Domenico SIGALINI- presidente del COP

È finito forse il tempo in cui ogni passo della vita era visto come un continuo procedere verso lo stare meglio. Non è vero che a mano a mano che si va avanti si sviluppi una situazione migliore, si stia meglio, si possa dire di avere raggiunto la sicurezza. C’è sempre da lottare. Se ci sono i soldi, mancano i sentimenti e la famiglia si sfascia; se c’è buona vita familiare ci sono le disgrazie, se non ci sono le disgrazie, ti nasce la paura che ti capitino… Comunque, non c’è niente di definitivo di quello che hai costruito. Prima di decidersi per una strada ti assale il dubbio metodico che ce ne sia un’altra più bella, che magari ti viene anche sbandierata davanti dal colorito mondo virtuale. La tendenza è di stare in standby, in attesa di qualche fatalità e non nella speranza certa di realizzare un progetto personale.

Un altro deficit di speranza è la rassegnazione e la stanchezza. Le abbiamo tentate tutte e non ci riesce niente. Il mondo va male, i giovani seguono la loro strada, la gente ha perso i valori, conta solo quello che si vede o che si vuol far vedere, la politica è solo un insieme di interessi, la religione una serie di gesti tradizionali per gente che non ha niente da fare; la vita è dura e non ti regala niente nessuno; quando sei nelle difficoltà, spariscono tutti gli amici. La comunità cristiana è diventata fredda e rituale. Ripete sempre le stesse cose e pure si stanca di quel poco che riesce a fare. In parrocchia non circola più nessuno. Scatta la frase conclusiva: “Ai miei tempi”. Non si è più disposti a vedere un futuro migliore; ci si rifugia nella nostalgia del passato.

E per gli eventi di portata mondiale legati a calamità naturali (per ultimo, e non il solo, il flagello del Covid19), dinanzi alle quali anche gli stati più potenti sono come fuscelli alla deriva, il mondo occidentale è a un collasso di speranza. Si sta scavando la fossa con le sue stesse mani e la sua millantata autosufficienza. Ha imboccato una strada di individualismo e di disprezzo della natura, della convivenza pacifica, dell’attenzione al bene comune che crea solo disperazione, anche nei più alti livelli di autosufficienza tecnologica.

Alla ricerca di speranza

A tutto questo, e a molto altro che sta nel fondo del nostro cuore, nell’intimità delle nostre relazioni più care, nella profondità della nostra coscienza, noi vogliamo reagire, ci sentiamo chiamati da Dio a una speranza viva, a una attesa certa, a un colpo di reni che ci faccia riprendere coraggio e ci dia la vera dimensione della vita. Non andiamo però a cercare sollievi a buon mercato, non ci adattiamo a terapie consolatorie, ma vogliamo scandagliare la nostra fede e vedere in questo mondo meraviglioso di rapporto con Dio se esiste un progetto che noi non conosciamo o un evento che non abbiamo capito fino in fondo e che ci permetta di dare nuovo slancio alla nostra vita, sia personale che comunitaria che sociale.

Cristo è la nostra speranza

  • Gesù fa rinascere speranza a Nazareth quando si presenta in Sinagoga, gli fanno tutti posto, gli danno in mano i libri sacri e gli fanno pure fare la predica.

E Lui legge: lo Spirito del Signore è su di me, i poveri non devono più disperare, chi sta in galera ha l’amnistia, a chi si sente braccato dalle nefandezze che ha compiuto viene tolto ogni rimorso; chi non ci vede né capisce niente nella vita comincerà a vedere chiaro e non starà giorni interi con la depressione; chi si sente prigioniero di ricatti e non può più sopportare l’altro che vive con lui, troverà capacità di ribellarsi e forza di amare; chi non trova lavoro, se cerca ancora lo avrà;  il debole che nessuno difende, il bambino senza voce caduto nelle maglie del pedofilo, riuscirà a scappare; chi sente in cuore crescergli la malvagità, può sperare di cambiarla in bontà; chi trova gusto nel rubare, si sentirà male anche solo a toccare la roba degli altri …

Gesù chiude il libro e lo consegna e chiude la predica dicendo: “Oggi questa Scrittura diventa realtà, questo non è più un sogno, ma vita vera. Io sono qui a realizzarlo e a testimoniarlo e a trascinarvi in questa avventura. Ci state?”.

