Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca

Un Chiesa di laici: la sfida della formazione per un protagonismo effettivo

Se c’è una dinamica chiara nel processo di profonda trasformazione e di riorganizzazione che le Diocesi in Italia stanno percorrendo da qualche anno è il ruolo decisivo del laicato. Non è esagerato sostenere che la Chiesa italiana nel terzo millennio, nella sua vita e nella sua azione missionaria, dipende e dipenderà sempre più in maniera decisiva dall’apporto dei laici.

La cosa vale sul versante della ministerialità, dove accanto ai tradizionali servizi del catechista, dell’animatore, del cantore… si aprono prospettive inedite, legate da una parte alla diminuzione del clero, dall’altra all’emergere di nuovi bisogni. Si pensi, per il primo aspetto, alla necessità di dotare le piccole comunità parrocchiali o ex-parrocchiali di figure di responsabili, capaci di fare da punto di riferimento per le attività di preghiera, di formazione e di solidarietà che rimangono comunque praticabili anche in quei contesti e che sono espressione di una prossimità della Chiesa a tutti, la quale non deve venir meno. I catechisti di tante Chiese del sud del mondo costituiscono, da questo punto di vista, un prezioso paradigma. Per il secondo aspetto, si pensi ai nuovi «mondi» aperti dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione, per i quali occorre immaginare figure pastorali nuove, che vadano ad abitare e ad animare ambienti virtuali e fisici oggi largamente scoperti.

La cosa vale, direi soprattutto, sul versante della missionarietà, dove l’insistenza di papa Francesco sul valore della testimonianza – più volte presentata come quel «kerygma senza parole» che san Francesco raccomandava ai suoi frati[1] – e sull’evangelizzazione «per attrazione»,[2] già indicata da papa Benedetto XVI, rimanda ancora una volta al ruolo strategico del laicato, vero e insostituibile protagonista di una missione diffusa e quotidiana. La «differenza evangelica» che suscita la domanda «perché tu vivi così?», inizio dell’evangelizzazione,[3] può infatti essere colta solo nella relazione interpersonale, quale si dà nei luoghi del lavoro e dello studio, nel vicinato, nel tempo libero… cioè negli ambiti di vita tipicamente laicali e secolari. La Chiesa può essere ancora in grado di proporre il Vangelo se esso si presenta come via per una piena umanizzazione dell’esistenza quotidiana, intuita in qualche persona o gruppo con cui si entra in rapporto. In questo contesto la Parola può risuonare non come proposta di astratte verità, ma come chiave di lettura di una diversità affascinante, che solo nell’accoglimento di quella prospettiva risulta comprensibile e replicabile per chiunque.

Tutto ciò comporta evidentemente una seria attenzione ai processi formativi, ministeriali e «di base», con una precisa attenzione a cogliere e declinare – nella vita personale o nel servizio ecclesiale – il valore dell’esperienza credente per l’esistenza concreta della persona, della famiglia e della società. Una formazione continuamente sollecitata sui versanti della profondità e dell’organicità: una serie e intensa esperienza di Dio e la capacità di incarnarla nel vissuto quotidiano, consentendole di fornire senso e prospettive inedite alle attività comuni a tutti.

Questa sfida, in un contesto di marcato orizzontalismo e relativismo, vede molte realtà ecclesiali in forte crisi: si avverte la difficoltà di introdurre i laici in una profonda vita spirituale e liturgica, mentre si sperimenta una sempre minore incidenza delle convinzioni di fede sulla pratica quotidiana delle attività, degli affetti e degli svaghi, dove i credenti tendono sempre più ad omologarsi, nel pensiero e nel comportamento. La formazione cristiana, in altre parole, in molti contesti ecclesiali appare inadeguata alla portata dei compiti che si prospettano per il laicato nella Chiesa di oggi e di domani. Le cause possono essere molteplici, ma salta all’occhio l’assenza di progetti organici, sostituiti spesso da percorsi estemporanei e parziali, i limiti dei quali non possono essere suppliti dalla buona volontà o dalla competenza di coloro che ne sono responsabili.

