Riportiamo la trascrizione della trasmissione radiofonica su Radio Vaticana del 25 agosto u.s., condotta da Federico Piana, alla quale hanno partecipato mons. Domenico Sigalini e don Antonio Mastantuono, dedicata alla 70.ma Settimana di aggiornamento pastorale del COP. Segnaliamo che sono ancora disponibili alcune camere per il pernotto.

Conduttore: Ci soffermiamo questa mattina su quella che è, diciamo così, una tendenza della Chiesa italiana a camminare, a raggiungere la sinodalità. Do il benvenuto a due ospiti che ci aiuteranno a capire meglio questo argomento, e sono Domenico Sigalini, vescovo emerito di Palestrina e presidente del Centro di orientamento pastorale, e don Antonio Mastantuono, pastoralista e vicepresidente del Cop. Questo argomento verrà affrontato anche nella settantesima Settimana nazionale di aggiornamento pastorale del Centro di orientamento pastorale che si terrà ad Assisi dal 6 all’8 settembre di quest’anno. “In cammino verso il sinodo della Chiesa italiana”: questo il titolo.

Mons. Sigalini: proprio questo è il nostro lavoro come Centro di orientamento pastorale, cioè quello di essere stato molto collegato all’esperienza della Chiesa italiana perché ha come target molti parroci, molti vescovi e molti laici impegnati nella Chiesa, e adesso anche qualcuno che comincia ad allargare il suo orizzonte di cultura ecclesiale. Quindi a noi interessa soprattutto aiutare la proposta di questo cammino verso il sinodo. Il sinodo sta diventando una parola che usiamo molto e che assume sempre tanti significati e magari anche molto comodi e molto riduttivi. Allora ci sembrava importante che nella nostra Settimana facessimo un intervento abbastanza deciso, più dal punto di vista teologico come dal punto di vista pastorale.

Conduttore: come si svolgerà questa settimana monsignor Sigalini? So che ci saranno tanti incontri, tanti ospiti e al centro ci sarà questo tema che abbiamo detto, un tema portante, che poi vedremo anche in questa trasmissione.

Mons. Sigalini: si svolge sicuramente con una cosa interessante, che è la prima volta che ci capita, e sono grato al cardinale Gualtiero Bassetti che ha accettato. È lui che ci introduce perché è lui che poi ha definito, assieme ai suoi collaboratori più stretti, vicepresidenti della CEI, questo tipo di orientamento e di cammino che la Chiesa italiana deve fare. Quindi su questa sinodalità non si torna indietro e si deve cominciare a lavorare in maniera seria. Allora avere lui che ci dà questa introduzione a noi dà garanzia di una correttezza di vita ecclesiale italiana e quindi di collaborazione a tutto campo.

Poi avremo sicuramente una pensata su quale Chiesa “dopo” la pandemia (questo “dopo” lo mettiamo tra virgolette, perché non sappiamo se veramente dopo) perché evidentemente questo fatto ha influito e sta influendo molto sulle nostre comunità cristiane, sulla nostra vita di cittadini, ma anche sulla vita ecclesiale. E adesso magari i fedeli si accorgono ancora di più che alcune limitazioni che ci sono state ci hanno un po’ penalizzato nella nostra vita di comunità. Allora partiamo tranquillamente, senza lamentele, e vediamo cosa vuol dire e che tipo di cambiamenti ci propone.

