Giancarlo TETTAMANTI

La Presidenza della Conferenza episcopale italiana è intervenuta, con un comunicato stampa del 18 maggio, rilanciando la forte preoccupazione espressa da genitori, alunni e docenti delle scuole paritarie a fronte di una situazione economica che ne sta ponendo la sopravvivenza. Particolarmente significativo il passaggio in cui la CEI ha sottolineato che: «le (scuole) paritarie svolgono un servizio pubblico, caratterizzato da un progetto educativo e da un programma formativo perseguiti con dedizione e professionalità.  Le forme di sostegno poste in essere dal Decreto rilancio (rappresentano) un passo dal valore culturale», (tuttavia) «si chiede al Governo e al Parlamento di impegnarsi ulteriormente per assicurare a tutte le famiglie la possibilità di una libera scelta educativa, esigenza essenziale in un quadro democratico».

La posizione della CEI è stata determinata dall’esigua entità dei contributi definiti nell’aggiornamento del Decreto e stanziati nei confronti delle scuole paritarie (65 milioni per le istituzioni scolastiche dell’infanzia e 40 milioni per le scuole primarie e secondarie, a fronte di un miliardo e mezzo destinato alla scuola tutta) e che quindi ha determinato la perdita di una nuova occasione per dare le risposte economiche attese a sostegno dei diritti educativi/formativi/occupazionali di 900mila ragazzi, 400mila famiglie e 180mila lavoratori.

La Presidenza della CEI chiede «che non si continuino a fare sperequazioni di trattamento, riconoscendo il valore costituito dalla rete delle paritarie. (L’assemblea dei vescovi sta) verificando la possibilità di contribuire a sostenere alcune migliaia di studenti della scuola paritaria secondaria di I e II grado: si tratterebbe di circa 20mila borse di studio, un aiuto straordinario alle famiglie più in difficoltà, teso ad agevolare l’iscrizione al prossimo anno scolastico e a tutela di un patrimonio educativo e culturale unico».

 Va chiarito che il sistema di istruzione nel nostro Paese è un sistema governativo, costruito a partire dagli interessi e dagli assetti istituzionali e organizzativi della pubblica istruzione, che soltanto apparentemente attende ai diritti dell’utenza, dei cittadini singoli e associati. È fuori ogni dubbio che c’è il diritto della persona all’educazione, all’istruzione e allo studio; c’è la responsabilità dei genitori e delle famiglie, a cui compete il diritto/dovere di mantenere, istruire ed educare i figli. La Costituzione in tal senso è di una chiarezza estrema: infatti non solo riconosce ai genitori il diritto, ma detta loro anche l’obbligo di attendere compiutamente ai propri figli. Istruire ed educare significa avere la possibilità – o meglio il diritto – di scegliere fini, tempi, strumenti e mezzi per esercitare questa responsabilità, e quindi la dovuta libertà, che è alla radice del senso di responsabilità, di scegliere la scuola a cui indirizzare i propri figli; libertà questa che però non è rispettata a causa delle condizioni di ordine culturale ed economico che ne impediscono l’esercizio. Solo mettendo in primo piano persona e famiglia, si può superare il concetto di un sistema educativo/formativo scolastico rigido, ingiustamente e improduttivamente impostato su un centralismo istituzionale anacronistico nel contesto sociale attuale.

Cresce il numero dei genitori che intenderebbero esercitare il loro diritto di scegliere una scuola diversa da quella statale. La richiesta di una «parità autentica», cioè una «concreta pari dignità» e una «doverosa equipollenza economica», è una questione che toccando la scuola fa riferimento al fondamento stesso della società: la famiglia. Ne consegue che i beneficiari della «pari dignità» non sono gli enti gestori, ma le famiglie. Riconoscerle compiutamente è una questione di giustizia sociale e di rispetto dei diritti di ognuno e di tutti. Il sostegno per coloro che frequentano scuole non statali, cosiddette paritarie, va ritenuto doveroso, derivando, allo Stato l’onere finanziario per assicurare al cittadino la gratuità dell’obbligo scolastico e del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, dall’innegabile diritto costituzionale che egli ha per il fatto stesso di essere nato e non per il fatto di frequentare o meno una scuola dello Stato. Ma non solo: si tratta dell’assolvimento da parte dello Stato degli obblighi costituzionali derivanti dal combinato disposto dall’art. 34 della Costituzione.

