Giacomo Ruggeri – Professore di Teologia Pastorale allo Studio Teologico di Pordenone, affiliato con la Facoltà Teologica del Triveneto – itapn.it

Regolo: serve e preserva

Negli anni ’90 il mondo pubblicitario lanciò il brand: no limits. Nessun limite. Due parole che fecero scuola aprendo un filone di pensiero riproposto e riformulato nei decenni successivi. Alla base di tale brand vi è il seguente slogan: posso fare tutto ciò che voglio perché non ho nessun limite. Per la generazione che rimuove Dio anche l’appartenere ad una Chiesa può essere visto e vissuto come un limite, specie per ciò che essa indica in uno stile comportamentale. Più che rimuovere Dio in sé, ad essere rimossi dalla persona sono tutti quei paletti, limiti, confini e quelle regole che la Chiesa pone per chi vuole seguire un determinato cammino religioso. In sostanza Dio non è considerato come un limite, perché il bisogno di dare senso e sostanza alla vita è innato in ogni persona ed è insopprimibile. Posso mettere una pietra sopra la sorgente d’acqua, ma questa continuerà ad uscire. Il limite entra in ballo quando la persona se lo vede porre innanzi, dalla Chiesa, come regola. Chi studia teologia si trova davanti, tra le varie materie, il Diritto Canonico. Per chi non l’ha mai affrontata è una disciplina nota per la sua parte anche sanzionatoria. È visto, sovente, come un testo “punitivo”: è una precomprensione non corretta. Il Codice di Diritto Canonico, lo strumento fondante il Diritto, è come il codice della strada: non è stato pensato per limitarmi la vita, ma per preservarmela.

La fonte educativa del limite

Il figlio non vuole imposizioni dal genitore. Il genitore non vuole imposizioni dall’esterno del nucleo familiare. Lo studente non vuole imposizioni dal professore. Il credente non vuole imposizioni dalla sua confessione religiosa. Cosa significa e cosa comporta crescere in una cultura del «non voglio imposizioni»? E ancora: come cambia il mio essere una persona credente che «non vuole imposizioni»? La rimozione al limite apre però la via al dirupo: confondo il limite con l’ostacolo. Alla cultura del no limits è necessaria, per tutti, la formazione e l’educazione alla cultura dell’yes limits: è l’aver cura della libertà come bene comune che promuove la vita e da condividere. Un ragazzo cresciuto in un ambiente dove la regola era non avere regole, farà più fatica ad inserirsi nella società, nella scuola, in un posto di lavoro. La sua responsabilità è da condividere con chi, da adulto (non solo i genitori, ma molteplici figure educative adulte) gli ha dato la regola delle non regole, e lo ha confuso facendogli vedere il limite come un ostacolo da superare. Nella cultura del no limits essere ripresi verbalmente, richiamati all’ordine è visto come un limite alla propria libertà. Invece non è così. È l’esatto contrario: ho qualcuno che mi ricorda cosa è bene per me, e cosa non lo è, che mi aiuta a crescere e a maturare il senso di libertà come responsabilità a me stesso e nei confronti di ogni persona. Il Codice di Diritto Canonico non è, ovviamente, solo paletti, confini, elenco di pene, sanzioni. È tanto, e molto di più. Come ogni codice (stradale, civile, penale, etico, liturgico, ecc.) è a servizio della crescita della collettività. Senza regole – da rispettare – vi sarebbe una permanente anarchia individuale. Ed ecco, allora, uno dei risvolti del Codice di Diritto Canonico per la persona che rimuove Dio dalla sua visione e prospettiva di vita: darmi una regola di vita, regola intesa come una forma mentis alla quale essere fedele-costante, per crescere come persona, per educare i figli, per vivere la propria professione sociale. La regola nasce dal regolo, lo strumento per misurare. Nella cultura dell’essere misurati per ciò che si consuma e ciò che si produce, anche uno strumento come il Codice di Diritto Canonico mi aiuta a sentirmi una persona con la propria dignità, parte di un popolo, di una comunità, di una Chiesa (anche se non la frequento).

Tratto da Orientamenti Pastorali n.12(2023). EDB. Tutti i diritti riservati.