Un altro elemento serio, quindi, è quello di entrare in maniera concreta dentro la sinodalità della Chiesa. C’è una teologa, Serena Noceti, che ci dice che la singolarità non è una specie di attività che oggi c’è e domani non c’è, ma è una dimensione fondamentale della Chiesa. La Chiesa o è sinodale o non è Chiesa. Quindi per noi è importante riuscire a cogliere che stiamo lavorando al cuore della vita ecclesiale. E poi una terza relazione sarà quella di vedere la sinodalità come l’ha proposta Francesco nella Evangeli gaudium. Sono tre interventi teologici molto seri, fondanti. Poi noi tradurremo questo discorso teologico anche con degli incontri che chiamiamo focus: delle piccole relazioni, dove il dibattito con le persone presenti è molto ampio. Questa Settimana, la settantesima, la facciamo in presenza, finalmente, perché sarebbe stato l’anno scorso il settantesimo, ma, come con le Olimpiadi, l’abbiamo spostata di un anno. Ci saranno quindi alcuni focus – li chiamiamo così – dove ci sono persone specializzate in alcuni elementi della sinodalità che ci aiuteranno ad approfondire, in termini di concreta relazione ecclesiale, di vita ecclesiale, di vita parrocchiale, di vita interparrocchiale, come adesso la sinodalità stia assolutamente diventando prassi di tutte le diocesi italiane. Non c’è più la parrocchia, il prete nel suo paese e basta, ma ci sono parrocchie, tutte messe assieme; le chiamavamo unità pastorali, anche se il termine non è mai stato gradito moltissimo, però sta di fatto che sono esperienze che ci costringono ad essere più missionari, e non soltanto perché mancano i preti, ma perché vogliamo essere missionari. Questi sono i focus che noi faremo per approfondire: le virtù sinodali e la mistica della fraternità. Essendo ad Assisi ci sembra assolutamente necessario che abbiamo a riflettere anche su questo esempio vivente, quello di San Francesco, di mistica della fraternità.

Conduttore: Entriamo nel merito del sinodo della Chiesa italiana. Secondo lei, don Antonio, che obiettivi dovrà avere? Si sta camminando verso questo sinodo, un sinodo che sicuramente partirà anche dal basso. Però, secondo lei, quali sono due, tre obiettivi che ci vuole indicare?

Don Antonio Mastantuono: Un obiettivo di fondo è quello di rispondere alla domanda quale Chiesa italiana in questo tempo; quali atteggiamenti, quali scelte la Chiesa italiana deve maturare in questo tempo. È un percorso, come è stato indicato, che parte dal basso per poi incrociare l’alto. In fondo è tutto un lavoro che dovrebbe coinvolgere tutte quante le comunità per avere poi un primo momento di sintesi e poi di rilancio. Ciò che a me preme sottolineare di questa esperienza è che possa diventare per una crescita della dimensione comunitaria, cioè che non diventi un lavoro fatto con i soliti che girano attorno alle nostre parrocchie, ma che sia l’accogliere l’invito del papa dal basso. Che sia quindi il momento in cui le comunità abbiano il coraggio di aprirsi e di mettersi in ascolto dei loro territori, delle domande, delle attese della gente, e perché il vangelo possa realmente raggiungere: non si tratta tanto di avere come obiettivo delle modifiche o una riforma delle strutture, quanto invece ridare un’anima, scuotere questo cammino della Chiesa che a volte dà l’impressione che sia un cammino a cui manca il respiro.

Conduttore: Ridare vitalità, forza, il respiro in che modo, secondo lei? Quale sarebbe una delle strade percorribili?

Don Antonio Mastantuono: Una delle strade percorribili è proprio quella dell’ascolto, cioè comunità che sono capaci di mettersi in ascolto non solo al proprio interno, ma anche realmente di accogliere l’invito del Papa ad uscire, cioè mettersi sulla soglia, sui confini per ascoltare coloro, per esempio, che sono credenti e non praticanti, coloro che magari hanno lasciato, che vivono ai margini della comunità. In fondo si tratta realmente che una comunità risponda alla domanda: chi sono io come comunità? E questo cammino, questa esperienza è una esperienza che fa crescere la comunità, perché pone delle domande di fondo: sono capaci di annunciare? che vangelo annuncio? come l’annuncio? con quale linguaggio? Quali sono i luoghi umani che io abito? I luoghi della marginalità, i luoghi del dolore, eccetera. L’altro punto importante è che avvenga una sorta di capovolgimento. In fondo è sempre una Chiesa che parla e gli altri devono ascoltare. Sarebbe il momento in cui diventi una Chiesa che si pone in ascolto. Questo è un appello forte alla corresponsabilità laicale, cioè che realmente i laici aprano la loro bocca e comincino a parlare.

Conduttore: Monsignor Sigalini, siamo davvero a questo punto, ossia, le diocesi, le parrocchie, i laici sono pronti a questo salto? E aggiungo un’altra domanda: secondo lei, oltre a questo vanno riformate anche le strutture, o le strutture possono aspettare?

