Giacomo Ruggeri – pastoralista

È una realtà in aumento in tante diocesi italiane. La vocazione dell’eremita diocesano è un fenomeno che si sta strutturando sempre più nella Chiesa che in Italia (circa 500, in crescita). Come tutte le realtà che muovono i primi passi nel tessuto ecclesiale, in forma inizialmente embrionale sino ad avere una sua consistenza anche di capillarità e visibilità, necessitano una regolamentazione. Ed è per questo che nel 2021 il Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica ha redatto gli Orientamenti dal titolo “La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare. Ponam in deserto viam (Is 43,19)”[1].

Metamorfosi della solitudine

La vita eremitica di donne e di uomini, ieri come oggi, si esprime nella scelta di vivere la ricerca intensa ed esclusiva dello sguardo di Dio. Essa è mossa dal desiderio di unione intima con Lui, a Lui solamente si consegna nella più rigorosa separazione dal mondo. Gli Orientamenti del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, in linea con la tradizione della vita eremitica e nell’ambito del can. 603, si rivolgono in particolare agli eremiti ed eremite che dipendono direttamente dal Vescovo diocesano e osservano sotto la sua guida la forma di vita che è a loro propria. Il volume contiene in Appendice la Formula di propositum e di professio.

Il Codice di Diritto Canonico al n. 603 così recita: «§1. Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella assidua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo. §2. L’eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se professa pubblicamente i tre consigli evangelici, confermandoli con voto o con altro vincolo sacro, nelle mani del Vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il programma di vita che gli è propria».

La vita eremitica si è modellata, e allo stesso tempo ne ha subito l’erosione, al proprio tempo. Dalla solitudine materiale “Arsenio, fuggi gli uomini!”[2] alla solitudine del cuore “Arsenio, resta nella quiete (quiesce, hesýchaze)!”[3] alla solitudine del silenzio “Arsenio, taci!”[4]. Anni fa andai a conoscere Antonella Lumini[5] (Associazione Pustinia Italia), nel centro di Firenze. Alcune ore condivise assieme a un the e dei biscotti, sono stato accolto in quella che ho pensato in me come la cella di città, semplice, essenziale, adornata dal silenzio. L’ape nella cella lavora, produce il miele, vi passa gran parte della sua vita e in essa muore. Penso che l’eremita diocesano, per essere tale, abbia necessità (come la cella per l’ape) della sua pustinia (deserto in russo), ovvero, di nascere, crescere, vivere, ed imparare a morire, nella propria interiorità verso una solitudine sempre più abitata e centrata in Cristo.

La vita eremitica nella cultura della singolarità

«Ovunque si guardi nella società contemporanea, a emergere è non il generale, ma il particolare»[6]. Nelle storie di vita delle eremite e degli eremiti diocesani (riuniti fra loro in alcune occasioni a livello nazionale[7], a Lucca nel 2022 si è svolto il Sinodo degli Eremiti italiani) ciò che li contraddistingue è un tratto particolare che si è maturato negli anni. Ovvero: dal prete diocesano parroco in una grande parrocchia e che ora abita in un borgo di 4-5 persone, alla suora che abita nella canonica di una piccolissima parrocchia, al prete che abita in un appartamento al centro di Roma, al prete che ha un suo blog dove pubblica riflessioni, scrive libri[8]. Vi è l’eremita diocesano che abita in città e chi abita arroccato sul monte; chi abita in una piccolissima canonica e chi in un piccolo borgo. Ogni eremita forgia la propria regola di vita da presentare al vescovo diocesano: non c’è un modello uguale per tutti gli eremiti, perché il luogo, il lavoro per la sussistenza, la piccola accoglienza, il possibile servizio al territorio sono pensati all’interno della storia di vita dell’eremita.

Dal punto di vista della teologia pastorale ritengo che la realtà delle eremite e degli eremiti diocesani in Italia nel tempo attuale meriti una riflessione strutturata e argomentata. Non credo che sia un fenomeno, per così dire, passaggero. La pastorale italiana, nel suo insieme, è bene che sia provocata dall’eremitismo italico nelle sue poliedriche forme. Penso alla rivoluzione industriale del secolo scorso e alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale di oggi (e siamo solo all’inizio): la singolarità è uno dei prodotti, non l’unico, della cultura tecnocratica. L’accelerazione della tecnica ha accelerato il singolarismo: «la logica sociale delle singolarità consegue una capacità strutturante nell’economia, nelle tecnologie e nel mondo del lavoro, negli stili di vita e nelle culture quotidiane, nonché nella politica»[9].

Eremite e eremiti diocesani, porte di umanizzazione

«Quella dell’eremita non è una vita in cui la singolarità, e quindi la soggettività, assurge a criterio del tutto, ma una vita in cui la pluralità – quella che portiamo dentro e quella del mondo – trova il suo senso alla luce dell’Unico necessario, integrando la complessità dell’io di ciascuno come in un microcosmo»[10]. Alla porta delle eremite e degli eremiti diocesani bussa ogni tipologia di persona. Assieme ai monasteri, ai santuari e alle basiliche presenti in Italia, credo che le 2-3 stanze per l’accoglienza dove vive l’eremita sono una sosta per l’ascolto, l’accompagnamento, la condivisione della reciproca umanità. Le eremite e gli eremiti diocesani rappresentano quelle porte di umanizzazione e di compassione (cum panis, mangiare lo stesso pane nelle reciproche storie di vita) in stretta sinergia con il territorio dove abitano, in primis le parrocchie, perché «prima che una questione religiosa, la compassione è una questione di umanità! Prima di essere credenti, siamo chiamati a essere umani»[11].

Tratto da Orientamenti Pastorali 7/8(2025). EDB. Tutti i diritti riservati. 

[1] Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare. “Ponam in deserto viam (Is 43,19)”. Orientamenti, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, pp. 76, € 7,00.

[2] Detti dei padri, Serie alfabetica, Arsenio 1 (cf. Vita e detti dei padri del deserto, p. 94).

[3] Ibid., Arsenio 2 (cf. Vita e detti dei padri del deserto, p. 95).

[4] Ibid.

[5] Fa parte della “Rete sulla via del silenzio” assieme a: Fra Emiliano Antenucci ofm Cap, Rettore del Santuario della Madonna del Silenzio; Padre Guidalberto Bormolini, comunità dei Ricostruttori nella preghiera; Fabio Colagrande, coordinatore della Rete sulla via del Silenzio; Marco Guzzi, fondatore Movimento culturale “Darsi pace”; Enos Mantoani, coordinatore nazionale della Comunità Mondiale per la Meditazione Cristiana – WCCM Italia; Don Moreno Migliorati, parroco, Diocesi di Gubbio-Città di Castello; Juri Nervo, Eremo del Silenzio e Onlus EssereUmani.

[6] A. Reckwitz, La società della singolarità. La trasformazione strutturale della modernità, Milano, Meltemi, 2025, p. 43.

[7] Nel settembre 2021 presso il Santuario di Castelpetroso, in Molise, si è tenuto il primo raduno di eremite e eremiti italiani su iniziativa dell’arcivescovo di Campobasso-Bojano, mons. Giancarlo Maria Bregantini, organizzatore dell’incontro.

[8] Esempio: alessandrodeho.com

[9] A. Reckwitz, La società della singolarità, p. 521.

[10] Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, La forma di vita eremitica nella Chiesa particolare, n. 16.

[11] Leone XIV, Udienza generale, 28 maggio 2025.