Chiara Franchitti – Istituto di Storia del cristianesimo “Cataldo Naro” della PFTIM (Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale)
Se papa Leone ha esordito da papa, nel suo primo saluto dell’8 maggio, con «La pace sia con tutti voi!» (Gv 20, 19.21.26); il giorno dopo, il 9 maggio, nella Missa pro Ecclesia con «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16); l’11 maggio, nella Messa nella cripta di San Pietro, con «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27); il 12 maggio, agli operatori della comunicazione con «Beati gli operatori di pace» (Mt 5,9); non poteva non esordire il 14 maggio, in occasione del Giubileo delle Chiese orientali, con «Cristo è risorto. È veramente risorto!», un saluto che – come lui stesso ha ricordato ai presenti – «in molte regioni, l’Oriente cristiano in questo tempo pasquale non si stanca di ripetere, professando il nucleo centrale della fede e della speranza». Del resto, papa Leone se di Pietro è il successore, di Cristo è il vicario. Ma che significa l’Oriente cristiano? Chi sono le Chiese orientali? Già il Conclave aveva in qualche modo riacceso i riflettori a riguardo, grazie alla presenza fra i 133 cardinali, oltre che di due domenicani distinguibili dagli altri per l’abito bianco, anche di cinque cardinali “vestiti in modo diverso dagli altri”. Ebbene, si tratta dei cardinali sempre della Chiesa cattolica, ovviamente, ma appartenenti a riti diversi da quello romano. La Messa a cui siamo abituati in Italia segue il rito romano, sebbene anche nella nostra stessa penisola eccezioni esistano. Infatti, si celebra ad esempio con rito bizantino nelle eparchie di Lungro (Calabria) e Piana degli Albanesi (Sicilia) appartenenti alla Chiesa cattolica italo-albanese. Sempre con rito bizantino in Italia si celebra anche nell’abbazia territoriale di Santa Maria di Grottaferrata (Lazio). Poi in alcune zone della diocesi di Milano, in particolare nei decanati di Monza, Treviglio e Trezzo sull’Adda è presente il rito ambrosiano con le proprie tradizioni liturgiche. Nel monastero di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, invece, si celebra con rito armeno ed esistono ancora altre Chiese Orientali, sempre in Italia, di rito caldeo e siriaco. «Le tradizioni liturgiche, o riti, attualmente in uso nella Chiesa sono il rito latino (principalmente il rito romano, ma anche i riti di certe Chiese locali, come il rito ambrosiano o di certi ordini religiosi) e i riti bizantino, alessandrino o copto, siriaco, armeno, maronita e caldeo» (CCC 1203).
Tra i cardinali presenti all’ultimo Conclave, abbiamo notato Mykola Bychok, rappresentante della Chiesa greco-cattolica ucraina; George Jacob Koovakad, rappresentante della Chiesa Cattolica siro-malabarese; Louis Raphaël I Sako, rappresentante della Chiesa Cattolica caldea; Baselios Cleemis Rito, rappresentante della Chiesa cattolica siro-malankarese; Berhaneyesus Demerew Souraphiel, rappresentante della Chiesa cattolica etiope. Ma esistono anche cardinali rappresentanti di altre Chiese, come Béchara Boutros Raï della Chiesa cattolica maronita o Lucian Mureșan della Chiesa greco-cattolica rumena, non votanti in conclave solo per superato limite di età, oltre a esistere altre Chiese cattoliche non rappresentate da cardinali (come la Chiesa greco-cattolica melchita, la Chiesa greco-cattolica rutena, la Chiesa armeno-cattolica e altre). Il collegio cardinalizio è dunque lo specchio di un mosaico costituito da tante pietre diverse e preziose che insieme costituiscono la meraviglia della Chiesa. Il cardinale Matteo Maria Zuppi nella Messa dell’11 maggio per papa Leone affermava tra l’altro: «…Mettiamoci al servizio, siamo umili nel servizio, aiutiamo tanto, in questo momento in cui “il divisore” è così forte, arma i cuori, li rende incapaci di voler bene, li riempie di paure, fa credere che il “mio” è contrapposto al “nostro”, che l’“io” sta meglio senza il “noi”, come se il prossimo fosse una limitazione, un concorrente e non l’indispensabile via per la salvezza. Davvero ho sperimentato nel Conclave e nelle congregazioni (le congregazioni erano la discussione tra i cardinali, molto libera in cui ognuno presentava le proprie difficoltà, le proprie sottolineature, le proprie esigenze, i propri ringraziamenti – come papa Francesco ha insegnato – con tanta parresia), ho sperimentato nel Conclave e nelle congregazioni che lo hanno preceduto tante differenti sensibilità, preoccupazioni, anche tante provenienze diverse, davvero c’era tutto il mondo. Eppure, proprio per questo tanta forza di comunione. L’armonia, a volte più faticosa, ma l’armonia di doni che liberi dal protagonismo diventava una ricchezza per tutti. Il protagonismo fa diventare “solo per me”. Quando siamo liberi da questo ognuno di noi diventa una ricchezza, una vera forza. E francamente interpretare le differenze come divisioni o conflitti o calcoli e non comprendere la bellezza della Chiesa (ma ripeto, non perché non ci siano differenze, anzi, la Chiesa che si pensa insieme) è ignorare la scelta d’amore che ci unisce e anche la centralità del vero unico Pastore che è Cristo, la cui voce è sempre di amore e richiama ad amare. E davvero la Chiesa accoglie tutti, non perché ridotta ad albergo, ma perché tutti si sentano e si sentono a casa – in questo vi è una grande eredità di papa Francesco – perché tutti sono figli ed è la loro casa, non un po’ di meno. Non perché accetta tutto, ma perché cambia tutti e tutto rendendo tutti figli e amati. Amore e verità…». E questi servizi, comunione, amore, armonia, accoglienza, ricchezza, forza, bellezza sono caratteristiche proprie della Chiesa, innanzitutto cattolica, che per natura è aperta sin dall’etimologia del termine stesso, ma non solo.
