[Versione aggiornata e definitiva]

Una consultazione così vasta e così ben letta e meditata, un sinodo mai l’aveva avuta, anche se la sinodalità lentamente sta abitando le nostre comunità cristiane. Per noi e per tutte le comunità cristiane si tratta di entrare non solo da curiosi, non solo da appassionati, ma anche da corresponsabili,  ciascuno nei propri spazi di vita ecclesiale e sociale, della ricchezza di un sinodo del tutto nuovo e con non poche aspettative. Da adulti che non si vogliono sentire coi giovani come contemporanei di età diversa, abbiamo guardato dentro questa grande operazione di ascolto e discernimento con l’intento, forse troppo esigente, di aiutare tutti a partecipare ai lavori del Sinodo e soprattutto di continuare nelle nostre comunità parrocchiali, associative, interparrocchiali e diocesane a vivere questo nuovo stile di vita ecclesiale che i giovani con insistenza propongono.

 

L’agenda dei lavori (l’instrumentum laboris)

L’instrumentum laboris del sinodo è una vera agenda e piano dei lavori per i padri sinodali e riferimento aggiornato e quadro realistico della condizione giovanile per tutti coloro che si interessano del mondo giovanile. Direi quasi che, salvate alcune considerazioni di situazioni giovanili non italiane, può essere un buon strumento per progettualità nel nostro territorio, se ben studiato, approfondito e calato nelle nostre situazioni italiane; ancor di più lo sarà alla fine del sinodo con la presa di posizione dei padri sinodali e in seguito con l’intervento magisteriale di papa Francesco. Ha dato inizio a un confronto, dialogo e presa in carico della questione giovanile, stile di lavoro che non potrà  restare isolato e legato solo al Sinodo, ma che dovrà continuare. Una prima grande risposta di metodo, ma anche di sostanza, è che la chiesa deve accompagnarsi con i giovani nel loro cammino, come Gesù con i discepoli di Emmaus, come “una madre premurosa e un padre esigente “ (p. Rossano Sala). Interessante la pagina che elenca in sigla tutte le fonti da cui si sono estratti, anche alla lettera, i contributi dei giovani, della riunione presinodale, delle risposte on line e il contributo, talora faticoso del dialogo coi giovani, di tante Conferenze Episcopali (CE). E’ un modo interessante di partecipare alla vita della chiesa che non potrà non essere ripreso come stile per dare voce a tutte le componenti della comunità ecclesiale e in esse ai giovani, che sono parte generativa della chiesa.

Vengono messe in luce anche alcune grandi condizioni per vivere la missione ecclesiale oggi con i giovani, l’approccio alla corporeità, affettività e sessualità, la faticosa ricerca della verità in un mondo di fake news e di post-verità, gli effetti profondi sull’umanità del mondo digitale, la delusione che i giovani hanno verso le istituzioni, la nostalgia che hanno di un oltre, di una apertura al trascendente, tutta da accompagnare e sostenere. Per facilitare la partecipazione diretta ai lavori del Sinodo il COP esprime una piattaforma web per “laboratori di ascolto digitale” e di confronto sulle condizioni di esercizio sopra descritte.

Altro grande capitolo è il discorso vocazionale, assolutamente centrale e bisognoso di una bonifica di significato. Ridare centralità alla vocazione non è una opzione da wwf contro la estinzione della specie di preti frati e suore, ma la ricerca assolutamente necessaria dentro questi doni delle strade di felicità di ogni cristiano, di ogni persona. E’ finito il tempo della dittatura della autorealizzazione, per accedere alla ricerca di qualcosa che è donato all’uomo e alla donna e, con questi doni che ci precedono, costruire vite generose, felici e vere. Senza vocazione non c’è identità e unità della persona e quindi una umanità felice

Allora si potrà passare ad approfondire e progettare le iniziative pastorali concrete, progettate in maniera molto aperta, per cammini che devono sempre tener conto della vita quotidiana, dei successi e delle fragilità che in essa sempre si esprimono. Il soggetto sempre sarà l’intera comunità cristiana e non operazioni di nicchia isolate e alla fine asfittiche. I giovani esigono relazioni autentiche, conversione istituzionale  e attenzione esplicita e determinante alle fragilità e ai più poveri.

