Domenico Sigalini – Presidente del COP

È lo slogan che ha incantato tanti giovani sulla proposta di firmare la richiesta di un referendum sulla eutanasia.

A Palestrina, dove ho vissuto tutto il mio servizio episcopale dal 15 maggio 2005, giorno della mia ordinazione a Palestrina, al 31 luglio 2017, giorno della accettazione delle dimissioni per raggiunti limiti di età, capitava piuttosto spesso che venissero celebrati funerali di giovani morti per droga a Roma e portati poi in parrocchia. Un giorno al funerale di uno di questi, i suoi amici avevano esposto due lenzuola con scritto in uno: fatti in pace questo c…o di viaggio finale! E sull’altro: finalmente liberi. Non ho potuto non collegare quello slogan che sta nel titolo con queste lenzuola. Che libertà vanno cercando i giovani? Che cosa c’è dietro quel togliersi la vita che ritengono di essere liberi di potersi dare? C’è solo la morte. È l’individualismo che toglie ogni appartenenza a una comunità. Questo è un diritto da codificare. E la morte verrà data nella massima solitudine, indifferenza, abbandono, cure negate. Quindi si cerca la libertà nella morte. La libertà completa, finale è quella di poter decidere di darsi la morte! Ho pregato i ragazzi di togliere almeno fino a dopo i funerali quelle lenzuola che erano una offesa a Dio creatore e ai giovani morti per l’inganno della droga e per gli interessi di chi la smerciava.

Al dibattito TV su La 7 di qualche giorno fa avevo iniziato così, chiedendo se lo slogan l’avevano inventato i giovani, che sono corsi a firmare la richiesta o se l’aveva fatto qualche adulto per accalappiarli. Nel primo caso, sarebbe una grande superficialità, nel secondo caso l’adulto sarebbe ora che smettesse di giocare a fare il giovane e si prendesse la sua responsabilità di adulto. Il discorso è scivolato immediatamente sul caso pietoso di:

  1. patologie irreversibili;
  2. sofferenza intollerabile;
  3. accanimento medico per tenere in vita;
  4. capacità di prendere decisioni libere e consapevoli.

Per ciascuno di questi quattro casi la legge non dice che è reato aiutare a togliere la vita a una persona.

Questo è l’articolo 580.

Il referendum però chiede l’abrogazione dell’articolo 579 che penalizza l’omicidio del consenziente a meno che si tratti:

  1. dell’uccisione di un minore;
  2. di una persona inferma di mente;
  3. di una persona cui è stato estorto con violenza io inganno il consenso ad essere uccisa.

L’abrogazione di questo articolo lascia in vita il quarto caso del precedente 580, che ammette non essere reato dare la morte a chi la chiede, anche senza le tre condizioni precedenti. Per cui, se per il referendum proposto vincesse il sì, avremmo l’assurdo che chi uccide una persona maggiorenne che non vuol più vivere, anche se in buona salute, non rischia il carcere, mentre lo rischierebbe chi vuol affrontare i casi pietosi con, dicono loro, una morte dignitosa. Insomma, spero che la Consulta chiarisca il fatto prima dell’ammissione della formulazione della domanda del referendum. Questo però non interessa gli organizzatori, proprio perché con la scusa del caso pietoso si vuol far passare l’idea che uno che non vuol vivere deve essere aiutato a morire.

Lasciamo ora questa questione giuridica troppo complicata, anche se le leggi non sono mai inutili, se fatte bene e da persone competenti;  la cosa più importante è che, mentre tutti siamo preoccupati di tenere in vita gli ammalati di COVID-19, di cui molti sono anziani, e nel momento in cui abbiamo scoperto nuove solidarietà e capito di più che da queste morti o si esce assieme o non se ne esce, qualcuno con molto clamore e ascolto, molta audience e leggerezza, dà la morte a chi non vuol vivere.

Dio ci ha donato la vita e noi ne dobbiamo fare dono. Non ci è stato chiesto di vivere, ma ci è stato donato di vivere. Oggi ci si vuol convincere che chi nella sofferenza si fa ammazzare dà la prospettiva di una morte dignitosa a tutti; come se non fosse dignitosa la morte di chi ha offerto le sofferenze della sua vita fino alla fine per dare esempio e coraggio a tutti di affrontare la sofferenza non come una disgrazia, ma come una prova della vita che val la pena sempre di essere vissuta!! Per questo ci batteremo sempre perché ci siano cure palliative per tutti, una assistenza quotidiana per chi soffre, cliniche specializzate e ben gestite, volontariato competente, catene di solidarietà senza ferie…

Noi cattolici possiamo far valere democraticamente le nostre convinzioni, senza il minimo malanimo verso chi la pensa diversamente e desidereremmo – anche se non ci spero molto – che i nostri pareri non siano ritenuti ingerenze del Vaticano sulla politica italiana. Si tratta invece di coscienze di persone che hanno una fede, che credono in un Dio, che troveremo a riempirci di nuova vita dopo la morte.

Stimo, senza approvarli, coloro che ci mettono la propria coscienza fino in fondo per far valere i loro principi di coscienza, e auspico e prego che la morte non sia proprio l’ultima parola sulla loro esistenza, ma ci sia un futuro bello, che io chiamo Paradiso, per tutti.

(L’intero articolo sarà pubblicato su Orientamenti Pastorali n. 9/2021, EDB)