Anselmo Palini, saggista
La guerra, una costante nella storia umana
Da quando, all’alba dei tempi, Caino ha ucciso Abele, è stato tutto un susseguirsi di conflitti con guerre di conquista e di indipendenza, guerre rivoluzionarie e guerre controrivoluzionarie, guerre sante e guerre di religione, guerre difensive e guerre offensive… fino alle due guerre mondiali e alle bombe atomiche su Hiroshima e su Nagasaki. Con la creazione delle Nazioni Unite si pensava che la guerra fosse ormai un’opzione non più prevista per la soluzione delle controversie internazionali. E invece no. Dal 24 febbraio 2022 la guerra sta sconvolgendo l’Ucraina dopo l’invasione russa e dal 7 ottobre 2023 sta devastando la striscia di Gaza con gli orrendi massacri causati dall’intervento israeliano per vendicare l’orrore compiuto da Hamas.
Si vis pacem para bellum
Di fronte alle guerre che stanno interessando direttamente l’Europa e il Medio Oriente, la risposta che da subito è stata messa in atto è quella militare, convinti del fatto che per giungere ad una condizione di pace l’unica strada da percorrere sia quella delle armi. Prima conseguenza di una tale convinzione è l’aumento delle spese militari mondiali che, secondo il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) l’Istituto svedese che rappresenta un’autorità su questi temi, sono cresciute arrivando a fine 2024 alla cifra record di 2718 miliardi di dollari, con un aumento del 9,4% in termini reali rispetto all’anno precedente. Siamo di fronte al maggiore aumento delle spese per eserciti ed armi su base annua almeno dalla fine della guerra fredda, con un incremento di quasi il 20% in soli tre anni. La spesa militare è aumentata in tutte le regioni del mondo, con una crescita particolarmente rapida sia in Europa che in Medio Oriente. I primi cinque Paesi che spendono in campo militare – Stati Uniti, Cina, Russia, Germania e India – rappresentano il 60% del totale globale.
La seconda conseguenza del “clima di guerra” che sta interessando il cuore dell’Europa è rappresentata dalle scelte dell’Unione Europea che invece di moltiplicare gli sforzi diplomatici ha da subito intrapreso la strada delle sanzioni contro la Russia e quella dei massici aiuti militari all’Ucraina. L’ultima decisione in ordine di tempo è stata presa il 6 marzo 2025, quando il Consiglio europeo dei capi di Stato e di Governo ha approvato ufficialmente il programma ReArm Europe, il piano per il riarmo europeo da 800 miliardi di euro per potenziare la difesa comune europea.
Terza conseguenza di questa “guerra mondiale a pezzi”, come l’ha definita papa Francesco, è il fatto che gli Stati Uniti stanno insistentemente chiedendo ai Paesi membri della Nato di aumentare le proprie spese militari portandole almeno al 2% del Pil.
Ricchi affari per l’industria bellica
I conflitti in corso, dall’Ucraina al Medio Oriente, e la conseguente corsa al riarmo dei Paesi occidentali, stanno gonfiando i profitti delle aziende belliche anche italiane. Lo dimostra l’ultima indagine di Greenpeace Italia, intitolata “Profitti di guerra“, che ha messo in luce l’aumento significativo dal 2021 al 2023 degli utili e delle risorse finanziarie delle principali aziende italiane che esportano armamenti, a partire dal gruppo Leonardo. Secondo lo studio, che ha analizzato i bilanci del 2023 confrontandoli con quelli del 2021, gli utili netti delle prime dieci aziende italiane esportatrici di armi sono cresciuti del 45%, pari a un incremento di 326 milioni di euro. Oltre agli utili, anche i ricavi complessivi delle aziende del settore sono cresciuti in maniera evidente: nel 2023 si è registrato un aumento di 2,1 miliardi di euro, un incremento del 13% rispetto al 2021. I profitti di queste aziende hanno beneficiato sia della crescita dell’export di armamenti dall’Italia, sia della forte crescita della spesa nazionale italiana per le armi.
