Gaetano Bonicelli, Presidente emerito del COP

La Chiesa deve fare anche politica, dice papa Francesco, non certo in ordine agli strumenti operativi che spettano alle responsabilità umane, ma nel richiamo dei valori che danno poi senso alla vita. La buona politica, dice il messaggio di Capodanno, è al servizio della pace. Sembra facile tener distinti i livelli chiamati in causa, ma tutti capiscono che non lo è affatto. Per questo la nostra rivista, che si rifà nettamente alla ispirazione cristiana – ma non è un organo del magistero – si trova in difficoltà ad esprimere giudizi e tanto meno direttive.

Ma ciò detto e ribadito, se vuol essere pastorale, cioè diretta alla vita concreta dei fedeli, deve avere il coraggio di entrare, o almeno affacciarsi al vivo della dimensione socio-politica come motivo di chiarezza e di stimolo per quanti, nei diversi modi con cui si esprimono nella vita sociale, vogliono restare fedeli all’ideale evangelico. C’è un salto dall’esperienza del passato. I cristiani devono abbordare i grandi motivi della vita, non tanto collegati in un partito confessionale, ma nella libertà e responsabilità di scelte personali. Diceva Paolo VI: occorre purità, lindezza, candore, ordine morale perché avvenga l’incontro con Dio. Ciò è essenziale. Anzitutto, dunque, questa rettifica del nostro essere. Passando poi dal negativo al positivo, sempre Dio si concederà a noi, purché di Dio nutriamo vivo desiderio.

A queste situazioni dovrebbero andare incontro i sussidi REI (reddito inclusivo).

Bisognerebbe anzitutto essere convinti della gravità della situazione. In questi giorni ho dovuto spostarmi a Milano. Bene. Quindici minuti di autostrada per arrivare alle porte della città e poi 80 minuti di tempo per raggiungere il duomo. Un universo di vetture che praticamente bloccavano, nonostante i pedaggi supplementari, le strade del centro. Siamo a Milano, ma non si parla di crisi per tutti?

Secondo la Civiltà Cattolica nel nostro Paese il prezzo sociale ed economico delle disuguaglianze è molto alto. Al crescere delle disuguaglianze corrisponde l’aumento dei disagi sociali (bullismo, omicidi, detenzioni ecc.), i problemi di salute (uso di droghe, mortalità infantile, obesità) e i disagi mentali. Contemporaneamente diminuiscono benessere, fiducia tra i cittadini, capitale umano e speranze di vita.

Avvenire non teme di andare controcorrente quando esprime e documenta tante situazioni deficitarie in settori tutt’altro che marginali nella vita sociale del Paese. Possibile che governo e parlamento o strutture istituzionali non abbiano la forza o le idee per concordare responsabilmente una visione d’insieme con i pro e i contro della situazione? Ad esempio, durante il lungo tiramolla con l’Europa, dove è stato detto papale papale quello che poteva essere il peso economico di un intervento negativo di Bruxelles sulla vita italiana? E se questo rischio è stato in qualche modo evitato, quali sono i vantaggi concreti che gli italiani possono attendersi, e la famiglia senza aggettivi dispersivi, che posto ha nei piani – se ci sono – dei nostri responsabili?

Un punto cruciale è stato, ed è, il problema migratorio. Tutto bene quel che l’Italia ha fatto, ma perché non se ne parla delle sue conseguenze che non possono essere solo negative, se si pensa alla crisi disastrosa della situazione demografica? Fare politica vuol dire anche indicare situazioni che a medio termine possono diventare fatali. Il «duello» governo-INPS non può essere taciuto solo per mancanza di prospettive che riguardano già ora tutti i dipendenti e che a breve periodo può rendere impossibile la gestione.

Sempre a proposito di migranti potremmo dire che dalla fine dell’Ottocento agli anni Novanta del Novecento si è fatta una esperienza unica. Proprio non ha nulla da suggerire ai nostri giorni? Interi Paesi nel mondo sono cresciuti grazie agli immigrati. E non sono bazzecole se si pensa agli Stati Uniti, al Brasile, all’Argentina e ai Paesi latinoamericani. Non mancano oggi possibilità conoscitive di tutta questa problematica, e potremmo citare l’opera meritoria della fondazione Migrantes e della Caritas che fanno testo ogni anno in Italia e nel mondo.

Di fronte a questo andare incerto, e talora preoccupante e pericoloso, mi sembra doveroso da un lato segnalare cristiani e cristiane di grande spessore che operano un po’ in tutti i settori. Qualcuno si chiede: perché non solidarizziamo di più fino a lasciare intendere che è finito lo spazio operativo per i credenti e i cristiani? Qui mi pare si debba tenere conto, ad esempio, di quanto la nostra rivista, nel suo piccolo, da sempre sostiene. Mi rifaccio in particolare al numero 10 di quest’anno: Il cammino della Chiesa italiana alla luce della esortazione pontificia Evangelii gaudium. Tutto da leggere e diffondere. In particolare, mi riferisco al saggio di Simona Segoloni Ruta, docente di teologia ad Assisi. Mi pare che tocchi uno dei punti chiave per stimolare i laici – tutti i laici – a prendere le loro responsabilità. Non si invoca un «partito cristiano», ma un impegno diffuso sui punti essenziali della vita sociale: badare di più al vicino e tener conto dell’equilibrio del mondo creato. Papa Francesco lo diceva chiaramente: «La sua redenzione ha un significato sociale perché Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini. Confessare che lo Spirito Santo agisce in tutti implica riconoscere che egli cerca di penetrare in ogni situazione umana e in tutti i vincoli sociali».

 

(tratto da Orientamenti Pastorali n. 1-2/2019, EDB, tutti i diritti riservati)