Federico LOMBARDI SJ – presidente della «Fondazione vaticana J. Ratzinger-Benedetto XVI»

Da diversi anni mi sento sempre più coinvolto dalla tematica delle donne nella vita della Chiesa. Del resto, penso che lo siamo o dovremmo esserlo tutti, poiché la nostra esistenza non è nemmeno immaginabile senza molteplici e continue relazioni con le donne, ed è assolutamente giusto che le donne si impegnino per vivere sempre più responsabilmente nella società e nella Chiesa e trovino in questo tutta la nostra solidarietà e collaborazione.

Come si può oggi immaginare che nella riflessione e nel formarsi degli insegnamenti e orientamenti della Chiesa le donne non entrino molto più che in passato? Devo dire che per fortuna segni positivi importanti non mancano. Nel campo degli studi biblici e teologici la presenza attiva delle donne è infatti aumentata considerevolmente. Era davvero urgente. E questo va incoraggiato nelle Facoltà teologiche, negli Istituti di Scienze religiose, nei seminari. Non si tratta di stabilire delle «quote rosa», ma è del tutto evidente che per questa via si può e si deve prospettare un arricchimento grande della comprensione delle Scritture e della riflessione teologica. Ad esempio, ci aiuta a essere molto più avvertiti nel purificare i messaggi biblici dagli aspetti legati a una cultura patriarcale maschilista e quindi a identificarne meglio il centro permanente.

È per fortuna ormai esperienza diffusa che nelle letture comunitarie della Scrittura il contributo delle donne costituisca un arricchimento necessario. Chi, se non le donne, può commentare con vera partecipazione e comprensione esistenziale episodi evangelici che le vedono protagoniste nella loro femminilità spirituale o fisica, come le unzioni di Gesù o la guarigione dal flusso di sangue (Luca 8,43-48)? Adesso, se cominciano davvero le donne, quante altre cose nuove, quanti altri tesori, punti di vista, sfumature, potremo scoprire? E questo è fondamentale e urgente anche per riaprire vie di interesse vitale per la Scrittura da parte di giovani donne (oltreché naturalmente uomini) che si stanno trasferendo molto rapidamente su un pianeta spirituale diverso da quello della nostra tradizione.

Se poi il contributo femminile alla lettura e all’interpretazione della Scrittura mi sembra già abbastanza evidente e apprezzato, non meno importante è e dovrà essere quello alla ecclesiologia, cioè alla intelligenza nella fede di ciò che siamo come Chiesa. Non solo perché le donne sono una parte «quantitativamente» grandissima, spesso preponderante, della nostra comunità ecclesiale, ma anche perché la crisi che la Chiesa sta vivendo in questi anni richiede urgentemente una riconsiderazione del rapporto fra il sacerdozio battesimale, comune a tutti i fedeli, donne e uomini, e il ministero sacerdotale, e in questo la posizione delle donne è di importanza determinante.

Papa Francesco non si stanca di ripetere che una delle grandi radici della crisi è il clericalismo, cioè una visione e una serie di comportamenti per cui il sacerdozio ordinato, riservato ai maschi, è vissuto come potere e non come puro servizio, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta non solo per i casi di vero e grave abuso di potere, di coscienza e sessuale, ma anche per le derive negative nella visione e nell’esercizio dell’autorità gerarchica nella Chiesa. Il sacerdozio ministeriale è invece per sua natura al servizio di quello comune dei fedeli battezzati.

Come allora superare il clericalismo maschile? Con l’ordinazione sacerdotale delle donne? Come sappiamo il magistero della Chiesa cattolica considera oggi questa una via non percorribile. Nonostante l’irritazione che ciò (anche per il tono a volte perentorio e continuamente ribadito) causa in molte sostenitrici e in molti sostenitori della promozione della donna nella Chiesa, lo stesso papa Francesco ha fatto notare che la «rivendicazione» del sacerdozio femminile, vissuta come tale, si colloca nella stessa linea del clericalismo, manifestando in fondo una ricerca di uguaglianza nel «potere».