L’incubo nucleare
Nel mondo ci sono più di 12 mila testate nucleari. Record di presenze in Russia (circa 5.500 testate) e Stati Uniti (5.300). In Europa la situazione richiede una distinzione: Francia (con 290 testate) e Gran Bretagna (225) hanno armi nucleari proprie, mentre le circa 100 testate della Nato sono distribuite tra Italia (40), Turchia, Germania, Belgio e Olanda. Poi vanno contate le circa 600 testate della Cina, le 170 del Pakistan, le 180 dell’India, le 90 di Israele e le 45 della Nord Corea. La guerra nucleare oggi non è più un tabù. Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina le autorità di Mosca hanno più volte agitato lo spettro dell’arma atomica come possibile esito di un’escalation militare. Al netto della crisi russo-ucraina, però, il ritorno in auge del nucleare ad uso bellico è un fenomeno generalizzato e globale. Sebbene negli ultimi decenni il numero delle testate sia complessivamente diminuito, negli ultimi anni più della metà dei paesi che possiedono questi ordigni – nello specifico Cina, Russia, Pakistan, Corea del Nord e India – ha aumentato le proprie scorte. Aumento delle spese militari, piano di riarmo europeo, richiamo esplicito alla possibilità dell’uso di armi nucleari… sono tutti aspetti che concorrono a rafforzare un’idea: l’unico modo per risolvere le controversie sorte in Europa e in Medio Oriente è la guerra. Ritorna così in auge il motto latino “si vis pacem para bellum”.
La condanna della guerra nella Chiesa delle origini
Nella Chiesa precostantiniana delle origini era prassi normale e diffusa il rifiuto della guerra e del servizio militare al punto che il potere imperiale, negli ultimi anni del II secolo, interviene, tramite uno dei suoi maggiori esponenti, Celso, a richiamare i cristiani ad una più leale assunzione di responsabilità di fronte alle sempre più forti minacce che gravano lungo i confini. I cristiani sono accusati di avere uno scarso senso dello Stato e una proclamata ostilità verso il servizio militare. La risposta alle accuse di Celso arriva con il teologo alessandrino Origene che riassume in sé le posizioni diffuse da tempo all’interno della Chiesa. I cristiani, per Origene, sono figli della pace e pertanto non sanno fare la guerra; il loro combattimento viene operato con le armi della preghiera. Origene esprime una visione che, fino a Costantino, era condivisa nella Chiesa primitiva. Per Tertulliano, ad esempio, il mestiere del soldato non si differenzia da quello dei gladiatori e dei briganti; per Arnobio la vita militare non è tanto occasione di peccato, quanto il peccato stesso; per Lattanzio la pace è fonte di giustizia e di ogni bene, mentre la violenza e la guerra non fanno che appagare gli istinti più bassi; per Cipriano, vescovo di Cartagine, non vi può essere separazione fra morale pubblica e privata, chiamando delitto ciò che viene commesso dai singoli e invece atto di valore ciò che è compiuto per ordine dello Stato. Sintetizzando, possiamo dire che il cristiano, nel periodo che precedette la “svolta costantiniana” con l’editto di Milano del 313, ripudia la guerra tout-court, sostituendole l’immagine di una milizia celeste. Si afferma così nel mondo antico una sorta di nonviolenza cristiana, che si connota in generale come scelta di non rendere mai male per male, come rifiuto assoluto di versare sangue umano, preferendo essere uccisi piuttosto che uccidere e infine, in particolare, come rifiuto di usare le armi contro altri uomini, ossia come una vera e propria obiezione di coscienza al servizio militare.
