Per comprendere cosa sia il discernimento occorre avere chiaro che si tratta di una prassi molto antica, che si poggia sulla impossibilità che decisioni concrete possano essere fatte derivare direttamente dai processi logico-deduttivi della ragione teoretica. Il luogo invece dove fare originare e maturare il discernimento è quello proprio della ragione pratica e della metodologia teologico-pratica. A partire da questo assunto sintetico e raccogliendo sia alcune riflessioni di papa Francesco che l’impostazione che K. Rahner dà a un capitolo della sua Teologia pastorale, inerente al rapporto tra principi e imperativi, si possono indicare tre precise tappe che articolano la riflessione sul discernimento pastorale:

  1. il discernimento pastorale prende decisamente le distanze da ogni ragionamento che, originato da «idee chiare e distinte», deduca conclusioni astratte che non tengono conto dello spessore della realtà;
  2. il discernimento pastorale considera la realtà non nella astrattezza del «tutto bianco o tutto nero», ma piuttosto nella concretezza delle «varie gradazioni di grigio»;
  3. il fondamento antropologico del discernimento è dato dalla struttura di ente spirituale, che caratterizza l’ontologia dell’essere umano; questo permette da un lato di considerare il singolo essere umano come un valore in sé e dall’altro di considerare la libertà dell’uomo come una vera e propria mediazione in ordine alla verità.

Dal punto di vista poi della pratica cristiana del discernimento, vale la pena ricordare la natura spirituale (nello Spirito Santo) di tale discernimento. Si discerne sempre infatti l’intervento rivelativo di Dio all’interno delle coordinate storiche del «qui e ora», interpretate dalla fede.

Alla luce di quanto brevemente affermato ci si chiede quali possano essere oggi gli oggetti di un discernimento ecclesiale-pastorale.

Ad una riflessione introduttiva (Carmelo Torcivia), e ad alcuni passaggi delle catechesi che il santo padre ha dedicato al discernimento, segue un contributo in ordine all’ambito della trasmissione/comunicazione della fede: ci si pone il problema se sia opportuno affrontare la complessa problematica alla luce solo di notazioni critiche ecclesiali e ecclesiologiche o se invece si deve riconoscere che la questione inerisce principalmente al problema di Dio sia nei termini dell’ateismo «pacifico» e non ideologico delle nuove generazioni sia nei termini del posto che non è riservato a Dio nelle attuali società (Francesco Cosentino).

In ordine alla figura di chiesa che oggi si vuole disegnare occorre percorrere le linee di una nuova riforma ecclesiale oppure vale la pena considerare che ci si trova davanti all’occasione di una nuova inculturazione della fede occidentale (Giuseppe Savagnone: leggi l’articolo).

In ordine al cammino sinodale delle chiese italiane e alla celebrazione del sinodo universale occorre discernere sulla fecondità o meno della tensione tra sinodo e sinodalità, intendendo per sinodo la celebrazione di un convenire ecclesiale per affrontare gravi problemi che ineriscono a tutta la chiesa e per sinodalità un nuovo modo di governare i processi ecclesiali (Giacomo Costa).

In ordine alle chiese locali e alle comunità parrocchiali ci si chiede se ci si può «accontentare» di una pastorale ordinaria, che accoglie alcune istanze missionarie, o se invece bisogna decisamente andare alla creazione di una pastorale kairologica (cf. Zulehner) che, senza contrapporsi a quella ordinaria-missionaria, sviluppi però percorsi in cui gli obiettivi non sono quelli dell’evangelizzazione e della sacramentalizzazione, ma semplicemente quelli dell’accompagnamento pastorale – nella doppia direzione del ricevere e del dare – di singole persone e gruppi che vivono la loro vita al di là dell’appartenenza ecclesiale (Livio Tonello).