Il sacerdozio battesimale e il ruolo della donna nella Chiesa

Ma non si può negare che la negazione alle donne del ministero sacerdotale comporti che le donne, a differenza degli uomini, devono vivere la loro vocazione cristiana in un rapporto «asimmetrico» rispetto alla gerarchia sacerdotale della Chiesa. Questa condizione ha assunto e assume spesso una connotazione di inferiorità e di umiliazione che molte donne hanno risentito nella loro vita e a cui nella cultura attuale sono diventate anche più sensibili, con la conseguenza di indebolire il loro senso di appartenenza e la loro identificazione con la comunità cattolica.

Proprio per questo diventa urgente approfondire ciò che significa per le donne il fatto di appartenere a Cristo, essere chiamate per il battesimo alla vocazione altissima di dare corpo e presenza alle realtà del Regno. In questa prospettiva ogni forma di esercizio del sacerdozio ministeriale come potere e non come servizio, ogni tentazione di vivere il presbiterato come appartenenza a una casta privilegiata, va definitivamente e decisamente superata.

Naturalmente il sacerdozio comune riguarda allo stesso modo uomini e donne. Ma le donne, proprio perché il sacerdozio ministeriale è loro negato, possono essere «come il lievito della conversione ecclesiologica» che comporta la rivisitazione del sacerdozio ministeriale. La Pelletier parla in tale contesto della «gerarchia inversa» dei due sacerdozi. Se il sacerdozio ministeriale ha una funzione essenziale di decentramento verso Cristo e il suo dono di grazia, essenziale alla vita della Chiesa, nello stesso mistero della Chiesa «le donne senza tale sacerdozio hanno una funzione non meno essenziale: funzione, questa volta di centraggio/ricentraggio che ricorda a tutti (chierici compresi) il centro di gravità di ogni vita evangelica, al di là dei ruoli, delle distinzioni e delle gerarchie che strutturano al presente l’istituzione ecclesiale».[1]

Conclusione

Se ora, in conclusione, vogliamo dare anche un rapido sguardo alla presenza attiva delle donne nelle strutture della comunità ecclesiale, propongo alcune considerazioni limitate all’ambito dove ho operato maggiormente negli ultimi decenni, cioè quello «vaticano».

A livello del governo della Chiesa, a mio avviso i passi più importanti riguardano il coinvolgimento delle donne nei processi «sinodali». Ad esempio, gli ultimi sinodi dei vescovi, fino a quello recente sulla Amazzonia, hanno visto una maggiore presenza e partecipazione femminile, anche se non si è ancora superata la soglia del poter «votare». Probabilmente il problema è che tale istituzione è nata appunto come sinodo «dei vescovi», espressione della collegialità «episcopale» messa tanto in rilievo nel Vaticano II. Ma è chiaro che si deve sviluppare ulteriormente il cammino, dato che il principio della sinodalità riguarda l’intera comunità ecclesiale.

Anche la presenza di donne a livelli dirigenziali nella curia romana e nei suoi organi consultivi più importanti è andata aumentando gradualmente nel tempo, come pure in altri organismi vaticani. Questo è un buon segnale che deve essere recepito anche ai livelli delle conferenze episcopali, delle diocesi, ecc. Il fatto di avere un laico come capo del Dicastero per la comunicazione è un segno significativo di questa evoluzione, che si è accelerata nel pontificato di papa Francesco e continuerà naturalmente con la maggior presenza femminile anche ad alti livelli in dicasteri come quelli della vita consacrata, dell’educazione, della cultura, dello sviluppo integrale, dei laici, della famiglia e della vita, nelle commissioni Teologica e Biblica, nelle accademie delle scienze e altre istituzioni culturali (ad esempio i musei) e così via.

(tratto da F. Lombardi, «Ascoltare di più le donne per crescere insieme nella Chiesa», in Orientamenti Pastorali 10[2020]. Tutti i diritti riservati. È possibile leggere l’intero articolo su questo link)

[1] A.M. Pelletier, L’Église, des femmes avec des hommes, Cerf, Paris 2019.