L’avversione precostantiniana per la violenza e per il servizio militare è presente anche a livello disciplinare: nella Tradizione Apostolica, una delle più importanti costituzioni ecclesiastiche dell’antichità, datata tra la fine del II e gli inizi del III secolo, vi sono in merito parole molto chiare. Questo documento innanzitutto prende in considerazione il caso del soldato che durante il suo servizio si converte al cristianesimo e non può dimettersi dall’esercito. «Il soldato subalterno non uccida nessuno. Se riceve un ordine del genere, non lo esegua e non presti giuramento. Se non accetta tali condizioni sia rimandato». Il soldato divenuto cristiano può pertanto continuare a prestare il proprio servizio sotto le armi, a condizione di astenersi dal compiere atti di violenza e dal mettere a morte qualcuno. Vi è qui la distinzione fra il militare, consentito ai soldati convertitosi durante il servizio, e il bellare, comunque proibito. Drastica è invece l’esclusione e la scomunica nei confronti dei catecumeni e dei fedeli che vogliono divenire soldati: «Il catecumeno e il fedele che vogliono dedicarsi alla vita militare siano mandati via perché hanno disprezzato Dio».
Una vicenda emblematica è quella di Massimiliano, un giovane di Tebessa (Africa settentrionale), che nel 292 viene chiamato alla visita di leva per essere arruolato nell’esercito romano. Nel documento che ci è rimasto e che riguarda Massimiliano, ossia la sua Passio, il giovane cristiano, pur essendo dichiarato arruolabile, si rifiuta di compiere il servizio militare: militare per lui significa inevitabilmente mala facere, significa bellare. Massimiliano viene per questo condannato a morte. La memoria liturgica di San Massimiliano di Tebessa ricorre il 12 marzo.
La svolta costantiniana e l’affermazione del concetto di guerra giusta
Con l’editto di Milano del 313 il cristianesimo diventa religione di Stato. Da questo momento tutto cambia. Non si combatte più il peccato, ma il peccatore. I cristiani entrano nelle strutture dello Stato e diventano cittadini fedeli. Ora la persecuzione prende di mira i pagani, gli infedeli, gli eretici: si afferma lentamente il concetto di guerra giusta che viene abbozzato da Sant’Agostino nel V secolo e sviluppato da San Tommaso nel XIII secolo. Con le Crociate poi la guerra non è solo ammessa, ma benedetta. Si ha dunque la coniazione del concetto di “guerra santa” contro gli infedeli. Fino a tutto l’Ottocento rimane nel Magistero della Chiesa l’idea che in determinati casi la guerra possa essere giusta.
Il superamento del concetto di guerra giusta
E’ nel corso del Novecento che viene abbandonata l’idea di guerra giusta, come possiamo vedere dal Magistero dei diversi Pontefici.
Benedetto XV
Non è sbagliato far risalire la prima condanna della guerra e il primo forte appello alla pace a quella famosa frase di Benedetto XV dell’agosto del 1917, quando il Papa, in un vibrante messaggio rivolto ai governanti dei Paesi in guerra, definì la guerra in corso “un’inutile strage, una follia”. Una guerra che vedeva paesi abitati da comunità cattoliche in guerra tra di loro, con cappellani militari cattolici che benedicevano armi e eserciti su fronti contrapposti. Era una frase che dava il senso di come, anche se non subito ma dopo tre anni di conflitto, la Chiesa cattolica fosse capace di riprendere una funzione di guida all’interno dell’intera società europea e di esprimere un giudizio non indulgente su quanto stava accadendo nel cuore dell’Europa.
Pio XII
L’idea della guerra come “un’inutile strage” ritornerà anche alla vigilia della Seconda guerra mondiale nel 1939 quando Pio XII pronunciò quelle famose parole: «Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra» (radiomessaggio del 24 agosto 1939), in un accorato appello rivolto «ai governanti e ai popoli nell’imminente pericolo della guerra». Questa volta, però, l’intervento del Papa avvenne prima che la guerra scoppiasse, ma quelle parole non ottennero il risultato sperato. Anzi, lo scoppio del conflitto mondiale mise la Chiesa in una posizione molto difficile perché anche questa volta i credenti si combattevano fra di loro.