Pensiamo solo un attimo al cammino ecumenico, sulla scia del quale Papa Leone si sta già ponendo sin dalle sue prime apparizioni nelle bianche vesti petrine. Papa Francesco, infatti, aveva sempre manifestato da un lato apertura e contemporaneamente continuità, avendo seguito una linea di sviluppo progressiva e continua inaugurata da Paolo VI; la novità di Bergoglio in ambito ecumenico è stata nello stile. Se prima di lui parlando di unità si pensava a una meta comune, Francesco ci ha aiutato a ripensare la stessa categoria teologica di unità (a partire dal Discorso tenuto alla Plenaria del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani il 10 novembre 2016). L’unità si realizza camminando insieme, per cui il punto di partenza non è più l’unità nella metà, ma nel cammino. Questo passaggio non pone più l’accento sulla dottrina, ma sull’esperienza e accentua sia il desiderio sia la possibilità di dialogo. Non elimina la tendenza verso l’unità, ma non la pone più come punto di partenza. Non si può pensare di essere prima tutti d’accordo e celebrare tutti insieme lo stesso rito e nello stesso modo per potersi incontrare, ma prima ci si incontra, si condividono esperienze e insieme si cammina verso l’unità. Dunque, un’idea di unità non statica ma dinamica, non teorica ma esperienziale. Si potrebbe pensare con una metafora a un’idea di unità sinfonica o polifonica che non parte dal superamento delle diversità ma che anzi nasce proprio da esse. La Chiesa che già per sua natura non può non essere dialogica, in particolare con gli altri battezzati, oggi in special modo ha una vocazione ecumenica.
Le Chiese nella Chiesa, un “ambiente condiviso”
Dopo una breve panoramica sui diversi riti di cui è ricca la Chiesa cattolica, per comprendere meglio la questione di per sé complessa è necessario fare un passo indietro. Durante i primi concili della Chiesa nascente si andava definendo sempre meglio il credo, la fede in Gesù, il Cristo. Molti cristiani di allora (come anche molti di oggi, del resto, come ci ha ricordato limpidamente papa Leone il 9 maggio durante la Missa pro Ecclesia) partendo dalla comune fede in Cristo, con la pretesa di riuscire a comprenderne e a spiegarne ogni aspetto, finivano per cadere in eresia. Nascevano così ad esempio gli ariani (secondo i quali Gesù aveva la sola natura umana) o viceversa i monofisiti (secondo i quali Gesù aveva la sola natura divina) o i monoteliti (secondo cui erano sì presenti le due nature, ma la volontà era una sola) o ancora i nestoriani (che pur riconoscendo la presenza in Gesù di due nature consideravano Maria madre della sola natura umana) e così via. Ciò è detto in maniera molto sintetica, superficiale, semplificata e banalizzata, ma tali questioni sono state causa di scismi, guerre, condanne, odio e sangue versato per molti secoli. Per questo dopo ogni concilio nascevano nuove Chiese, le quali si distaccavano da quella esistente prima del concilio in questione, non riconoscendo uno dei dogmi da esso proclamato. Nel corso del tempo e della storia però, molte delle Chiese un tempo staccate, si sono riunite alla Chiesa cattolica con a capo il Papa, pur conservando i loro riti tipici, paramenti inclusi.
