Domenico Sigalini – presidente del COP

Nella vicenda della conversione di san Paolo possiamo leggere la nostra vita. Era deciso, sicuro, religioso, zelante. Era tutto per Dio, per lui era disposto a incarcerare, e a uccidere. Come noi, al lavoro, in famiglia, con amici e vicini. Abbiamo la parola di Dio dalla nostra, ne siamo certi, dobbiamo estirpare l’errore. I principi e le loro questioni muovono le nostre menti e le nostre azioni cento volte al giorno. Discussioni senza fine, polemiche, al bar, nella pausa pranzo, a cena la sera con consorte e figli. Indossata la corazza della nostra giustizia corriamo anche noi ogni giorno verso Damasco, recando lettere che ci autorizzano a gettare in prigione chi pretende di uscire dai nostri schemi.

Anche in chiesa, nelle comunità dove camminiamo per convertirci, nelle riunioni, nelle assemblee. Preti, laici, non c’è differenza, portiamo tutti la stessa armatura di certezze che abbigliava san Paolo. Ma accade l’imprevisto. Qualcosa a cui Saulo non era preparato. Qualcuno appare sul suo cammino e smonta le sue certezze. Qualcuno lo cerca, lo chiama, lo ama. Ed è una luce improvvisa e una voce capace di stravolgere la sua vita. Un fatto, un avvenimento, un incontro.

E inizia la conversione, la teshuvà, il ritorno al vero, al bello, al buono, al santo. San Paolo incontra Cristo, ne è raggiunto, conquistato, avvinto. È una passione più forte d’ogni suo peccato, d’ogni sua ignoranza, d’ogni suo passato. Una scintilla d’amore, e nasce una cosa nuova, una creatura nuova. E possiamo leggere ogni sua lettera e incontrarvi, in filigrana, la sua esperienza, indelebile, viva, vera, il suo incontro decisivo con chi aveva perseguitato.

Criteri, pensieri, cuore, atteggiamenti, modo di vivere, cambia tutto. Per pura grazia. E, per san Paolo, questo ha significato ascoltare una chiamata, profilarsi chiara una missione, compiersi un’elezione. Comprende che tutto nella sua vita era orientato a quell’istante. Dio lo aveva preparato, misteriosamente, senza moralismi, salvaguardando ogni millimetro della sua libertà, accompagnando i suoi passi, permettendo che si impantanassero nell’ingiustizia, che combinassero guai e si lasciassero dietro una linea di sangue e di dolore.

Dio ha avuto pazienza, e lo ha atteso nel momento più virile della sua esistenza, laddove era lanciato verso il compimento d’una menzogna. E lì, sul selciato del suo cammino, laddove Paolo era precipitato, esattamente come Paolo era, lo ha amato. Lo ha accolto, lo ha ricreato. In una parola di misericordia che gli svelava la verità. Un perchè che gli si è conficcato nel cuore, una risposta mancante, e una chiamata.

È incredibile, come già era accaduto a Pietro sulle sponde del lago di Galilea, nessun rimprovero, solo una luce a illuminare il proprio nulla e subito un invio, una missione, una vita nuova, la vera, la santa, la piena che Dio, da sempre, aveva in mente per lui. La vita fantastica dell’apostolo delle genti sorgeva da lì, dal suo nulla, da quello che era stata sino ad allora la sua vita.  Dio aveva tratto dalla morte la vita, e quando Paolo dirà di aver visto Cristo nella carne, di essergli apparso risuscitato è all’esperienza sulla via di Damasco che dobbiamo tornare. È lì che Paolo ha conosciuto la risurrezione di Cristo, capace di risuscitare anche la sua vita, di fare di un persecutore un perseguitato, di un accusatore determinato uno zelante annunciatore. I segni di cui ci parla il vangelo, quelli che accompagnano gli apostoli nella missione universale, per san Paolo hanno cominciato a compiersi in quel mezzogiorno. Il demonio era vinto, il veleno della menzogna aveva smesso di recargli danno, il serpente che aveva tra le mani e che lo aveva sedotto con la propria pretesa giustizia era ridotto all’inoffensività. Lui, malato senza Cristo, era guarito dall’incontro con Cristo. La sua vita capovolta, lanciata, con lo stesso ardore, con più zelo, sulle strade che aveva detestato, quelle dell’annuncio infaticabile del vangelo.

La conversione di san Paolo ci racconta la nostra conversione. Appare anche a noi, oggi, Cristo. Il perchè che ha fermato Saulo ci viene incontro oggi, nella situazione concreta che stiamo vivendo. Perchè perseguitiamo il Signore, incarnato in nostra moglie, nei nostri figli, nei colleghi, nella suocera, nel condomino. E forse anche in noi stessi. Già, perchè? Perchè ci manca lui, ci manca il suo amore, la sua parola di misericordia, la sua chiamata. E lui ci viene incontro, e fa di noi i suoi apostoli, e ci lancia in tutto il mondo, lavoro, scuola, casa, supermercato, parrocchia, o dove sia. Ci manda oggi laddove abbiamo combinato macelli con i nostri peccati, sui sentieri che abbiamo sporcato con le maldicenze, con i giudizi, con i compromessi, con le bugie, con le concupiscenze, con l’arroganza e la superbia. Ci invia accompagnandoci con i segni della sua vittoria, della nostra conversione. Ci invia come agnelli, noi che, senza di lui, non siamo altro che dei lupi. Ci invia con i segni della sua misericordia che trasforma, istante dopo istante, la nostra vita, perché anche gli altri possano vedere, credere, e conoscere il Signore.

La conversione di san Paolo può essere la nostra conversione. Ma chi è un cristiano convertito? È forse un uomo che si comporta solo bene, che osserva i comandamenti, che sta un po’ più in regola, che non combina guai né a sé, né agli altri? È chi pone al centro della sua vita Cristo, che fa parte del progetto di Dio.

Tratto da Orientamenti Pastorali 6(2025). EDB. Tutti i diritti riservati.