Il magistero del compianto Papa Francesco ha sempre esortato a “immischiarsi”, ovvero a non rimanere indifferenti di fronte ai problemi sociali: lavorare attivamente per la pace, una pace autentica, che non si costruisca accumulando armi ma attraverso dialoghi e processi di riconciliazione; trovare un consenso tra le diverse posizioni politiche, specialmente riguardo all’immigrazione e ai diritti umani.
Perché un cristiano dovrebbe mettersi in politica? Per essere parte integrante della società, per mettersi in gioco, per affrontare le difficoltà e contribuire a risolverle. Stiamo assistendo a un mondo frammentato da divisioni etniche e tribali contrapposte, fenomeno che a volte riguarda anche la Chiesa stessa. Non abbiamo bisogno di cristiani impegnati nella vita pubblica solo per sostenere le loro idee; è necessario invece avviare processi di dialogo con tutti coloro che cercano interazione, utilizzando anche i canali moderni. Il cristiano in politica dovrebbe evitare la rivendicazione di spazi di potere, contribuendo invece a un cambiamento significativo e duraturo nel dibattito politico. I cristiani devono diventare “lievito” all’interno delle forze politiche esistenti, promuovendo una visione integrale della vita umana che contempli tutte le sue dimensioni, dalla nascita alla dignità di ogni persona, senza cadere nel riduzionismo. Il dialogo e l’impegno possono portare a risultati positivi anche di fronte a sfide considerevoli.
Come motivare i cristiani a impegnarsi nel sociale? È importante creare osservatori per motivare chi ha questa disponibilità, valorizzando il ruolo dei laici impegnati.
In questo numero contributi di Marco Tarquinio, Bruno Bignami, Vincenzo Corrado, Anselmo Palini, Gianni Borsa, Giuseppe Notarstefano