Da questo punto di vista, le aggregazioni laicali hanno senz’altro una marcia in più, poiché possono contare su percorsi sperimentati, stabilmente supportati da processi di formazione e di aggiornamento, tendenzialmente rivolti allo sviluppo integrale della personalità credente. Dall’altra parte, la particolarità del «carisma» comporta dei limiti nel coinvolgimento – che non può essere universale – e a volte nelle relazioni con la comunità cristiana.

Una Chiesa poliedrica: la sfida della personalizzazione per l’accoglienza della varietà

Rispetto alla complessità che caratterizza la società contemporanea, il modello di Chiesa che papa Francesco va proponendo è quello del «poliedro»:[4] un solido che presenta numerose facce distinte e definite, ma collegate tra di loro a comporre una figura unitaria e armonica, sempre in relazione con un centro, ma in modo diverso dalla compattezza monolitica della sfera. È evidente che la risposta a situazioni personali, familiari e comunitarie assai diverse tra loro non può più essere, oggigiorno, l’offerta di un unico modello pastorale, per quanto sofisticato e flessibile. Nonostante, quindi, molto ci si affanni a escogitare a tutti i livelli percorsi formativi più moderni ed efficienti, laddove una comunità si limiti a proporne uno solo a tutti, andrò inevitabilmente incontro a resistenze, adesioni parziali e delusioni.

Ciò che accade per le diverse «sperimentazioni» dell’iniziazione cristiana dovrebbe risultare eloquente: l’adozione di questa o quella proposta da parte delle parrocchie è risultata gradita ed efficace per qualcuno, mentre ha suscitato in altri una serie di problemi, per cui l’esito non è stato spesso così diverso di quello delle forme più tradizionali e sperimentate: bassa propensione della maggior parte dei ragazzi a proseguire il cammino.[5] La personalizzazione e la differenziazione della formazione è quindi un’esigenza ineludibile della pastorale, perché si possa venire incontro alle situazioni diverse e garantire quella «popolarità» che appartiene da sempre al cattolicesimo italiano, ma che ha bisogno di essere reinterpretata per rimanere effettiva.

Anche a questo proposito, il mondo del laicato associato ha molte carte da giocare, per la varietà di carismi, cammini, stili… che in esso sono presenti e che possono andare a comporre altrettante sfaccettature del poliedro ecclesiale. Le storie di molti credenti contemporanei mostrano come proprio l’incontro con questa o quell’aggregazione sia risultato decisivo per la scoperta o – più spesso – per il recupero della fede o della partecipazione ecclesiale; incontro quasi sempre realizzatosi non negli spazi della comunità, bensì in quelli della vita quotidiana, attraverso la proposta di un amico, magari giunta in occasione di qualche evento importante per l’esistenza personale o familiare. Una Chiesa dalle molte «porte di ingresso» appare pertanto l’unico modello efficace in una società complessa e individualizzata.

Esiste ovviamente il rischio che la pluralità delle appartenenze di base pregiudichi la possibilità di sperimentare concretamente l’unità della Chiesa, sia per la particolarità a volte accentuata dei percorsi formativi, sia per il sostanziale parallelismo della vita liturgica e comunitaria che caratterizza soprattutto talune aggregazioni. La necessaria pluralità della proposta ecclesiale non può infatti tradursi nella scomposizione pratica della Chiesa in tanti gruppuscoli pressoché autonomi, ma ha bisogno di ricomporsi in unità, attorno ad alcuni elementi di coesione, quali ad esempio l’eucaristia domenicale, la presenza caritativa e missionaria nel territorio, gli organismi di partecipazione comunitari, i percorsi sacramentali…

Il patrimonio dell’Azione cattolica

Relativamente a entrambe le coordinate suesposte, l’Azione cattolica può contare su una storia e un’esperienza capaci di fornire una soluzione accettabile, che consenta di massimizzare i vantaggi e di minimizzare i rischi.

