Celebrare oggi l’anniversario del Concilio di Nicea significa interrogarsi sulla Chiesa del futuro, su come custodire la fede senza irrigidirla in formule, e su come tenere insieme dogma e libertà di pensiero. Cercare Cristo è ancora il compito assegnato alla nostra epoca, nella diversità dei contesti storici e culturali.
La professione di fede cristiana, proprio nella dimensione trinitaria che trova spazio anche a Nicea-Costantinopoli, ha una ragione e un fondamento cristologico: come dire oggi questo?
La convocazione e lo svolgimento del Concilio del 325 – e anche delle assisi successive – vede uno scenario di costrizione all’interno del quale si apre anche uno spazio di libertà. Qui si collocano anche le riflessioni teologiche: non è fuori luogo tenerne conto anche nella attualità.
Celebrare l’unità, del passato, e i “passi necessari” (Wadi el Natrum) mettono in evidenza la portata ecumenica, in senso contemporaneo del termine, dell’anniversario Niceno. Si tratterebbe di presentarne le sfide, discutendo anche le possibili ingenuità connesse con il lessico di unità.
Al cuore della sfida nicena si staglia la questione del linguaggio, che vuol dire anche la questione delle culture e degli immaginari. Questioni urgenti, oggi più che mai.
Come è noto, a Nicea non si discusse solo di come “dire il Dio della nostra salvezza”, ma anche di come celebrarne la salvezza: si tratta non solo della data della Pasqua, ma della prassi celebrativa al cuore della fede. Non solo allora.
Se da un lato abbondano comunicazioni digitali in video su Nicea (webinar o più genericamente trattazioni verbali), sono da intercettare ed elaborare sintesi a essa dedicati e con impatto immediato.
In questo numero contributi di Cristina Simonelli, Ludwig Monti, Rocco d’Ambrosio, Carlo Pertusati, Giuseppe Laiti, Marco Gallo, Fortunato Ammendolia