Giovanni XXIII
Nel 1963 con l’enciclica Pacem in Terris Giovanni XXIII incide in maniera decisiva su questo tema affermando chiaramente che bellum est alienum a ratione, ossia che la guerra è irragionevole, estranea alla ragione umana, una follia. Nella Pacem in Terris sono presenti gli elementi fondamentali relativi alla concezione della pace nel pensiero di Giovanni XXIII, come ad esempio l’idea che la pace non era un’opzione fra le tante perché nell’era atomica non esiste più la “guerra giusta”. Dunque, cessava di esistere un’antica dottrina che misurava cause, conseguenze, legittimità e titoli di proclamazioni della guerra. Inoltre, era presente un’apertura di fiducia molto forte verso gli organismi internazionali, soprattutto verso l’Onu, con l’idea che il multinazionalismo poteva costituire una risposta ai conflitti.
Paolo VI
Papa Giovanni XXIII moriva poche settimane dopo aver firmato l’enciclica e il suo successore, Paolo VI, si ritrovò in una situazione molto diversa. In piena guerra del Vietnam, di fronte alla politica espansionistica sovietica, nel 1965 (4 ottobre) papa Paolo VI si recò all’Onu e in quella sede pronunciò parole chiare e nette: «Mai più la guerra, mai più la guerra … lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con le armi in pugno». L’8 dicembre del 1967 Paolo VI scriveva il primo Messaggio per la “Giornata mondiale della pace”, lanciando l’idea di dedicare a questo tema il primo giorno di ogni anno. Il messaggio era rivolto a tutti gli uomini di buona volontà: la proposta del Papa, quindi, non intendeva qualificarsi come esclusivamente religiosa, cioè cattolica. Da questo momento in poi ogni primo giorno dell’anno le parole del Papa invitano a riflettere sui temi della pace.
Giovanni Paolo II
Questo patrimonio del pensiero sulla pace entrava molto fortemente nel pontificato di Giovanni Paolo II, che se ne appropriò almeno in tre modi diversi. Prima di tutto, quando decise, nel 1986, di partecipare all’iniziativa dell’anno della pace delle Nazioni Unite convocando ad Assisi i capi delle principali religioni del mondo. Non si trattava di un gesto usuale e in precedenza non c’era mai stato nulla di simile. Il Papa aveva intuito che le religioni sarebbero state o produttrici di conflitti di guerra oppure produttrici di un pensiero di pace. L’idea di radunare tutte le religioni per impegnarle nel cammino della pace, in un momento in cui il fondamentalismo islamico era una parola quasi senza significato, ebbe un grande peso. Giovanni Paolo II si oppose poi per due volte agli Stati Uniti d’America, nelle due guerre rispettivamente dell’Iraq del 1990-1991, per la liberazione del Kuwait, e quella dopo le stragi dell’11 settembre 2001 a New York, cercando di ricordare in maniera molto forte e librata ciò che costituiva il suo convincimento e cioè che l’inizio di una guerra non annuncia mai quello che ne risulterà poiché le conseguenze sono imprevedibili e nefaste.
Benedetto XVI
Nel primo dei suoi messaggi per la Giornata mondiale della Pace, quella celebrata il 1° gennaio 2006, Joseph Ratzinger lega al dramma della Prima guerra mondiale la stessa scelta del nome, Benedetto XVI: «Il nome stesso di Benedetto, che ho scelto il giorno dell’elezione alla Cattedra di Pietro, sta a indicare il mio convinto impegno in favore della pace. Ho inteso, infatti, riferirmi sia al Santo Patrono d’Europa, ispiratore di una civilizzazione pacificatrice nell’intero Continente, sia al Papa Benedetto XV, che condannò la Prima Guerra Mondiale come “inutile strage” e si adoperò perché da tutti venissero riconosciute le superiori ragioni della pace». Benedetto XVI ha continuato a proporre il Magistero della pace soprattutto con i Messaggi per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio. Un intervento significativo di papa Benedetto XVI è stato quello dell’Angelus di domenica 18 febbraio 2007 quando ha indicato le caratteristiche che la nonviolenza deve avere per i cristiani: non un mero comportamento tattico, ma il «modo di essere» di coloro che sono «così convinti dell’amore di Dio e della sua potenza che non hanno paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità». Il Papa teologo ha poi illustrato il significato del passo del Vangelo di Luca: «Amate i vostri nemici». Un passo tra i più forti della predicazione di Cristo che insegna che «l’amore del nemico costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico».