La Repubblica italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Acquisite sono alcune conquiste di convivenza democratica, come il «principio di sussidiarietà» (titolo V – art. 118), e l’autonomia (L. 59/1997), che riconosce alle istituzioni scolastiche l’espressione di autonomia funzionale tesa alla realizzazione dell’offerta formativa, promuovendo il raccordo e la sintesi tra le esigenze e le potenzialità individuali con gli obiettivi primari del sistema di istruzione. Sistema che non può che essere libero!

Ne consegue che la stessa qualificazione legislativa di scuole pubbliche paritarie – cioè con riconoscimento concreto e totale della pari dignità – giustifica la legittima aspettativa non solo di ottenere leggi che assicurino l’esercizio e il rispetto di tale «dignità», ma anche condizioni economiche che assicurino l’utenza nel suo diritto di scelta.

Troppo spesso si dimentica, che il diritto positivo non è delle scuole ma del cittadino, che non solo deve essere considerato «uguale», ma deve poter usufruire di quella equipollenza economica che lo renda «uguale di fatto», e non soltanto sulla carta. Il cittadino ha diritto alla scuola dell’obbligo gratuita, ha diritto al prosieguo degli studi con tutte le agevolazioni possibili e necessarie di carattere economico, ha diritto all’istruzione e all’educazione, nel rispetto delle proprie responsabilità, che per quanto riguarda gli alunni delle scuole materne, primarie e secondarie di secondo grado ricade sui genitori. E, se portatore di handicap, ha diritto all’insegnante di sostegno, indipendentemente dalla scelta della scuola. Non è compito dello Stato sindacare sulle scelte educative dei genitori e sulle loro responsabilità. Le ipotesi di limitatissimo sostegno che vengono annunciate nell’ambito del diritto allo studio restano ipotesi inique. Se l’istruzione è, oltre che diritto individuale, anche «bene pubblico», è illegittimo limitare tale libertà introducendo ragioni di disparità economiche.

Cosa auspichiamo?

  • Un’autentica autonomia della scuola – non un semplice decentramento – in cui si possa operare liberamente in termini culturali, programmatici, didattici, organizzativi: una «scuola libera»;
  • il riconoscimento della «pari dignità» della scuola non statale con quella statale;
  • che quanto lo Stato raccoglie per l’istruzione attraverso le imposizioni fiscali (imposizioni che coinvolgono tutti i cittadini, indistintamente), venga egualmente distribuito ai cittadini medesimi con equità e giustizia, rimuovendo tutti i condizionamenti economici che attualmente determinano disparità e discriminazioni tra membri dello stesso Stato;
  • che lo Stato italiano superi l’attuale convinzione tesa a far intendere – come già ebbe a fare il Ministero, in occasione del «ricorso» all’UE da parte dell’AGESC nel 1998 – che nel nostro Paese la libera scelta scolastica è possibile, tuttavia tralasciando di dire che detta libertà è profondamente inquinata dal condizionamento economico, che ne rende di fatto impossibile, o comunque fortemente limitato, l’esercizio;
  • e soprattutto che si abbia a cancellare il «falso ideologico» e la scorretta informazione a livello europeo, secondo la quale nel nostro Paese «le famiglie godono di una libertà completa di scelta in materia di istruzione e sono libere di impartire l’educazione ai propri figli in scuole statali, in scuole private e a domicilio», e che nonostante «questa totale libertà, la maggioranza delle famiglie sceglie la scuola pubblica statale».

Non è giusto secondo noi sostenere la mancanza di contributi alle scuole non statali paritarie, affermando che le scuole non hanno alcun diritto di pretendere il sostegno economico: la scorrettezza non sta nel fatto che questo diritto non appartiene alle scuole, ma nel fatto che colpevolmente si tace di dire che esso è indubitabilmente del cittadino, dei genitori e delle famiglie, in un contesto di paritaria considerazione riservata a coloro che scelgono la scuola statale.

L’aiuto della Chiesa con la prospettiva delle 20mila borse di studio, si accompagna a una offerta di «unione delle forze per non far venir meno un’esperienza che trova cittadinanza in ogni Paese europeo, mentre in Italia sconta ancora pregiudizi che non hanno alcune ragion d’essere» (cf. Comunicato stampa della CEI).

Concludo con una chiarificazione di Luigi Negri: «Al totalitarismo laicista va contrapposta la priorità della persona umana alla società; la priorità della società allo Stato. A quest’ultimo va negata ogni soggettività “etica” e quindi ogni principio di totalizzazione della vita personale e sociale, assegnandogli invece compiti di regolazione e promozione della libertà della società» (Ripensare la modernità, Ed. Cantagalli, Siena).

Giancarlo Tettamanti, giornalista, socio fondatore Associazione genitori scuole cattoliche (AGESC)