  • Sulla montagna quando annuncia le otto strade della felicità: le beatitudini. Il discorso della montagna dice che quando tu, uomo, ti apri a Dio, ti metti in contatto con Gesù, aderisci a Lui, ti butti nella sua amicizia, ti fidi di Lui, solo a questo punto scoprirai che hai quella marcia in più che ti permette di arrivare al massimo della tua vita. Ed in essa, se andremo al massimo della capacità di bene, non dovremo temere “multe per limiti di velocità” o di attentare alla vita altrui, anzi… ne avrà vantaggio chiunque ci incontra.
  • A Betania, quando scalfisce il regno della morte. Gesù sa che Lazzaro è morto Gli voleva proprio bene. Il resto l’abbiamo tutti nel ricordo e negli occhi: “Lazzaro vieni fuori”. Un cadavere, dall’odore intollerabile, si affaccia all’ingresso della tomba e si scioglie in un canto di vita. Avere un amico così è proprio la fine del mondo! E Gesù ti sa dire sempre, dovunque, anche nella morte più definitiva per te: “Vieni fuori, non ti lascio lì, la mia amicizia non terminerà mai. Ci puoi contare”. Per te comincia anche la trasgressione estrema: vince la morte. E questo è solo un pallido inizio della regina delle trasgressioni: la risurrezione.
  • Ma soprattutto nella sua morte e nella sua risurrezione. Dobbiamo sempre rifarci a quell’alba del primo giorno dopo il sabato di circa duemila anni fa. Se c’era un mondo di disperati colpiti fin nelle pieghe più intime della loro vita era proprio quello di quei dodici poveracci che avevano seguito Gesù e che si erano lasciati incantare da Lui. In quei momenti, le loro storie stavano orientandosi tutte verso la stessa disperazione: disorientamento, incertezza, stanchezza, smarrimento e disperazione. Le stesse parole che stiamo usando per descrivere la nostra vita di oggi delineavano la loro situazione. Ma a quella morte è capitato qualcosa di inedito. C’è Lui, Gesù, il crocifisso, risorto. Lui con la bellezza del suo volto. Visto così, dopo quegli spasimi, è ancora più bello. Non è un fantasma, non è una presenza da X-file, non è una apparizione evanescente. È Lui. Non solo, ma qualcosa di più, Lui in una vita piena, definitiva, nuova, il punto più alto cui la nostra umanità è stata chiamata. Non è un morto ritornato in vita, che ha spostato la data della morte; su di Lui la morte non può più niente, è sconfitta. È una nuova creazione, la nuova umanità della categoria: d’ora in poi definitiva, insuperabile, senza concorrenza: la categoria del Risorto a vita piena.

Testimone è chi sa sperare

La comunità cristiana non si dedica a ricerche filosofiche, ma riscopre che la storia ha una direzione, che non siamo buttati a caso in questo mondo, che l’uomo ha un futuro certo e non vive di oroscopi. Ha una meta davanti, una salvezza acquistata a caro prezzo da Gesù e offerta per bontà e tenerezza a tutti, non per merito. I cristiani sono chiamati a stanare questo patrimonio indispensabile alla vita del mondo e si devono caricare di una testimonianza capillare. Non è un discorso di élite quello della speranza, ma di popolo. Il soggetto è il popolo credente, l’uomo della vita quotidiana, la signora della porta accanto, il giovane con il suo zaino da scuola o la sua sacca da sportivo. La speranza va spacciata nei meandri della vita, non è roba da tenere nelle biblioteche, posto che nei libri ci sia. E se la speranza della Chiesa è quella della presenza del suo Signore risorto, sarà possibile dare alla speranza luoghi concreti di espressione: l’affettività che deve andare oltre la precarietà per scoprire la ricchezza della sua sorgente; il lavoro che deve tornare ad essere dignità e solidarietà; la cura delle fragilità come spazio della solidarietà; il patrimonio di significati e di valori che si deve offrire alle giovani generazioni per trovare le radici; la cittadinanza come luogo di esercizio concreto di diritti e di doveri, di convivenza con tutti e di mondo pacifico.

L’annuncio di Gesù risorto non sarà una formula, una verità da consumare con qualche tesi teologica. Dentro questa nostra società in cui sperimentiamo disorientamento, incertezza, stanchezza, smarrimento e disperazione, siamo capaci di portare quella serena fiducia che toglie noi e ogni nostro fratello da questa situazione. Con semplicità dobbiamo offrire quell’orientamento globale alla vita che sperimentiamo nel dialogo fiducioso quotidiano con Dio: la certezza necessaria guadagnata smontando le false sicurezze e orientando la ricerca nella direzione del Signore Gesù. Con l’aiuto di Dio facciamo sperimentare che c’è una forza, un riposo contro la stanchezza, che il nostro smarrimento si risolve, anche faticosamente, in ritrovata prospettiva di vita personale, familiare e pubblica, che la disperazione è vinta dall’affidamento nelle braccia del Padre, fatto di preghiera, di ascolto, di partecipazione alla grazia di Dio, che ci viene sempre offerta nell’eucaristia, celebrata in una comunità, anche povera, ma viva e consapevole di incontrarvi il Signore, il Crocifisso risorto.