Giacomo Ruggeri – professore di teologia pastorale allo Studio Teologico in Pordenone, affiliato con la Facoltà Teologica del Triveneto – itapn.it

1.Teologia su strada: perché

Domanda: che futuro avranno tutte quelle realtà dove si insegna teologia in Italia? Università, facoltà, istituti preposti all’insegnamento della teologia stanno vivendo una metamorfosi totalmente inedita rispetto ai decenni passati. Le istituzioni teologiche accademiche che non hanno un sufficiente numero di studenti sono costrette a chiudere, con tutto ciò che tale scelta dolorosa e gravosa comporta. La progressiva contrazione dei seminaristi che si formano nei seminari, con la vasta gamma delle discipline teologiche, impatta da un lato con la contrazione della partecipazione alla vita della parrocchia da parte delle persone e, dall’altro, all’aumento di chi – adolescente, giovane, adulto – decide di abbandonare la chiesa cattolica. Ho scelto di pormi l’interrogativo di apertura con l’intento di guardare oltre la risposta – o le risposte – che si può dare a tale questione. Queste riflessioni sono rivolte a tutti: l’intento è quello di portare la teologia anche al di fuori delle aule accademiche: portarla in strada, là dove la gente vive la vita. Le numerose discipline che costituiscono la spina dorsale di un’istituzione teologica sono viste, dal di fuori dalla strada, come una specie di riserva indiana: relegate in un luogo e legate a persone che avranno un ruolo. In alcuni paesi europei la teologia è insegnata nelle università statali al pari di ingegneria, medicina, filosofia, scienze politiche, architettura, ecc. Ogni disciplina teologica ha in sé una ricchezza enorme. Per ogni materia teologica si srotola una sapienza e una bellezza frutto anche di tanta ricerca, di tanto studio da parte dei professori. Ed ecco, allora, la seconda domanda: le singole materie e discipline teologiche insegnate oggi nelle aule accademiche che cosa hanno da dire, da proporre, da offrire come riflessione, consiglio, stimolo soprattutto alla persona che ha abbandonato la chiesa, la sta lasciando o che, in un certo modo, vive la sua vita senza più appartenere a una forma religiosa come quella cristiano-cattolica? E ancora una domanda: che servizio di riflessione e di pensiero può svolgere la teologia, e con essa le singole materie teologiche, alla persona che vive il suo credo e credere in Dio «a modo mio»? Storia della chiesa, diritto canonico, ecclesiologia, cristologia, pastorale, morale, filosofia, latino-ebraico-greco, esegesi, Antico e Nuovo Testamento e tante altre materie hanno vita solo all’interno delle aule di teologia o possono avere una diversa vita e vitalità anche all’esterno di esse? La mia risposta è affermativa, e nelle pagine di questo itinerario, prendendo alcune discipline, cercherò di portare la teologia dai singoli ambiti teologici alla strada, con linguaggio semplice, esistenziale, narrativo. La ricerca scientifica è importante che sia coltivata, esercitata nelle sedi e negli ambiti editoriali propri. Nel contempo, ritengo utile favorire una trasfusionalità della teologia sia da se stessa sia verso la persona che non ha mai sentito parlare di ecclesiologia o di diritto canonico, ma che può ricavarne un qualche nutrimento esistenziale e un beneficio per abitare la propria vita grazie anche a degli stimoli mai ricevuti. Queste pagine, e questo itinerario, cercano di rendere la teologia meno sconosciuta a chi l’ha ritenuta, sinora, sconosciuta o ignorata. Favorire la persona a una frequentazione dei temi teologici al di fuori delle aule e delle lezioni accademiche, sperando di portare beneficio e crescita a tutti.

