Mary Melone

  1. Una premessa «provocatoria»

 Il titolo di questo contributo, si comprende immediatamente, contiene un’indubbia provocazione per la vita religiosa e per le varie forme di consacrazione che oggi fanno parte della comunità ecclesiale.[1] E si tratta, a dire il vero, di una provocazione formulata in modo alquanto sottile: se infatti la domanda fosse stata, direttamente: «a che servono i religiosi nella Chiesa?», probabilmente la risposta sarebbe stata altrettanto diretta! Chi può ignorare, infatti, le tante opere a cui la vita religiosa ha dato vita nei secoli: scuole, ospedali, case di riposo, centri di accoglienza, centri pastorali, comunità missionarie…? Chi può negare che la vita consacrata porti il peso di molteplici diaconie nella Chiesa e nella società civile? La vita consacrata «serve» moltissimo! Ad esempio, «serve» ad assicurare assistenza e cura alla vita in ogni sua fase, dalla fragilità della nascita e dell’infanzia alla fragilità della malattia e della vecchiaia; «serve» a promuovere una cultura fondata sui valori evangelici, a portare coraggiosamente l’annuncio del vangelo in ogni terra, a testimoniare prossimità e condivisione verso ogni forma di povertà. Come ha giustamente annotato Andrea Riccardi «senza la «foresta» dei religiosi, composta da «alberi» tanto diversi tra loro, l’ecologia spirituale della Chiesa cambierebbe in modo radicale: si allenterebbero le dinamiche e si ridurrebbe lo spessore sociale del cattolicesimo. Questo è un grande problema ai nostri giorni, di fronte alla crisi di intere generazioni e alla riduzione dell’influenza dei religiosi nella vita della Chiesa. Cosa sarà la Chiesa cattolica, quando il numero dei religiosi diminuirà o, addirittura, in taluni ambienti e paesi verrà azzerato?».[2]

Si potrebbe dunque rispondere, senza esitazione, che la vita religiosa «serve» a molto, nella Chiesa e nella società! Anzi, mettendo a lato l’impatto e l’importanza delle diverse opere gestite dai religiosi per l’utilità sociale, e volendo rimanere solo nell’ambito ecclesiale delineato dal titolo, è innegabile che la vita consacrata rappresenti per la Chiesa una risorsa di grande efficacia. Basterebbe considerare, per fare un esempio in linea con la questione sulla «fruibililità» della vita religiosa, alle tante parrocchie affidate ai religiosi, alle innumerevoli classi di catechismo guidate dalle suore, alle diverse pastorali (caritas, pastorale giovanile e vocazionale, familiare, missionaria ecc.) in cui la presenza dei religiosi, anche a livello diocesano, appare l’unica soluzione possibile…

Questo modo di interpretare il valore e il significato della presenza dei religiosi nella Chiesa, bisogna riconoscerlo, è quello che generalmente attraversa molte delle nostre comunità ecclesiali e che in alcuni casi accomuna vescovi, sacerdoti, laici e persino gli stessi religiosi! Sì, perché anche i religiosi corrono il rischio, a volte, di considerare il valore e il senso della loro presenza nella Chiesa solo in base al servizio che riescono a garantire.

Ma se torniamo alla domanda contenuta nel titolo, non possiamo non cogliere come l’attenzione venga posta non tanto sull’importanza del fare dei religiosi, quanto piuttosto sul valore e sul senso del loro essere nella Chiesa. Riformuliamo perciò la domanda in questo modo: perché la vita consacrata nella Chiesa?

