Pier Giuseppe Accornero – sacerdote, giornalista, scrittore

«Anch’io fui sorpreso…Avevo prenotato il biglietto per tornare a Buenos Aires in tempo per la Domenica delle Palme. Ma ero anche molto calmo». Jorge Mario Bergoglio, argentino con ascendenze subalpine, 266° vescovo di Roma e pastore della Chiesa universale, è eletto la sera del 13 marzo 2013, mercoledì della IV settimana di Quaresima: mancano 11 giorni al 24 marzo, Domenica delle Palme, abbondantemente sufficienti per tornare in aereo da Roma a Buenos Aires. Dieci anni fa, al quinto scrutinio nella seconda giornata di Conclave, il cardinale arcivescovo di Buenos Aires assume il nome di Francesco in onore di san Francesco d’Assisi, che nessun pontefice aveva preso. «Ha imparato a fare il papa?» domanda il giornalista di «ABC» «Non so se ho imparato. La storia ti coglie dove sei».

Nel 2013 la rappresentanza extra-Europa nel Collegio cardinalizio era al 35 per cento; oggi quasi al 50 per cento. Quel papa, che i cardinali presero «quasi alla fine del mondo», colse tutti in contropiede. Non ha deluso le aspettative. Ha assunto uno sguardo soave; guarda dritto negli occhi; saluta con il braccio destro alzato; gesticola e parla con le mani perché è italo-argentino ed esprime veemenza e determinazione, forza e dolcezza, spontaneità e profezia. Trasmette empatia e calore ma non se non è a suo agio: quando ricevette il presidente americano Donald Trump il suo sguardo diceva tutto.

Adesso che ha male al ginocchio, sulla «papamobile» sta seduto e non in piedi e le guardie prendono i bambini dalle braccia delle mamme e glieli porgono da baciare. Alla fine delle udienze a gruppi e associazioni passano tutti a salutarlo a uno a uno.

La sua vera anima viene fuori nelle parole che pronuncia a braccio. Poco tempo fa, nell’udienza a persone colpite da malattie rare, alcuni bambini infermi si sono alzati e gli sono andati intorno. Lui ha posato i fogli e li ha abbracciati: «Questo è il vero discorso».  Occorre prestare attenzione a ciò che dice. Quando parla sa bene di essere il papa, non dice ciò che gli passa per la testa.

Ha fatto installare le docce e un ambulatorio sotto il colonnato del Bernini per i barboni. Ha lasciato l’appartamento papale. Abita a Santa Marta e torna al Palazzo apostolico per gli incontri e le udienze. Non va in ferie a Castelgandolfo, dove spira la rinfrescante arietta del lago ma si sorbisce la calura estiva di Roma. «Non ha mai fatto ferie» spiegò la sorella quando fu eletto. Non sarà facile ai successori tornare al passato.

Il 17 dicembre 2022 – giorno dell’86° compleanno – rivendicò la bontà della decisione di non sottoporsi a un intervento chirurgico per ovviare alla gonalgia che lo affligge: «Si governa con la testa e non con il ginocchio». Se qualcuno abusa della sua fiducia e contorce le sue parole, invita a leggerle nel contesto in cui sono state pronunciate: «A volte lo fanno con un’ermeneutica previa a ciò che ho detto, per portarmi dove vogliono che vada: “Il papa ha detto questo”. Sì, ma l’ho detto in un determinato contesto. Se lo si toglie dal contesto significa un’altra cosa». Racconta del candidato argentino che andò alla sua messa a Santa Marta: «Hanno scattato una foto fuori dalla sacrestia e gli ho detto: “Per favore, non la usare politicamente”. “Stia tranquillo”. Una settimana dopo Buenos Aires era tappezzata di quella foto, ritoccata per far sembrare che fosse un’udienza personale. Sì, a volte mi usano. Ma noi usiamo Dio molto di più, quindi sto zitto e vado avanti».

Cosa le manca di più? «Non poter uscire e camminare per strada. A Buenos Aires ero libero. Quando uscivo, non sapevano nemmeno che fossi il cardinale. Usavo i mezzi pubblici perché mi piaceva vedere come si muovevano le persone. Il contatto mi ricarica, per questo non ho cancellato neanche un’udienza del mercoledì». Un papa mite, di vita semplice, con un forte carisma. Crede molto alla preghiera. Alla fine di ogni «Angelus» festivo dice sempre: «E non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo». Forti i richiami a una fede incarnata e alla centralità della parola di Dio, contro ogni forma di potere e mondanità. La sua popolarità non è più al 90 per cento, come all’inizio ma a un buon 68-70 per cento.

Nel documento programmatico del papato, l’esortazione apostolica «Evangelii gaudium» (24 novembre 2013), afferma: «Nel cuore del vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri». I principi della dottrina sociale della Chiesa non sono desunti dalla filosofia o dal diritto naturale, ma sono applicazioni del vangelo, il cui cuore è l’amore. La Chiesa non dà indicazioni sociopolitiche specifiche ma, alla luce del vangelo, sviluppa alcuni principi fondamentali: dignità della persona, bene comune, opzione preferenziale dei poveri, destinazione universale dei beni, solidarietà, cura per la casa comune.
Chiaramente guarda oltre il Vaticano, l’Italia e l’Europa, in una prospettiva geopolitica globale. Questo sebbene la Chiesa abbia perso radicamento, attraversata da polemiche interne e da guai colossali che ne offuscano immagine e credibilità. I virus peggiori sono clericalismo e carrierismo, pedofilia del clero e scandali finanziari, sete di potere e di soldi. Francesco è un capo morale mondiale, per credenti e non credenti, un riferimento autorevole nelle gravissime crisi, dalla pandemia alla fame nel mondo, dalla siccità all’inverno demografico. Una voce profetica per la pace nella feroce aggressione della Russia di Putin all’Ucraina.

L’immagine simbolo è quella di piazza San Pietro nella pandemia la sera del 27 marzo 2020. «Nella sua spettralità è di una potenza simbolica e visiva degna di un grande regista» scrive Massimo Franco. La piazza deserta e battuta dalla pioggia; l’altare a metà sagrato sullo sfondo della basilica illuminata. Su via della Conciliazione le auto della polizia con i lampeggianti accesi. Francesco, claudicante, sale verso l’altare circondato dal nulla e consegna al mondo un messaggio disperato e insieme di speranza. Va all’essenziale del vangelo e lo vive fino in fondo. Un papato nel segno della trasparenza e del riformismo radicale.