  • Un’organica proposta formativa per il laicato

Sul piano del protagonismo e della formazione dei laici, il progetto dell’AC si fonda su una visione organica, sistematica e continua dei percorsi di crescita, attenta al cammino ecclesiale nazionale e locale, ma soprattutto tesa a supportare la maturazione della personalità cristiana in ciascuna fase della vita, con eguale attenzione agli ambiti comunitari e secolari. La connaturale propensione al servizio ecclesiale che da sempre caratterizza l’associazione (e che – detto per inciso – è stata anche causa di alcune sue crisi e a volte persino del suo dissolvimento a livello locale), insieme alla presa in carico della quotidianità (scuola, lavoro, affetti, politica… ) come orizzonte della formazione, evita da una parte lo sganciamento della testimonianza secolare dall’humus vitale di una  piena esperienza ecclesiale, dall’altra la temuta clericalizzazione del laicato, cioè l’identificazione dell’impegno del battezzato con il servizio alla sua comunità.

Il laico di AC, sin dalle prime età, viene educato e sostenuto nel tentativo di coniugare la fede ecclesiale, vissuta anche come coinvolgimento fattivo nella propria comunità, con la testimonianza secolare, fatta di quotidiana coerenza e a volte di impegno in prima persona a livello pubblico. Vengono proposte tutte le dimensioni dell’esperienza credente, da quelle più «spirituali», a partire da una solida partecipazione alla liturgia, a quelle più «secolari», come la cultura e la politica. Il progetto formativo di AC, pertanto, possiede in sé la potenzialità di suscitare e sostenere un laicato adeguato alle esigenze odierne della Chiesa, formando veri protagonisti per la sua esistenza e la sua missione nel mondo.

Tale potenzialità, naturalmente, non sempre e non dappertutto si sviluppa in pienezza: si verifica a volte uno schiacciamento clericalizzante, che mette in ombra la dimensione secolare e tarpa le ali a una spiritualità più incarnata; altre volte, invece, si determina una sorta di elitarismo movimentista, che smarrisce il carattere popolare e comunitario, in favore di una caratterizzazione identitaria che non appartiene al carisma dell’associazione. Al di là di tali derive, la proposta formativa di AC si accredita come assai adeguata alla crescita di un laicato maturo, testimoniale e corresponsabile.

  • Una proposta esemplare tra altre

La gloriosa vicenda dell’AC ha conosciuto un’epoca in cui la proposta formativa associativa era di fatto l’unica presente nelle parrocchie, eccettuati i brevi percorsi catechistici propedeutici ai sacramenti e le occasioni aggregative di oratorio o di circolo. Tale situazione è progressivamente tramontata dagli anni ’70, sia per una strutturazione più educativa e stabile della catechesi parrocchiale (da RdC), sia per l’emergere di nuove associazioni e movimenti, sia per il sorgere delle pastorali diocesane, in forza della mutata percezione dello spessore pastorale del vescovo e della Chiesa locale dovuta all’ecclesiologia conciliare. La crisi, inoltre, che ha colpito le forme ecclesiali istituzionali, si è riflessa anche sull’AC, rendendo più difficile aderire formalmente a un’organizzazione apparsa ben più «istituzionale» di altre.

La cosa, anche per il calo importante di associati che ha comportato, ha provocato per anni sensibili mal di pancia in un’AC che ha mal digerito tutta la situazione, rilevandone giustamente alcuni limiti, ma non accettando facilmente di essere divenuta una proposta tra le tante altre presenti nel panorama ecclesiale italiano. La persistente stima espressa dall’episcopato, insieme con il riconoscimento di una evidente «primogenitura», spesso non sono bastati ad «elaborare il lutto» per la perduta centralità pastorale.