Propongo di affrontare questo interrogativo a due livelli: il primo è un livello teologico; si tratta di porsi anzitutto in ascolto del magistero che, a partire dal concilio Vaticano II, ha innescato una riflessione sempre più approfondita sulla vita consacrata, confluita poi in alcuni documenti imprescindibili per comprendere la sua identità ecclesiale. Il secondo livello, invece, si potrebbe definire più esistenziale, perché intende cogliere il significato concreto della presenza dei religiosi nell’edificazione della Chiesa. In questo secondo livello, un apporto decisivo alla riflessione è dato dai numerosi interventi che papa Francesco ha dedicato alla vita consacrata e alla luce dei quali la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica (CIVCSVA) ha emanato tra l’altro quattro lettere circolari, in occasione dell’anno dedicato alla vita consacrata.[3]

  1. La vita consacrata, dono alla Chiesa

 Il concilio Vaticano II ha rappresentato anche per la vita consacrata un evento di grande portata carismatica, che ha innescato un movimento di rinnovamento profondo e fecondo allo stesso tempo. Per la prima volta, infatti, un concilio ecumenico si è pronunciato direttamente sullo status ecclesiale della vita consacrata, riconoscendola come parte viva e feconda della vita di santità e di comunione della Chiesa. È quanto viene affermato nella costituzione dogmatica Lumen gentium, dove ai religiosi viene dedicato l’intero capitolo VI. Dopo aver precisato infatti che la consacrazione mediante i consigli evangelici presuppone la consacrazione battesimale,[4] se ne richiama il valore quale segno che «può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana» e quale forma di vita che «imita più fedelmente e rappresenta continuamente nella Chiesa la forma di vita che il Figlio di Dio abbracciò venendo nel mondo per fare la volontà del Padre» (LG 44). A questo punto, il concilio conclude non senza una certa solennità che «lo stato di vita costituito dalla professione dei consigli evangelici, pur non concernendo la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia inseparabilmente alla sua vita e alla sua santità» (LG 44).

Si tratta di un’acquisizione fondamentale per la vita consacrata, in quanto le viene riconosciuto un significato imprescindibile per la vita ecclesiale, un significato che scaturisce dalla comprensione del suo aver a che fare proprio con la natura della Chiesa stessa.

È quanto chiarirà qualche anno dopo papa Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica post sinodale Vita consecrata del 1996, affermando che «la vita consacrata, presente fin dagli inizi, non potrà mai mancare alla Chiesa come un suo elemento irrinunciabile e qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura. Ciò appare con evidenza dal fatto che la professione dei consigli evangelici è intimamente connessa col mistero di Cristo, avendo il compito di rendere in qualche modo presente la forma di vita che egli prescelse, additandola come valore assoluto ed escatologico».[5] La riflessione del papa si colloca sulla via della lunga tradizione teologica relativa alla vita consacrata: egli, infatti, legando la forma di vita dei religiosi, chiamati espressamente a riprodurre quella di Cristo, al significato autentico della santità, conclude che la vita consacrata viene a rappresentare l’attuazione più compiuta del fine stesso della Chiesa, che è appunto la santificazione dell’umanità.[6]

Come si può notare, l’attenzione di questi testi si concentra proprio sul legame intimo di appartenenza che si stabilisce tra la vita consacrata e la Chiesa, sia che ci si riferisca alla sua vita, o alla sua santità, o ancora alla sua missione. Questo carattere di intima appartenenza,[7] in altri termini, non significa solo affermare che la vita consacrata non è accessoria alla Chiesa, ma significa ribadire che le è necessaria e che pertanto, non le potrà mai mancare. Si potrebbe legittimamente obiettare che, in realtà, molte forme di vita consacrata nel corso dei secoli sono scomparse e molte forse scompariranno nel futuro. È vero, ma si tratta appunto di forme, cioè di realizzazioni storiche della vita consacrata che, proprio per la loro storicità, sono di fatto mutevoli, cioè possono sorgere ed estinguersi nel tempo, mentre mai potrà venir meno la vita consacrata come tale nella Chiesa.[8]

Tutta questa insistenza sull’appartenenza della vita consacrata alla Chiesa può essere efficacemente sintetizzata attraverso l’immagine del dono: «La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa».[9]

Il linguaggio del dono aiuta a mettere in luce più chiaramente ciò che è proprio della vita consacrata, perché chiama in causa direttamente l’agire dello Spirito Santo. È lo Spirito santo, infatti, la fonte del dono, è lui che suscita incessantemente forme di vita consacrata che arricchiscono nella loro molteplicità la Chiesa; è lui che, elargendo la varietà dei carismi, garantisce la crescita della Chiesa nella comunione.