 

Che mondo giovanile possiamo fotografare oggi?

Le tante inchieste ben fatte e appassionate di questi anni, da istituti ben organizzati e sagaci, da letture evidentemente molto angolate, da fotografie di generazioni sufficientemente identificabili, oggi siamo a inchieste disincantate che dal punto di vista religioso; fotografano un mondo giovanile  in fuga dalla religione praticata e anche pensata. Il numero di atei sale al 20 %, non c’è differenza tra maschio e femmina riguardo alla religione, nella maggioranza rimane un bel ricordo dell’infanzia passata anche in ambienti religiosi, ma la percezione che nella vita adulta la fede non ha più importanza è generalizzata. Il termine spiritualità nel mondo giovanile è troppo generico, molto raramente ci si rifà a un mondo soprannaturale. Stanno imparando a vivere senza Dio.

Soprattutto però ci sembra utile vedere che mondo adulto ha davanti il giovane medio. Siamo di fronte a una eclissi del cristianesimo domestico; rarissimi, se non nulli, i momenti di preghiera con mamma e papà. Siamo di fronte ad adulti che non sanno  smettere di giocare al giovanilismo e non sanno prendersi cura. Tante mamme e papà hanno davanti a sé, in casa, a scuola, nel proprio lavoro, nel tempo libero l’adolescente nella sua vivacità e spensieratezza,  e nutrono il desiderio di imitarlo per restare sempre giovani. La parola vecchio non esiste più, tutti solo contemporanei di età diversa. Non c’è spazio per essere adulti, per dimenticarsi di sé e prendersi ogni cura per le giovani generazioni. Il giovane non ha davanti un adulto che mostra la gioia di essere un cristiano con una fede, come fatto serio della vita. Essa sarà sempre da domandare a Dio, da purificare, ma senza di essa il giovane non potrà fare passi avanti nella crescita di fede.

Che fare? prendere atto che in famiglia si deve ripartire a credere, offrire ai giovani un volto di credente adulto, un cristiano che non sia solo uditore ed esecutore, ma impegnato creativamente ad aprire prospettive, una chiesa che assume una seria e capillare dimensione educativa, una chiesa bella felice, gioiosa.  (Armando Matteo)

 

La parrocchia entra in campo

Un tratto importante del nostro interesse per i giovani come COP è sempre una rivalutazione e approfondimento della parrocchia come insostituibile per educare alla fede le giovani generazioni e per leggerne le attese, tentare proposte, creare ambienti, approfondire relazioni.

Infatti tenendo proprio conto che fa parte del cammino di crescita di ogni persona e quindi anche dei giovani d’oggi la ricerca di legami positivi, il riconoscimento e il desiderio di appartenenza a qualche spazio di vita, il bisogno di essere valorizzati, di imparare, di poter arrivare a un minimo di compimento occorre convincersi che la parrocchia, la comunità cristiana può svolgere un ruolo rilevante nella vita dei giovani, nella costruzione di sé, nel sostenere un percorso esistenziale di fede

La parrocchia è sempre a bassa soglia di ingresso, demolisce ogni muro, ha anche gli scivoli per ogni handicap, fa posto a tutti senza chiedere tessere di buon comportamento o di  appartenenza a qualche club privilegiato. Vive la quotidianità in termini per forza costanti, non ha mai nemmeno pensato a un cartello tipo: chiusa per ferie, è presente all’ordinarietà della vita di ogni giovane, è impiantata proprio per definizione ed esperienza secolare tra le case della gente, in un definito  territorio, tiene contatti non estemporanei con i malati e gli anziani non autosufficienti, sa parlare il linguaggio di tutti, permette l’incontro faccia a faccia tra le persone, sa scatenare semplici e generose solidarietà della porta accanto, si cura di chi è agli arresti domiciliari e può aiutarli a ridare dignità alla loro vita…svolgere ancora un ruolo rilevante nella vita dei giovani per la costruzione di se, per il loro percorso esistenziale, per la loro fede in Dio.