L’AC, tuttavia, non ha mai smesso di adoperarsi per la ricompattazione del laicato, divenendo quasi ovunque artefice delle consulte delle aggregazioni laicali e protagonista immancabile dei momenti ecclesiali unitari. La sua «esemplarità formativa», riconosciuta e ribadita dall’episcopato,[6] insieme con il profondo senso della Chiesa locale, ha aiutato l’associazione a ricomprendersi all’interno del variegato panorama italiano, non come un soggetto in concorrenza con gli altri, ma come una realtà chiamata a servire la Chiesa anche mediante la convinta adesione a un progetto comune, nel quale coinvolgere le altre aggregazioni laicali. Assai spesso, infatti, nonostante qualche perplessità, l’AC è stata ed è l’associazione maggiormente collaborativa – a volte co-protagonista – dei cammini diocesani e parrocchiali, con il rischio di una strisciante omologazione, ma con la capacità di portare in dote, tra le altre cose, un prezioso «mix-appeal», cioè la capacità di declinare, senza troppe rivendicazioni identitarie, identità e risorse a vantaggio di un percorso comune di Chiesa.

L’AC per il patto educativo

Da quanto detto finora emerge chiaramente la possibilità che l’AC interpreti e favorisca l’esigenza di un patto educativo che veda la partecipazione delle diverse aggregazioni laicali presenti in una Chiesa locale.

  • Ci vuole un progetto!

Il primo apporto riguarda l’esigenza di un progetto formativo, fondamento di ogni patto educativo, senza il quale si rischia che la collaborazione degeneri in confusione. Appartiene alla natura di tale strumento, infatti, definire con esattezza non solo da dove si parte e dove si vuole arrivare, ma anche le diverse competenze e i differenti apporti che sono necessari/disponibili per il conseguimento degli obiettivi. Un «progetto esecutivo» che stabilisca chi-fa-cosa, e che possa pertanto consentire la partecipazione ordinata e consapevole di una molteplicità di soggetti. Il progetto è necessario affinché i diversi carismi si completino e si rafforzino a vicenda, mentre si mettono a servizio di un comune cammino di Chiesa.

L’organicità e la sistematicità che da sempre caratterizzano i progetti formativi, i sussidi e le prassi dell’AC sono, da questo punto di vista, un punto di partenza e un paradigma irrinunciabili. Nel momento in cui diverse sensibilità e diverse potenzialità decidono di stringere un patto per l’educazione, l’associazione può senz’altro aiutare a comporre il tutto in un quadro unitario, al quale ciascuno possa dare il proprio apporto ed esprimere la propria originalità. Senza dubbio tale processo andrà a configurare – anche rispetto all’impostazione ampia che l’AC dà ai suoi cammini formativi – scenari e «stili» nuovi, in direzione di una più ampia missionarietà e una maggiore capacità di accoglienza e integrazione della comunità cristiana.

  • Un po’ di spazio per tutti

Il secondo apporto riguarda la possibilità di valorizzare, all’interno di una cornice condivisa, le particolarità e le risorse delle aggregazioni laicali, realizzando quella configurazione «poliedrica» di Chiesa che appare oggi estremamente necessaria soprattutto per una praticabile missionarietà. Proprio l’AC, con la sua capacità di presidiare e servire la comunità cristiana rimanendo se stessa, ma declinandosi dentro il concreto di ogni situazione, può fornire un modello per la cooperazione di altre aggregazioni laicali al progetto ecclesiale. Diversi volti, percorsi e stili, offerti a persone e situazioni differenti, perché la Chiesa «sia tutto a tutti» grazie all’apporto di aggregazioni distinte. D’altra parte, se il patto educativo viene accolto in vista della missione, è evidente che c’è spazio proprio per tutti, a condizione che nessuno si comporti da libero battitore e che ci si percepisca coinvolti in un’azione comune. Anche perché è facile che il singolo aderente si trovi coinvolto in diversi scenari, ad esempio quello «territoriale» e quello «ambientale», per cui sarà sollecitato di volta in volta a muoversi come parte della propria aggregazione, negli ambiti di elezione, oppure a ritrovarsi con persone di diverse appartenenze, ma presenti nel medesimo contesto. A volte sarà possibile «piantare la bandierina» della propria identità; a volte sarà necessario darsi da fare sotto vessilli diversi per l’unica causa.