Non solo: l’azione dello Spirito fa comprendere il contenuto reale dell’affermazione, più volte ripetuta, circa l’intima appartenenza della vita consacrata alla santità della Chiesa, in quanto fa risaltare direttamente la centralità del mistero di Cristo e del desiderio di piena conformazione a lui. La vita consacrata è il dono fatto alla Chiesa da Cristo, perché non manchi mai a essa la testimonianza della sua presenza. In questa luce, l’opera dello Spirito si comprende come quella di attrarre il cuore dell’uomo a Cristo, di sostenerlo nel cammino di conformazione a lui, perché diventando cristiforme, il consacrato assicuri alla Chiesa il prolungamento della speciale presenza del Risorto.[10]

Se si prescinde da questa prospettiva, se cioè non si considera la vita consacrata anzitutto come un dono per l’edificazione della Chiesa, la comprensione della vita consacrata rimarrà sempre ancorata a una interpretazione più o meno utilitaristica, capace solo, cioè, di valutare il modo in cui essa incide nell’ambito sociale o le soluzioni, spesso solo di comodo, che può offrire nell’ambito ecclesiale.

Allo stesso tempo, tuttavia, questa prospettiva richiede anche alla vita consacrata di non dimenticare il proprio intimo legame con la vita e la santità della Chiesa: essa perciò deve per prima custodire la propria identità che dipende totalmente dal suo legame con Cristo, valutando costantemente e coraggiosamente sé stessa, per riconoscere se non si è eccessivamente sbilanciata sulle «opere», sul servizio, in definitiva, sul fare!

  1. I consacrati e le consacrate: chiamati a un’esistenza profetica

 La Lettera apostolica scritta da sua santità papa Francesco in occasione dell’anno dedicato alla vita consacrata[11] arricchisce la riflessione sulla vita consacrata di una prospettiva nuova, che non ha mancato di suscitare dibattiti e interrogativi. Tale prospettiva ha a che fare con la peculiarità della vita consacrata che, come si è detto, la tradizione ecclesiale ha sempre fatto consistere nella ripresentazione della forma di vita del Cristo. Poiché tuttavia tale ripresentazione spetta in realtà a ogni cristiano in virtù della sua consacrazione battesimale, la caratteristica propria dei consacrati è da sempre stata individuata nella radicalità di tale ripresentazione, radicalità assicurata dalla professione dei consigli evangelici. I voti di povertà, castità e obbedienza rendono il consacrato una memoria vivente del modo di vivere di Gesù, che appare come la ragione dell’obiettiva eccellenza della vita consacrata:[12] «La forma di vita casta, povera e obbediente (di Cristo), appare infatti il modo più radicale di vivere il vangelo su questa terra, un modo — si può dire — divino, perché abbracciato da lui, uomo-Dio, quale espressione della sua relazione di Figlio unigenito col Padre e con lo Spirito Santo» (VC 18).

Questo fondamento però viene in un certo senso messo in discussione da papa Francesco, per il quale, invece, la radicalità deve essere caratteristica di ogni vissuto di sequela: «La radicalità evangelica non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti».[13]

Sorge allora spontanea una domanda: qual è, dunque, ciò che è richiesto propriamente ai religiosi? Se essi sono essenziali al cuore della Chiesa, a prescindere da ciò che possono fare o meno, per quale ragione lo sono, se la radicalità non è la loro caratteristica priorità?

È lo stesso Francesco a dare la risposta: «I religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico. È questa la priorità che adesso è richiesta: «Essere profeti che testimoniano come Gesù ha vissuto su questa terra […] Mai un religioso deve rinunciare alla profezia»».