Certo qualche volta è un po’ troppo ingessata, non riesce a smuovere l’indifferenza religiosa, fa fatica a suscitare fiducia, deve fare i conti ancora, non smettendo di educare, con un gruppo di persone vecchie, non certo solo per l’età, ma dentro, a cui non interessano i giovani, ma ha un potenziale di vita di comunione sempre più invidiabile. In questo tempo quasi in tutte le diocesi si formano unità pastorali o semplicemente collaborazioni progettate e reali, convergenze di tante parrocchie che hanno le stesse caratteristiche territoriali  per una collaborazione indispensabile e un bel esempio di comunione tra i preti. E’ il momento ancora più propizio perché l’istituzione parrocchiale diventi più missionaria e può appunto camminare con i giovani quali che essi siano, atei o miscredenti, generosi e anche menefreghisti. Si riescono a mettere assieme oratori di diverse parrocchie, settimane estive, esercizi spirituali, convivenze di gruppi di giovani per periodi ben definiti e senza staccarsi dalla propria vita quotidiana di studio, di lavoro.

Molte realtà si aprono col mondo giovanile all’Europa e a paesi di  missione con campiscuola, missioni di lavoro, esperienze di condivisione. Insomma la parrocchia sta esprimendo una vitalità che sembrava persa, ma che proprio per i giovani sta ridando senso allo stare assieme, a percorsi educativi, a condivisione di obiettivi e sbocchi vocazionali. Sempre indimenticabili e da tenere in grande considerazione le associazioni, i gruppi carismatici, i movimenti legati a ideali concreti: pace, cura del creato, attenzione allo sport per persone in difficoltà motoria o  di concentrazione.

Certo occorre superare qualche ingessatura di troppo, qualche esagerata istituzionalità, alcune passività nella liturgia e saper rischiare non le cose che sempre abbiamo fatto, ma le iniziative di dialogo, di collaborazione, di attività comuni con il vasto aggregarsi di giovani dallo sport, al tempo libero, alle iniziative di carità.(PierPaolo Triani)

 

L’educazione alla fede si rinnova

Il centro assolutamente da continuare a proporre e sicuramente da vedere con occhi nuovi e rinnovare nelle parrocchie è l’impianto di educazione alla fede, detto in termini più comprensibili, anche se evocativo di difficoltà che i giovani denunciano, è la catechesi. Il superamento di una vecchia visione scolastica degli incontri di educazione alla fede, di una sempre più ossessiva partecipazione obbligata legata alla celebrazione dei sacramenti, di una certa selettività quasi settaria (meglio pochi, ma buoni), di una esagerata scolarizzazione non tanto nei metodi, ma soprattutto nella mentalità è assolutamente necessaria se vogliamo avere ancora come interlocutori vivaci e felici i preadolescenti, gli adolescenti, i giovani. Si diceva con una immagine plastica e poetica: guardare le uova degli uccelli e vederli già in volo. C’è una vita che scoppia, che non dipende da noi, il cui autore è Dio e noi siamo lì con loro, i giovani, a sognare e a rendere veri i sogni. La realtà è sempre più grande di quanto pensiamo, ha sempre risvolti non riducibili a interrogazioni o programmi, mostra un mistero indefinibile. Dio sta facendo con questo ragazzo, con questo giovane un cammino di crescita e noi, i catechisti, gli animatori ci mettiamo al servizio di questi moti dello Spirito Santo in punta di piedi; dice papa Francesco di levarci le scarpe nel calpestare il luogo santo che è l’altro. Posso entrare nella tua vita? devo mendicare l’apertura e il coraggio di accogliere che è un po’ diverso dal presupporre iscrizioni e tempi definiti, ma intuizione del cairos, del tempo opportuno che decide Dio.