Alla «troppa ingiustizia» e alla «troppa violenza» presente nel mondo il cristiano deve contrapporre il bene, il che non vuol dire «secondo una falsa interpretazione del porgere l’altra guancia (Luca 6,29)» arrendersi al male, ma «nel rispondere al male col bene spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia».
Francesco
La parola di papa Francesco, a fronte dei conflitti in Ucraina, in Medio Oriente e in altre parti del mondo, si è levata alta e forte a condannare la guerra indicata come una follia, un sacrilegio, un mostro, una sorta di cancro, una forma di cainismo. Papa Francesco è andato poi oltre, condannando più volte con parole forti la produzione e il commercio delle armi, l’aumento delle spese militari e indicando come immorale anche il semplice possesso di ordigni nucleari. Non servono altre armi, altre sanzioni, per papa Francesco, bensì altre opzioni, ossia un’azione diplomatica determinata e decisa. Nel Messaggio per la Giornata della Pace del 1° gennaio 2017 ha poi indicato la nonviolenza come strada da percorrere e nel messaggio che nel luglio 2022 ha rivolto ai giovani europei riuniti a Praga per un congresso ha proposto come esempio la figura dell’obiettore di coscienza austriaco Franz Jágerstâtter, che si rifiutò di entrare nell’esercito di Hitler pagando con la vita questa sua scelta. E ai giovani di “Economy of Francesco”, riuniti ad Assisi il 24 settembre 2022, tra gli eroi di oggi ha proposto la figura di un giovane ingegnere che aveva rifiutato il posto di lavoro in una fabbrica di armi, nonostante il contratto che gli era stato offerto fosse molto vantaggioso.
Leone XIV
Le prime parole di papa Leone XIV dalla loggia di San Pietro dopo l’elezione sono state: «La pace sia con tutti voi». E la parola “pace” è stata ripetuta più volte in quel suo primo breve discorso, una pace, ha affermato il Papa, «disarmata e disarmante». Nel suo intervento dell’11 maggio in occasione del Regina Coeli da piazza San Pietro, ricordando l’80mo anniversario della fine della seconda guerra mondiale papa Leone XIV ha gridato “Mai più la guerra”, chiedendo poi la pace e il cessate il fuoco in Ucraina e a Gaza e aggiungendo: «Ma quanti altri conflitti ci sono nel mondo! Affido alla Regina della pace questo accorato appello perché sia lei a presentarlo al Signore Gesù per ottenerci il miracolo della pace». E il 12 maggio incontrando i giornalisti provenienti da tutti il mondo li ha invitati a «disarmare le parole perché così si contribuirà a disarmare la terra».
Conclusione
Nel corso del Novecento è scomparso dal Magistero della Chiesa il concetto di guerra giusta. Rimane il diritto alla legittima difesa che però deve essere proporzionato. Ma soprattutto nel corso del Novecento la Chiesa ha posto la propria attenzione in modo sempre più preciso e determinato sull’impegno per la pace, facendo presente alla politica che è chiamata a realizzare quella che Giorgio La Pira chiamava “l’utopia della pace”. Questo significa moltiplicare le azioni diplomatiche, favorire in tutti i modi il dialogo e la collaborazione fra i vari Paesi, potenziare gli Organismi internazionali, controllare in modo rigido la produzione e il commercio delle armi, operare scelte concrete di disarmo, percorrere la strada della nonviolenza. Il Magistero della Chiesa chiama in causa però non solo la politica, ma ogni singola persona esortandola ad essere un «artigiano di pace», per usare le parole di papa Francesco, ossia un costruttore di ponti e non di muri, poiché il cristiano è «un uomo di pace, non un uomo in pace» (don Primo Mazzolari).
Tratto da Orientamenti Pastorali n. 6(2025). EDB. Tutti i diritti riservati.