La profezia si profila così come la risposta vera alla domanda di senso sulla vita consacrata, come il significato più autentico della presenza dei religiosi nella Chiesa.

Non è tuttavia scontato interpretare correttamente la profezia come nota distintiva dei consacrati. Non si tratta, infatti, di farla coincidere semplicemente con un atteggiamento critico o di denuncia. La profezia a cui sono chiamati i consacrati nasce dall’obbedienza alla Parola, dalla comunione con la Chiesa, dalla ricerca costante della volontà di Dio. Proprio per questa ragione il dovere della profezia chiama il consacrato a un atteggiamento di costante discernimento nei confronti del tempo in cui vive: essere profeti, infatti, significa per papa Francesco essere sentinelle, capaci di scrutare la storia, di interpretare gli avvenimenti, di vegliare e di guidare il popolo, come Mosè, all’ascolto obbediente della Parola e all’adesione appassionata alla volontà di Dio.[14]

Il riferimento all’immagine della sentinella serve al santo Padre, in realtà, per indicare il vero compito affidato alla vita consacrata, che egli stesso sintetizza con efficacia come svegliare il mondo.

I religiosi e le religiose sono chiamati a svegliare il mondo: è questo, dunque, ciò a cui veramente «servono»! Svegliare il mondo dalla tristezza in cui è piombato, dalla logica individualista che lo attanaglia, dalla frammentazione, dall’indifferenza e da ogni forma di utilitarismo.

Nel declinare questo compito emergono una serie di «urgenze» affidate ai consacrati, urgenze che scaturiscono proprio dall’attenzione benevola e consapevole verso le fragilità del nostro tempo.

Tra queste urgenze, senz’altro la prima sembra essere la gioia: la vita consacrata non può rinunciare a essere portatrice di gioia, non può svegliare il mondo se non attraverso la testimonianza credibile della gioia. Ma di quale gioia si tratta? Sicuramente di quella che è frutto dello Spirito, e che il consacrato sperimenta a partire dalla certezza dell’amore che Dio ha per lui e che egli può sperimentare nella salvezza. La gioia che i consacrati devono testimoniare è la forma alta della consolazione e della misericordia. Testimoni della consolazione che scaturisce dalla presenza misericordiosa di Dio accanto alle sofferenze dell’uomo, i consacrati diventano così facilitatori della grazia.[15]

Da qui si comprende un’altra urgenza connessa al compito di svegliare il mondo: quella, cioè, di essere testimoni di comunione. La vita fraterna in comunità, che struttura la vita consacrata quale suo elemento distintivo, non costituisce solo una prassi esteriore a cui i religiosi devono attenersi in modo più o meno convinto. Al contrario, la vita fraterna in comunità realizza la chiamata alla comunione di vita che è essenziale per la vita della Chiesa. Dai religiosi ci si attende una testimonianza coerente con il loro essere ritenuti «esperti di comunione», perché quotidianamente chiamati a condividere nell’unità fraterna il loro progetto di vita.

Se i consacrati vivessero con coerenza questa loro testimonianza di comunione, se fossero capaci di vivere una vicinanza autentica verso tutti, ma in particolare verso i poveri e gli esclusi, sarebbero davvero in grado di svegliare il mondo, perché nulla oggi è tanto inconsueto e difficoltoso quanto il vivere seriamente la cultura dell’incontro e della prossimità!

La vita consacrata assume dunque in sé, necessariamente, il compito di testimoniare la possibilità di vivere rapporti umani accoglienti, trasparenti, sinceri.[16] Si tratta di un dovere che nasce dalla stessa natura comunionale della vita consacrata: se la comunità è realmente il luogo dove si impara a diventare fratelli e sorelle, allora la solidarietà autentica verso tutti, la capacità di dialogo libero, aperto ed accogliente, l’atteggiamento di profondo rispetto e di grande sympateia/simpatia verso le donne e gli uomini del nostro tempo non sono altro che la traduzione in atteggiamenti e scelte concrete del dono della comunione ricevuta dal Dio Trinità.