Certo la meta è sempre l’appropriazione personale della fede, l’incontro con Gesù Cristo, che deve riuscire ad essere vissuto pienamente e con felicità nella liturgia, la carità verso il prossimo e l’impegno a cambiare il mondo. Flessibilità, moduli con tempi ben definiti e non soprattutto prolungati come un anno scolastico.

In un mondo in cui la linearità è continuamente sconvolta da situazioni sia personali, che familiari e sociali occorre procedere a zig zag, cercare tutte le porte possibili di accesso, perché una sola dura poco, si chiude facilmente.

Sicuramente, e qui la richiesta esplicita è proprio dei giovani, occorre avere catechisti preparati a camminare con, non a fare lezioni. La preoccupazione della preparazione di questi educatori deve essere una priorità. Nel decennio di lavoro della chiesa italiana sull’educare, non si è ancora visto un deciso impiego di energie per creare una generazione nuova di catechisti e di animatori.

Un altro capitolo è il coinvolgimento della famiglia in questo cammino a zig zag. I genitori non possono essere chiamati e mollati a seconda dei bisogni della programmazione, ma devono essere corresponsabili del cammino e anch’essi accompagnatori delicati e convinti. Buone esperienze ci sono e vanno continuate, monitorate e aiutate a uscire da quella insopportabile obbligatorietà che non solo nei ragazzi e adolescenti ottiene la famosa frase: è stato bello essere insieme, meno male che è finita, ma che produce anche nei genitori lo stesso effetto: dopo aver fatto una full immersion nella preparazione alla cresima e comunione di figli, non vanno più nemmeno a messa. (Roselli)

 

Le domande religiose dei giovani vanno accolte e sviluppate

Andando oltre la necessità di definire bene spiritualità, religiosità, ricerca di Dio, bisogno di fede  è assolutamente da monitorare, leggere, intuire, fotografare e accompagnare nel rischioso mestiere di vivere dei giovani la sete di Dio, il bisogno di oltre, la insoddisfazione del presente, la apertura a dimensioni della vita che noi per evitare tranelli concettuali chiamiamo religiosità. Nessuno si adatta a ad abbassare il livello della proposta di fede nel Dio di Gesù Cristo, ma la comunità cristiana deve essere molto più capace di coglierne il bisogno spesso innato o tante volte provocato in ogni persona, giovani ancora di più.

Si affacciano sempre molti interrogativi nella vita dei giovani che sono molto facili da affogare con le nostre elucubrazioni e soprattutto con l’assenza di accompagnamento. Certo noi desideriamo aprire con i giovani un percorso di ricerca che il contesto culturale non favorisce più.

Però possiamo farci carico delle inquietudini e solitudini di fronte alla vita, della paura di confrontarsi, del disorientamento, della destabilizzazione e delle disillusioni. Tutti abbiamo sperimentato incontri con giovani che si sono ravvicinati alla chiesa, alla liturgia, sono passati da una vita sregolata a una vita progettuale. Qui non ci sono  molti dubbi sul senso di queste esigenze, occorre però che la comunità cristiana sia in grado di accogliere e riorientate queste vite.

Di fronte alla vita i giovani sono come quando guardiamo la TV con il telecomando in mano: l’aumento delle possibilità non vuol dire aumento della libertà, ma spesso aumento della confusione. La ricerca della libertà senza la verità provoca una tristezza di fondo, la famosa noia.

Si possono mettere in atto percorsi formativi che aiutano a vivere la libertà nella verità? La chiave di ingresso è affettiva. E’ fatta di

Esperienze vive, affascinanti, Coinvolgimento in attività caritative, nel prendere sul serio una prospettiva di impegno. Il contatto con testimoni autentici

Anche qui la necessità ancora di persone che accompagnano; i laici sono sfidati a fare i padri spirituali, i cercatori di domande di fede, coloro che intuiscono solitudini di ogni tipo, amicale, culturale, interiore, di affetti, di perdita di speranza nel futuro. Di nuovo si chiede una nuova generazione di educatori, perché la domanda religiosa non porta spontaneamente a Gesù, perché Gesù non è un prodotto della mente, ma una persona storica, con un volto e una passione concreta. La chiesa deve aspettare e non stare ferma, ma uscire. Questo esige cambiamenti profondi.(Bignardi)