  • La gestione delle differenze

Il terzo e ultimo apporto riguarda il richiamo alla necessaria convergenza. Essere associazione, infatti, non è mai significato per l’AC procedere parallelamente al cammino della comunità di tutti. E non deve essere questo l’esito della configurazione poliedrica della Chiesa, pena la dissoluzione in gruppuscoli irrilevanti per la società e inficiati da dinamiche settarie. L’associazione, da quanto punto di vista, può indicare e supportare prassi virtuose, che aiutino sempre a mantenere connesse con il «centro» le diverse sfaccettature del complesso solido ecclesiale. Il costante e convinto riferimento al Papa, al proprio vescovo e ai pastori della comunità particolari; l’ancoraggio alla domenica e al grande e comune itinerario dell’anno liturgico; la partecipazione agli eventi di comunione ecclesiale e agli organismi di partecipazione; l’attenzione alle accentuazioni pastorali della CEI e delle diocesi; il legame extra diocesano che sprovincializza… sono tutte dinamiche ben note in AC e che possono trasferirsi all’agire comune, in modo che il riconoscimento delle differenze e la loro valorizzazione non diventino fattori disgreganti, ma risultino invece processi di arricchimento dell’essere e dell’agire della comunità.

  • La sfida della nuova organizzazione ecclesiale

In quasi tutte le diocesi del Paese è in atto da tempo un’azione di ripensamento e di riorganizzazione della presenza sul territorio, nel tentativo di dare nuovo senso e nuova efficacia alle dimensioni della territorialità e della popolarità, che caratterizzano la Chiesa in Italia e che i mutamenti culturali, antropologici e sociologici – uniti alla diminuzione del clero – hanno messo in seria difficoltà. È senza dubbio un contesto propizio per un patto educativo che prospetti un ruolo attivo e integrato delle aggregazioni laicali nella rinnovata visione della Chiesa e della sua missione.[7] Passato il tempo dei «subappalti» o delle «occupazioni» di spazi ecclesiali, è ora il momento della progettualità comune; non c’è infatti più nulla da spartire, mentre molto è da creare o rivitalizzare con l’apporto di molti. In questo delicato processo l’Azione cattolica potrebbe senz’altro rivestire una notevole importanza, come fattore legante tra Chiesa territoriale e laicato associato.

(Tratto da Orientamenti Pastorali, 12/2020, EDB. Tutti i diritti riservati)

 

[1] L’espressione è stata pronunciata in parecchie occasioni da papa Francesco, a partire dalla prima citazione nell’omelia del 14 aprile 2013 nella basilica di San Paolo fuori le mura [cf. AAS 105 (2013), 430].

[2] Omelia nel santuario di Aparecida, 13 maggio 2007 [cf. AAS 99 (2007), 437].

[3] «Con tale testimonianza senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere, domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi?» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 21).

[4] «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (Evangelii gaudium, n. 236).

[5] Cf. Enzo Biemmi, «L’iniziazione cristiana oggi: problemi e prospettive», in Rivista liturgica, 1-2(2016), 9-28.

[6] «In questa prospettiva intendiamo sostenere con attenzione e speranza il cammino dell’Azione cattolica, da cui, in particolare, ci attendiamo un’esemplarità formativa e un impegno che, mentre si fa sensibile alle necessità pastorali delle parrocchie, contribuisca a rinvigorire, mediante la testimonianza apostolica tipicamente laicale dei suoi aderenti, il dialogo e la condivisione della speranza evangelica in tutti gli ambienti della vita quotidiana» (CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, n. 61).

[7] Il rapporto più tradizionale della parrocchia con le diverse associazioni ecclesiali va rinnovato, riconoscendo a esse spazio per l’agire apostolico e sostegno per il cammino formativo, sollecitando forme opportune di collaborazione (CEI, Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, II.9).