2. La storia della chiesa non è solo nei libri

Ogni vita umana, ogni persona è una storia. Dal suo nascere al suo morire compie un tratto di strada, più o meno lungo, mediante il quale riceve e dona, prende e offre, aiuta ed è aiutato. Per quanto la vita nel tempo attuale si stia prolungando sempre più, sta di fatto che a un certo momento arriva al capolinea. L’istituzione, invece, diversamente dalla persona ha una cronologia temporale di vita ben diversa dall’esistenza umana: il suo esistere, e continuare a esserci, travalica le singole persone che, di stagione in stagione, sono chiamate a governarla. Questo vale per la chiesa, per lo Stato, per un’amministrazione pubblica, per un servizio pubblico (ad es. l’ospedale). La chiesa ha una sua storia e, allo stesso tempo, ha segnato e segna la storia, con diversa impronta e tipologia in base al territorio dove essa è presente da secoli e da pochi decenni (Roma non è la Mongolia e viceversa). La parola chiesa calamita a sé termini (riduttivi) come papa, vescovi, preti, diaconi, praticanti. Nella parola chiesa, invece, vi è racchiusa l’arte, la cultura, l’architettura. Per questo la storia della chiesa non si studia solo nei libri, ma è diffusa e visibile. Chiese antiche, abbazie, monasteri, pievi, santuari raccontano di un passato che non c’è più e di un presente che c’è in relazione ai tempi presenti.

3. Perché fa bene sfogliare la storia della chiesa

Perché mi ha aiuta a capire soprattutto un punto centrale, ovvero che, quando oggi chiedo alla chiesa di aggiornarsi, di cambiare, di essere al passo con i tempi mi fa bene sfogliare i secoli e i decenni addietro per vedere che, con un giro di parole, ogni cambiamento è figlio di un cambiamento. La chiesa cambia con la sua gente e assieme a essa con tempi non registrabili alla mentalità dell’infosfera. Da qui il motto: i tempi biblici della Chiesa. Eppure, in questa espressione non c’è solo l’aspetto della lunghezza decennale rispetto a un desiderio che nasce nella singola persona. Vi è anche la dimensione di popolo, perché la Bibbia è ricca di storie di popoli che hanno combattuto e lottato tra loro, di popoli dati per finiti e invece hanno avuto un futuro, di altri creduti eterni e invece la storia li ha spazzati via. Sfogliare la storia della chiesa, allora, è un esercizio di condivisione, di coesione, di partecipazione pur nella differenziazione. L’era della socialità della rete ha generato tanta connessione e ha prodotto molta solitudine. La storia della chiesa, pertanto, è di aiuto nel coltivare le relazioni con tutte le modalità conosciute, senza sostituire il nuovo con il vecchio. Permette la maturazione di una coscienza comune nella pluralità delle opinioni, senza divenire il re di turno che con il pollice abbassato o alzato dà la vita o la morte nella filiera dei social.

4. La storia della chiesa per la mia vita: insegna e consegna

Anche per la persona che si dichiara non credente né praticante della chiesa, la sua storia ha qualcosa che insegna e consegna. Insegna che a essere tranchant (con l’ascia in mano) raccoglie adepti temporanei, ma non fa crescere un popolo, una comunità, una famiglia. Il motore tecnocratico ha accartocciato, contratto, frammentato il tempo nel suo pensarsi e nel suo disporsi: la chiesa cammina nel tempo con la sua gente, anche con quella che l’ha abbandonata perché si è padri e madri per sempre anche quando i figli si separano dai genitori. La storia della chiesa, studiandola, leggendola, approfondendola mi consegna uno stile, come quello della Tradizione, che non è tradizionalismo, ma è sentirmi parte di una storia che è stata prima di me e sarà dopo di me. La mia storia nella chiesa, da praticante o da abbandonante, dunque, ha un suo valore intrinseco. Per il Signore Gesù sono figlia e figlio, e sempre lo sarò, anche nelle mie scelte sofferte. La storia della chiesa è densa di storie di persone che hanno fatto soffrire la chiesa e hanno sofferto a causa di essa. Saper cogliere il buono e il bene in tutto, è cosa saggia.

(Tratto da Orientamenti Pastorali n.10/2023, EDB. Tutti i diritti riservati)