Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale, Roma

C’è la tendenza comune a pensare che per affrontare il futuro sia sufficiente cambiare qualche cosa, migliorare quello che già facciamo, aggiustare o riparare qualche errore. In realtà, dobbiamo ammetterlo: siamo in una transizione d’epoca e dunque la parola d’ordine è discontinuità. Se accogliamo come vera la teoria del cambiamento d’epoca, la domanda è: dove siamo esattamente? Per alcuni siamo ancora nella fase terminale della modernità, cioè al capezzale di un malato terminale (e sembrerebbe che molti non se ne rendano conto), per altri siamo già entrati nella postmodernità tecnoliquida. Siamo di fronte a un cambiamento, a un passaggio evolutivo che sottende una diversità dell’uomo nel terzo millennio, una diversità generata dalla rivoluzione digitale che ha prodotto e sta producendo mutamenti che non si possono più ignorare e che portano a un’inevitabile ridefinizione della costruzione dell’identità e delle relazioni, nonché del vissuto dell’esperire. Questa transizione d’epoca riguarda tutto: relazioni, famiglia, lavoro e politica, arte e religione. I processi di transizione sono processi che siamo in grado di governare solo se ne siamo consapevoli, l’alternativa è restare nella fase di malattia terminale, in attesa della fine e, per la verità, è quello che molti fanno. Per esempio, l’attuale transizione coinvolge il passaggio dal sistema cervello-mente analogico a quello digitale, costituendo una transizione che possiamo subire o modificare in qualche modo e riguarda ogni aspetto della vita. Molti studi hanno confermato che l’era tecnoliquida è caratterizzata dalla più straordinaria crisi della relazione interpersonale. Come osserva papa Francesco, stiamo assistendo al trionfo di un «individualismo esasperato» e della «cultura del provvisorio», che ha tra i suoi sintomi «la rapidità con cui le persone passano da una relazione affettiva a un’altra», come se «l’amore, come nelle reti sociali, si possa connettere o disconnettere a piacimento». Tutto ciò, unito all’incessante velocità che caratterizza questo tempo, è alla base della crisi interpersonale che acquista sempre più modalità «liquide», indefinite, instabili e provvisorie. In questo senso, la «tecnomediazione» della relazione (chat, blog, sms, social network), permette di sostituire la relazione con la «connessione», che diventa la forma privilegiata di relazione interpersonale per l’uomo «liquido», una relazione fluida, provvisoria, senza garanzie di durata, ambigua e indefinita, che consente espressioni narcisistiche del sé e che esalta l’«emotivismo».

Come possiamo applicare il paradigma del cambiamento d’epoca alla spiritualità?

Il primo punto fondamentale è che la rivoluzione digitale sembra aver cancellato il tema della spiritualità anche nella semantica più profonda: la parola «conversione» si applica più facilmente riferendosi alla conversione di un file piuttosto che alla conversione spirituale; il termine «giustificazione», piuttosto che indicare il sacrificio di Cristo, si ricollega più frequentemente al riassetto dei paragrafi di un testo digitale; e ancora, la parola «salvezza» non è più associata all’opera redentrice di Cristo, ma al salvataggio di un elaborato digitale. Attraverso la tecnologia, l’uomo si è sostituito a Dio, o almeno ha avuto la percezione di poterlo fare. Tuttavia, la vita spirituale è tornata al web; infatti, se da un lato il web sembra aver cancellato la domanda di senso e significato tipica di ogni percorso spirituale, dall’altro forme deformanti di spiritualità hanno pervaso la rete.

La domanda è: che cosa succederà?

Contrariamente da quanto dichiarato da coloro che sostengono un’evoluzione tecnologica al fine di ottenere un miglioramento del futuro, abbiamo molti segnali di grande sofferenza dell’umanità. Già prima della pandemia, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) aveva individuato la depressione come la principale causa della sofferenza umana, e dopo la pandemia questo è diventato ancora più evidente. Il mutamento prodotto dall’avvento della tecnologia ha portato a un’esasperazione del disagio emotivo e in particolare della loneliness, o «solitudine percepita», che sembra contraddire il tecno-ottimismo digitale dell’epoca postmoderna. Il paradosso di questo tempo è che proprio questo incremento del disagio emotivo e della solitudine rimetterà in movimento la ricerca della spiritualità, fondata su sane relazioni interpersonali, simili a quelle che caratterizzarono la Chiesa nei primi secoli. Infatti, la riposta al disagio e all’infelicità potrebbe avvenire attraverso forme di significato e di senso sperimentabili in piccole comunità, dove le persone possono realmente conoscersi, riscoprendo la radicalità dell’annuncio evangelico, il kerygma. Nella discontinuità di questa epoca la vita spirituale potrebbe rappresentare la chiave necessaria a rinnovare la solidarietà, l’empatia e le relazioni sociali. Papa Francesco, nella lettera enciclica sulla fraternità e sull’amicizia sociale Fratelli tutti, affronta radicalmente il tema della fratellanza e della sorellanza, della relazione interpersonale e della necessità di ricostruire una rete capace di far ripartire l’umanità. La sfida consiste nella riscoperta del valore del legame per riconsegnare all’umanità del terzo millennio la fiducia e la speranza nel futuro. La vita spirituale rappresenta ancora una profezia del mondo che verrà e la spiritualità non potrà che essere kerigmatica, vissuta in piccole comunità e capace di abbandonare forme di religiosità. L’incontro relazionale autentico con il Cristo attraverso il kerygma rappresenta l’unica vera scoperta per restituire speranza all’umanità.

(L’intero articolo in Orientamenti Pastorali 4/2022. Tutti i diritti riservati)