Non solo: l’essere servitori della comunione[17] va visto anche in relazione all’edificazione della Chiesa, a cui i consacrati sono chiamati, insieme a tutti i cristiani, anche se con una dedizione totale. A questo proposito, infatti, non si può dimenticare che un tema caro alla riflessione di papa Francesco è la convinzione che la Chiesa cresce per via attrattiva, cioè per l’attrazione che la testimonianza riesce a esercitare sul cuore dell’uomo. Ma quale testimonianza? Quella, appunto, della comunione gioiosa a cui porta necessariamente un’autentica relazione con Cristo!

Queste annotazioni circa la testimonianza di una cultura dell’incontro a cui i consacrati sono chiamati con urgenza non vanno considerate esclusivamente sul piano comportamentale, quasi fossero semplici raccomandazioni per una prassi di buone maniere con il prossimo. Dire che la vita consacrata è esperta di comunione infatti significa, ad esempio, invitare i religiosi anzitutto a verificare il loro modo di stare nelle Chiese locali, dove sono chiamati a inserirsi in modo costruttivo e comunionale, senza pensare a percorsi pastorali o spirituali alternativi o paralleli a quelli diocesani. Se la presenza dei religiosi e delle religiose nelle diocesi non è connotata dal dialogo e dall’apertura, il rischio più immediato è quello della strumentalizzazione, cioè della tentazione di piegare le attività di pastorale a cui si prende parte al raggiungimento dei propri vantaggi, per esempio a livello vocazionale. Tutto questo non solo contraddice la testimonianza di comunione che è legittimo attendersi dai consacrati, ma impedisce anche la costruzione della Chiesa, quando non ne costituisce un ostacolo pericoloso!

D’altro canto, è indubbio che il discorso esige una certa reciprocità: anche la Chiesa locale, infatti, deve assumere a sua volta un atteggiamento di apertura e di accoglienza e persino di cura e di custodia nei confronti della vita consacrata. Troppo spesso, infatti, nelle diocesi i religiosi vengono ancora ignorati nella loro identità carismatica e nelle finalità del loro impegno apostolico, lì dove, invece, sarebbe auspicabile una valorizzazione del loro diversificato servizio e delle loro opere.

Per una conclusione… altrettanto provocatoria!

Lo scopo di queste brevi note è stato semplicemente quello di far comprendere come il porsi la domanda sul valore e sul significato della presenza dei religiosi nella Chiesa impone di andare oltre il piano più semplice ed immediato del loro fare, del loro servizio apostolico nelle comunità ecclesiali, per quanto esso possa essere significativo, incisivo e anche quantitativamente rilevante. Certo, il servizio apostolico non è estraneo all’identità e alla missione dei consacrati. I consacrati infatti riconoscono nel servitium caritatis, come ricorda Vita consecrata, la possibilità di rivelare l’amore di Dio al mondo.[18] In questo senso il magistero, fondandosi sulla visione propria della Scrittura, non manca mai di richiamare che la consacrazione comporta necessariamente la missione. La missione è essenziale per ogni forma di vita consacrata, perché ogni forma di vita consacrata ha il compito di rendere presente il Cristo. «Si può allora dire che la persona consacrata è «in missione» in virtù della sua stessa consacrazione, testimoniata secondo il progetto del proprio istituto» (VC 72).

Ma proprio questo intrinseco legame tra consacrazione e missione esige, ancora una volta, di andare oltre il piano delle attività pastorale, per riconoscere alla vita consacrata il suo valore di segno. La vita consacrata non potrà mai mancare alla Chiesa, perché essa avrà sempre bisogno del segno escatologico che i consacrati le assicurano: rendere presente nell’oggi il domani del Regno!

