La sinodalità ecclesiale rimanda a due testi: LG 37 e can 212/3. Ci soffermiamo sul secondo:«In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona».

Sinodalità è comunione operativa in un’attività di governo pastorale. Essa si attua non in astratto, ma in precise strutture sinodali, come il Sinodo dei vescovi, il Sinodo diocesano, il Consiglio presbiterale, il Consiglio pastorale diocesano, il Consiglio pastorale parrocchiale.

L’attuale normativa canonica dice che tutte queste strutture hanno carattere consultivo: consigli, pensieri, allora sono consegnati all’autorità deliberante, il quale (da solo) ha la libertà di accettarli o meno. Ciò lo si comprende, ma non soddisfa: infatti, è proprio nel compimento dell’atto di decisione, che trova espressione autentica la sinodalità.

Diversamente, in uno schema deliberativo i consultati e il soggetto deliberante decidono insieme. Qui, siamo in presenza di una comunità comunione deliberante. Alcune precisazioni. Una manifestazione è attraverso il voto: in questo caso anche i fedeli compiono l’atto di volontà-decisione, confermato solo dalla simultanea presenza del voto del pastore in quello della maggioranza. Ciò porta a vedere i fedeli anche come “responsabili” nella scelta. Lo schema deliberativo è coerente con l’essere della Chiesa: l’unità della Chiesa è così confermata.

Nello schema consultivo, non c’è Chiesa. Il passaggio al deliberativo dovrà esprimersi in una codifica canonica, coraggiosa. Pastori e fedeli insieme fanno il bene della Chiesa: nelle fasi di intelligenza-conoscenza e volontà-decisione.