumenti culturali che le sono stati offerti, si pone di fronte agli altri e alla realtà, e con capacità critica, la guarda, l’affronta, vi aderisce o tende ad una sua modificazione.

La questione della «identità», della verità dell’Io, di chi è l’uomo, è dunque decisiva per un educatore. Il tema della «speranza» sarà in futuro il tema in ordine al quale i giovani dovranno sempre confrontarsi.

Ciò è significativo in un mondo che tenta di esorcizzare l’uomo a fini speculativi, nascondendogli l’obiettivo della «Verità».