Giancarlo Tettamanti – giornalista pubblicista, socio fondatore AGESC

“Solo con il riconoscimento dell’altro, rispettando la sua identità, noi sapremo custodire e affermare la nostra storia, i nostri principi, il nostro impianto valoriale”

Questa frase anticipa, in un certo senso, la raccomandazione di Papa Francesco di “rispettare tutte le religioni”, ciò che rappresenta l’essenza del cammino cristiano nel mondo, e particolarmente nel contesto attuale di spiritualità multipla che caratterizza la società multietnica. Una società che chiede il rispetto e il riconoscimento del valore della libertà religiosa, cardine dell’insegnamento sociale cristiano. Si tratta di una giusta riflessione, che tuttavia richiede alcune sottolineature altrettanto necessarie, dettate dalla necessità di una valutazione circa la radice delle varie religioni e il rapporto esistente tra di loro, nonché la stessa valutazione di ciascuna. È evidente che non tutte hanno uno spirito comunionale. Tra il modo di essere religioso – cattolica, ebrea e musulmana – esiste una sostanziale diversità spirituale e comportamentale, e ciò nelle stesse persone che a esse appartengono, che evidenziano divergenze e anche contrapposizioni, ideali e operative. Quindi una sostanziale diversità dell’umanesimo cattolico ed ebraico, rispetto a quello musulmano. “Riconoscere l’altro” è un principio di base, così come “rispettare l’identità di ognuna”: ma se ciò esige un forte rispetto l’una dell’altra, questo deve essere reciprocamente evidente e non unidirezionale. L’attenzione che cristiani ed ebrei rivolgono nei riguardi dei musulmani non è affatto da questi contraccambiato. Mi permetto alcuni esempi e alcune situazioni: gli Imam, a nome della comunità musulmana, non mancano di accusare nella nostra religione la presenza di un patriarcato, e chiaramente ritengono i maschi italiani degli assassini, la nostra società maschilista, razzista, omofoba. Contestualmente noi siamo chiamati a difendere la cultura islamica che, quella sì, è fortemente omofoba e misogina, cultura che si basa sull’idea che la donna è inferiore all’uomo e che, pertanto, vada per questo sottomessa, ridotta in schiavitù, trattata alla stregua di un oggetto. Peccato che non pensino – nell’accusarci – al record di violenze sessuali da loro commesse, e che, proprio loro, non possono essere presi come modello nell’ambito del trattamento riservato alle donne: infabulazione, matrimoni precoci, ritiro dalle scuole dell’obbligo delle ragazze, imposizione del velo, impedimento della loro frequenza all’università, e con ciò pena capitale comminata a chi si ribella a tutto questo. Azioni queste presenti anche all’interno della comunità musulmana insediata nel nostro territorio. Infine, un’ultima perla: in Afghanistan si procederà alla lapidazione in pubblica piazza della donna sospettata di adulterio! Vanno rispettati i nostri principi valoriali – negati dagli Imam -, quei principi che sono chiaramente diversi e contrari a quelli musulmani e “riconoscere l’altro”, da parte nostra, è quasi impossibile: è molto difficile riconoscerli e accettarli. La nostra cultura e la nostra democrazia sono fortemente diversi e contrastanti rispetto la loro.

Da qui l’idea di formare una “consulta interregionale”, un luogo stabile di dialogo con tutte le confessioni religiose. Ma come è possibile un dialogo quando non sempre c’è un minimo concetto di vita comune e un rapporto di collaborazione e di responsabilità sancito tra Stato e confessione religiosa da parte musulmana; rapporto sempre rifiutato dagli Imam? Se la libertà religiosa nasce e si fonda sul “reciproco”, va detto e sancito che tale condizione manca già in partenza. E conseguentemente anche rispetto ad una domanda “bonaria”, da parte di Vescovi e di rappresentati la Chiesa cattolica, nei confronti della presenza musulmana, nonché da parte di molti della comunità cristiana: possiamo dire che la Chiesa in Italia non abbia altri passi in avanti da compiere al riguardo?  Che la Chiesa abbia ad essere riferimento preciso e che operi con unità di intenti e con uniformità di giudizio? Che i laici cristiani non abbiano la necessità di riflettere sul loro atteggiamento e sul loro impegno culturale, sociale e politico? Così non sembra, dato l’atteggiamento includente e prepotente dei musulmani, nonostante siano entità laceranti e disgreganti nella comunità cristiana e nella comunità nazionale.

La reciprocità di rispetto non sembra ottenibile. E’ venuto il momento di ricordare che questa espansione musulmana porta a sviluppare la rovina della nostra cultura e della nostra democrazia. Non possiamo accettare una resa incondizionata all’Islam. “La realtà degli atteggiamenti oggi prevalenti in molti cristiani impegnati e acculturati, sono: – l’individualismo egoistico, che sta sempre più segnando di sé l’evoluzione del nostro costume e delle nostre leggi; – il soggettivismo morale, che induce  a ritenere sia lecito e persino lodevole assumete posizioni differenziate delle norme di comportamento; – il pacifismo e la non violenza, di matrice tolstoiana, confusi con gli ideali evangelici, così che poi si finisce coll’arrendersi alla prepotenza; – l’estremismo teologico che, per timore di essere tacciati di integralismo, dimentica l’unità del piano di Dio, rinuncia a irradiare la Verità divina in tutti i campi, e così abdica a ogni impegno culturale ed esistenziale di coerenza cristiana” (Card. Giacomo Biffi).

Abbiamo di che meditare. “La militanza di Fede ridotta ad azione umanitaria e genericamente culturale, il messaggio evangelico identificato nel confronto irenico con tutte le filosofie e con tutte le religioni indiscriminatamente; la Chiesa di Dio scambiata per una organizzazione di promozione sociale ….. Siamo sicuri che non sia proprio questo il dramma ecclesiale?” (ibidem). E ancora: “Una Chiesa più povera di dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante, e quindi più soggetta alle pressioni del potere di turno e alle manipolazioni sociali e politiche” (Card. Carlo Caffarra). Credo – e penso di non essere solo – sia necessario, non un atteggiamento remissivo, non una rinuncia alle nostre tradizioni, ma il rispetto della civiltà occidentale (anche se non perfetta), della nostra cultura e del nostro modo di vivere, che va affermato nella sua validità e con la massima chiarezza.