 

Mary Melone, superiora generale delle suore Francescane Angeline

(tratto da Orientamenti Pastorali, 12/2019, EDB, Bologna)

[1] In questo contributo si usano in modo equivalente i termini religiosi, consacrati e consacrate per indicare i membri degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica, gli istituti secolari, gli eremiti e i membri dell’ordo virginum.

[2] A. Riccardi, Vita Consacrata. Una lunga storia, S. Paolo, Conisello Balsamo 2015, 20.

[3] Si tratta di: CIVCSVA, Rallegratevi, LEV, Città del Vaticano 2014; Id., Scrutate, LEV, Città del Vaticano 2014; Id., Contemplate, LEV, Città del Vaticano 2015; Id., Annunciate, LEV, Città del Vaticano 2016.

[4] Cf. LG 44: «Già col battesimo è morto al peccato e consacrato a Dio; ma per poter raccogliere in più grande abbondanza i frutti della grazia battesimale, con la professione dei consigli evangelici nella Chiesa intende liberarsi dagli impedimenti che potrebbero distoglierlo dal fervore della carità e dalla perfezione del culto divino, e si consacra più intimamente al servizio di Dio».

[5] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, Città del Vaticano 1996, 29 (da qui in poi: VC).

[6] Cf. VC 32: «Quanto alla significazione della santità della Chiesa, un’oggettiva eccellenza è da riconoscere alla vita consacrata, che rispecchia lo stesso modo di vivere di Cristo. Proprio per questo, in essa si ha una manifestazione particolarmente ricca dei beni evangelici e un’attuazione più compiuta del fine della Chiesa che è la santificazione dell’umanità».

[7] Cf. VC 3: «Al sinodo è stato più volte affermato che la vita consacrata non ha svolto soltanto nel passato un ruolo di aiuto e di sostegno per la Chiesa, ma è dono prezioso e necessario anche per il presente e per il futuro del popolo di Dio, perché appartiene intimamente alla sua vita, alla sua santità, alla sua missione».

[8] Decisiva è la distinzione sottolineata da Benedetto XVI tra origine della vita consacrata (la persona di Cristo come fondamento) e l’origine delle diverse forme di vita consacrata, lungo la storia della Chiesa, in forza dei diversi fondatori. Cf. Discorso del santo padre Benedetto XVI ai vescovi della Conferenza episcopale del Brasile (Regione Sul II) in visita «ad limina apostolorum», venerdì, 5 novembre 2010: »Sappiamo bene, cari vescovi, che le varie famiglie religiose, dalla vita monastica alle congregazioni religiose e alle società di vita apostolica, dagli istituti secolari alle nuove forme di consacrazione, hanno avuto la propria origine nella storia, ma la vita consacrata come tale ha avuto origine con il Signore stesso che scelse per sé questa forma di vita verginale, povera e obbediente. Per questo la vita consacrata non potrà mai mancare né morire nella Chiesa».

[9] S.E. Mons. J. M. Bergoglio, Intervento al sinodo sulla vita consacrata e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, XVI Congregazione generale, 13 ottobre 1994.

[10] Cf. VC 19: «Lasciandosi guidare dallo Spirito in un incessante cammino di purificazione, essi diventano, giorno dopo giorno, persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto».

[11] Francesco, Lettera apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’anno della vita consacrata, 21 novembre 2014.

[12] Cf VC 18.

[13] Francesco, Lettera apostolica a tutti i consacrati in occasione dell’anno della vita consacrata, 2.

[14] Francesco, Ivi: «Il profeta riceve da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vive e di interpretare gli avvenimenti: è come una sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora (cf. Is 21,11-12). Conosce Dio e conosce gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle. È capace di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e le ingiustizie, perché è libero, non deve rispondere ad altri padroni se non a Dio, non ha altri interessi che quelli di Dio. Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sa che Dio stesso è dalla loro parte».

[15] CIVCSVA, Rallegratevi, 46.

[16] CIVCSVA, Scrutate, 42.

[17] CIVCSVA, Rallegratevi, 46, 49

[18] Cf. VC 72 e seguenti.