Domenico Sigalini – presidente del COP 

Esistono contrapposizioni di odio assurde, feroci, senza mezzi termini. Non ci rispettiamo per le nostre storie di vita che vengono solo giudicate e mai capite; dobbiamo vincere qualcosa, ma non sappiamo che cosa, perché la pandemia ci mette sempre in difficoltà o per lo meno diventa il punto cui far convergere tutte le nostre cattiverie. Se qualcuno di noi ha avuto il dono di trovare maggior serenità, non la può tenere più solo per sé: va spesa nel creare bontà di rapporti, rappacificazione di animi; va impiegata per non far cercare capri espiatori di ogni malessere che abbiamo e per allargare uno sguardo e una azione fattiva di solidarietà e di verità. Spesso, i grandi delitti nascono da piccole cattiverie coltivate come unico insistito clima di vita comune. Papa Francesco stesso, attenta sentinella di popolo, ha dovuto intervenire sulla assurda criminalizzazione dei no-vax, invece di ampliare il campo della ragione, della comprensione, del rispetto e del dialogo, del convincimento, della responsabilità verso tutti. Perché dobbiamo sempre trovare un nemico su cui scaricare la nostra incapacità di costruirci come persone equilibrate, comprensive e responsabili del ruolo che abbiamo nella società? O perché un semplice dissenso deve sempre andare verso la cattiveria, la punizione? Perché deve ingigantirsi senza poterlo fermare? Auguriamoci tutti che non sia nato ancora e non nascerà mai colui che ci toglierà il sorriso dalla bocca.

Ricordo volentieri a tutti quanto ha detto il concilio Ecumenico Vaticano II sul nostro futuro, che non è destinato a una prigione o alla distruzione, ma alle braccia di Dio.

«In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge, l’uomo, al pensiero dell’avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre. Però l’istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità, che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell’uomo. Il prolungamento della longevità biologica non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore che sta dentro invincibile nel suo cuore.

Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa, invece, istruita dalla rivelazione divina, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini della miseria terrena. Inoltre, come insegna la fede cristiana, la morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta, quando l’uomo sarà restituito allo stato perduto per il peccato dall’onnipotenza e dalla misericordia del Salvatore. Dio, infatti, ha chiamato e chiama l’uomo a stringersi a lui con tutta intera la sua natura in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l’uomo dalla morte mediante la sua morte. La rivelazione, offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura. Al tempo stesso dà la possibilità di comunicare in Cristo con i propri cari già strappati dalla morte. Nutre, infatti, la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.

Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni e di subire la morte. Ma associato al mistero pasquale e assimilato alla morte di Cristo, andrà incontro alla risurrezione, confortato dalla speranza.

Ciò non vale solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò, dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale.

Tale e così grande è il mistero dell’uomo che si manifesta agli occhi dei credenti attraverso la rivelazione cristiana! Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che senza il suo vangelo sarebbe insopportabile. Cristo è risorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la vita, perché, figli nel Figlio, esclamiamo nello Spirito: Abbà, Padre!». (Gaudium et spes, nn. 18.22)