Mons. Sigalini: Secondo me bisogna cominciare veramente dal basso, come diceva don Antonio, perché noi tutto sommato siamo sempre clericali, lo dico da vescovo, mi faccio tutte le mie colpe, come tutti ce le possiamo fare, perché tendenzialmente noi dobbiamo essere quelli che dirigono, quelli che fanno, quelli che impostano…. E tutto sommato abbiamo anche già un minimo di democrazia, perché ascoltiamo, sentiamo. Ciò non toglie che la preoccupazione della Chiesa debba essere soprattutto dei preti. E invece questo va assolutamente capovolto, perché abbiamo imparato anche dalle comunità che sono in Brasile, dove sono famose le comunità di base, che c’erano allora, abbiamo imparato che occorre mobilitare di più la responsabilità del cristiano, perché dalla sua conversione, dal suo modo di accogliere il vangelo noi veniamo nutriti e non soltanto dalla predicazione. C’è anche una vita che deve seguire. Quindi per questo noi siamo ancora un pochino in difficoltà. Perché per esempio adesso sta avvenendo che vengono messe assieme tante diocesi perché bisogna ridurre il numero dei vescovi, però assolutamente non ci sono prima dialoghi con le varie diocesi che vengono messe assieme. Dobbiamo parlare con queste persone. Vengono messe assieme tante parrocchie. Si parte dal fatto che non c’è il prete, ma non è appena quello il motivo, ma dal fatto che non è più così precisa la costruzione della comunità. Allora quindi, come possiamo essere più missionari? Qual è il nostro tipo di apporto che ci sentiamo di dare? Cos’è l’essenziale di quello che vogliamo fare apparire nella comunità? Siamo sempre assediati da una serie di contrapposizioni che non ti danno molta possibilità di dire “qui possiamo metterci seduti accanto, lavorare seriamente sui problemi umani profondi e metter dentro un’ispirazione del vangelo”. Ecco, questo mi parrebbe la sfida che abbiamo davanti.

Conduttore: Abbiamo 5 minuti, dividiamo il tempo sempre partendo da monsignor Sigalini per una domanda che vorrei girare a tutte e due: come si fa a inglobare, cercare di tirar dentro, sentire, ascoltare anche le persone che sono fuori dalla Chiesa ma che potrebbero dire la loro sulla nostra stessa esistenza di cristiani? Potrebbero darci uno sguardo anche esterno?

 

Mons. Sigalini: Posso dire di quella che è stata la mia passione della vita, il mondo giovanile. Lì bisogna uscire dai nostri ambiti, dai nostri spazi, bisogna andare nei bar, bisogna andare nei loro gruppi che vengono fatti in tutti gli angoli di un paesetto. Io vivo in un paesetto, ma lì i ragazzi a messa mica vengono. Allora, li stiamo sempre ad aspettare, cerchiamo di fare delle provocazioni per ritornare a come eravamo prima, oppure andiamo a sentire qual è che per loro è importante nella loro vita? Per esempio, l’amicizia che vivono, la solidarietà che sanno esprimere nei confronti di un amico che è ammalato, la possibilità che hanno trovato di mettersi assieme per raggiungere un obiettivo anche sportivo, un obiettivo di tipo sociale, di impegno, di lavoro. Insomma, dobbiamo assolutamente partire da questa loro vita. E quindi, se noi vogliamo, e non solo il prete ma anche tutto il giro di collaboratori che ha, dovremmo metterci veramente dentro questa realtà senza preclusioni, senza predisporre una camicia in cui far entrare tutti, per vedere proprio come riusciamo ancora a rendere vivo il vangelo. La domanda di senso che noi speriamo ci sia sempre mica sempre viene a galla. Perché vivo? Perché questo? Perché quello? E questo se un ragazzo non ce l’ha non viene alla messa delle 11.00 per sentirsi una risposta se non c’è neanche la domanda.

Don Antonio Mastantuono: Papa Francesco nel primo incontro con il clero romano parlò di audacia creativa o di creatività audace. Credo che molto dipenda realmente da questa nostra capacità di saper inventare, creare occasioni, momenti per poter far accadere questo incontro. Poi, perché il tutto non si riduca a un parlare di tutto perché poi alla fine non si parla di niente, come può accadere quando c’è un parlare senza aver precisato alcune domande o alcune tematiche … La Conferenza episcopale preparerà una sorta di vademecum per cui ci saranno dei temi, delle tematiche su cui realmente avviare questo ascolto reciproco. L’ultima cosa che mi sento realmente di dire è che non dobbiamo lasciarci prendere dalla fretta. di raggiungere immediatamente un obiettivo.

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