L’ecumenismo richiamato a volte esplicitamente ma tante volte anche implicitamente in questi giorni ci ricorda un’apertura e un’unione ancora più ampia, quella dei figli di Dio amati, indipendentemente da ogni etichetta identificativa. Tante volte per scarso interesse o per poca conoscenza se si parla di cristiani si pensa al massimo a cattolici, ortodossi e protestanti, ma come abbiamo velocemente accennato pocanzi i cattolici sono tanti, ogni Chiesa ha le sue proprie caratteristiche che insieme costituiscono il poliedro, per utilizzare ancora una figura efficace tanto cara a papa Francesco. E così anche i protestanti e gli ortodossi. Ci sono le Chiese protestanti (anglicani, valdesi, luterani, calvinisti, presbiteriani, battisti, metodisti, evangelici, pentecostali e altri) e le Chiese ortodosse (propriamente e impropriamente dette). Le principali sono la Chiesa ortodossa greca, la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa ortodossa serba, ma ci sono molte altre chiese autocefale e autonome in tutto il mondo. Le Chiese ortodosse sono state parte della Chiesa cristiana in Oriente sin dagli inizi. Le loro radici risalgono al Concilio di Calcedonia (451 d.C.), dove la Chiesa si divise in cattolica romana e ortodossa orientale. Da allora, le chiese ortodosse hanno mantenuto la loro identità e autonomia, con il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli come la principale autorità religiosa. Questo sempre il generale, perché poi esistono Chiese calcedonesi e Chiese non calcedonesi o Chiese che nel corso dei secoli hanno rivisto la propria posizione, ma di questo e molto altro ne parleremo un’altra volta. Ora è solo bello almeno in parte capire e comprendere di esser parte di un’unica grande famiglia poliedrica, come abbiamo detto amava definirla Papa Francesco, e ci si augura sempre sinodale.
Inoltre, oggi non sono il papa o il patriarca delle persone singole che si occupano dell’ecumenismo, perché tutti viviamo immersi in contesti ecumenici (proprio nel senso etimologico di “ambiente condiviso”), è innegabile. I flussi migratori e le tante persone o famiglie che per motivi di lavoro, di guerra, di povertà, si sono stanziate anche in modo stabile in un’altra nazione diversa dalla loro di provenienza, hanno fatto sì che non ci sia paese o persona che non si trovi a confrontarsi con l’altro appartenente a un altro popolo o a un’altra religione. Partendo dalla presa di coscienza di questo punto di vista, un discorso sull’unità” oggi da priorità alla condivisione esperienziale più che alla discussione teologica.
«La Chiesa cresce nella fedeltà allo Spirito Santo quanto più impara a non addomesticarlo, ma ad accogliere senza paura e al tempo stesso con serio discernimento la sua fresca novità. Lo Spirito Santo è sempre novità. Sempre. E dobbiamo abituarci. È novità che ci fa capire le cose più profondamente, con più luce, e ci fa cambiare tante abitudini, anche abitudini disciplinari. Ma Lui è il Signore delle novità. Gesù ci ha detto che Lui ci insegnerà; ci ricorderà quello che Lui ci ha insegnato, e poi ci insegnerà. Dobbiamo essere aperti a questo» (Papa Francesco, Discorso alla Plenaria del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, 28 settembre 2018).
È dunque necessario leggere l’unità, il cammino e il dialogo come voluti dallo Spirito Santo, da Dio stesso, che si fa nostro compagno di viaggio in questo cammino ecumenico, che è un cammino di conversione.
La Chiesa non esita a rivolgere la sua parola a tutti gli uomini. Del resto tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dai confini visibili della Chiesa cattolica: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Anche le non poche azioni sacre per il cattolicesimo che vengono compiute da fratelli da noi separati possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia.
In sintesi, si può affermare che le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa. Infatti, com’è scritto nella Lumen gentium (n. 16): «Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna». Tutti gli sforzi in favore dell’ecumenismo a partire dal Concilio Vaticano II non sono stati e non sono vani. Benché la Chiesa cattolica sia stata arricchita di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri non sempre se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore. È necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promanati dal comune patrimonio. Tuttavia, le divisioni tra i cristiani impediscono che la Chiesa realizzi la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col Battesimo, ma che sono separati dalla sua piena comunione. La partecipazione dei fedeli alla comunione ecumenica cresce ogni giorno. Tutta la Chiesa – sia i fedeli che i pastori – è interessata e coinvolta in questa riforma volta al ristabilimento dell’unione. E la riforma nella Chiesa non è un esercizio di innovazione, ma di fedeltà. Ri-forma: riprendere la forma “Cristo-Chiesa” (Cfr. Armando Nugnes, Riforma Ri-configurazione a Cristo, Rassegna di Teologia 58 (2017) 145-158).