Parlare di giovani è prendere consapevolezza che la pastorale giovanile non può non farsi attenta anche alla Rete e ai suoi suoi servizi. “In uno stato onlife, in cui il limite tra online e offline è sempre più labile, si fa evidente la necessità di dare forma ad una pastorale che attivi processi di “umanizzazione” nel continente digitale. La pastorale digitale, quindi , non è una pastorale altra, ma una declinazione della presenza e dell’impegno ecclesiale nel suo complesso. In questo quadro di riferimento s’inserisce la piattaforma web #Giovani&Chiesa, proposta del COP accessibile dal sito www.centroorientamentopastorale.it, attiva sin dai primi giorni di ottobre. Ispirata dall’IL (in particolare dalla richiesta educativa degli stessi giovani, al n. 160), con i suoi ‘ambiti’, intende proporre laboratori di ‘ascolto digitale’ per parrocchie, scuole e seminari, a partire dall’evento e oltre l’evento; essa si arricchisce anche di un ambito di discussione tra esperti circa le ‘condizioni di esercizio’” (Ammendolia).

 

La vocazione al centro della vita di ogni cristiano e il discernimento la prima obbligatoria risposta.

La chiesa è il segno della convocazione dell’insieme della umanità e per questo è strutturale nella chiesa l’essere essa stessa con-vocata, cioè caratterizzata da una chiamata come tale e definita come accolta di chiamati. La dimensione vocazionale deve alimentare e orientare tutta l’azione pastorale soprattutto se si tratta di giovani, a partire dalla stessa parrocchia. Detto a mio modo: occorre porre alla base di ogni proposta o prassi pastorale che essere cristiani non è mai essere generici o clonati, non è mai una risulta di tradizioni anche belle, nemmeno è una scelta che mi faccio perché sono convinto, mi trovo bene, ho faticato, e, di conseguenza, ci sono riuscito a tornare nella chiesa, ma è sempre una risposta a una chiamata personale. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto, chiamato voi. La vocazione, e quindi tutto l’impianto che fa capire, propone, chiarisce la vocazione, il dinamismo vocazionale non è accessorio o attività di qualcuno, meno ancora il compito di un ufficio di curia, ma l’anima della vita ecclesiale, parrocchiale, di associazione o di movimento. Il dinamismo vocazionale nemmeno deve essere in questo modo annacquato in un generico vocazionismo, ma esplicitato come esigenza di servizio all’amore. Insomma c’è una unicità della persona  e una unicità del rapporto tra Gesù e ciascuna persona. Tutto questo si deve riscoprire nei vari aspetti della vita della chiesa a partire seriamente dalla liturgia, dove si ascolta Dio che parla, dove si accoglie il dono del Corpo di Gesù, dove nel rito ci si vive una prossimità con Dio e con gli altri, dove non si nutre una devozione intimistica, ma si condivide vita e preghiera, dono e perdono.

Ecco allora la grande necessità del discernimento vocazionale, che non è un intervento isolato o asettico di consulenza sul futuro di ciascuno, ma un accompagnamento tra adulto e giovane, tra persona e persona nella ricerca della voce di Gesù che ama ogni singolo giovane e lui stesso aiuta a decifrare la sua chiamata sia in chi è giovane sia nella vita dell’accompagnatore. Accompagnatore e accompagnato vengono accomunati da questa grazia dello Spirito Santo, perché i bisogni di chiarezza interiore del giovane, di compagnia, di sostegno, di confidenza, di aiuto diventano una chiamata esplicita netta nella stessa esistenza e vita cristiana dell’accompagnatore. Chi non è stato chiamato a cambiare vita, a dare una sterzata alla sua missione dalle situazioni talora disperate di un giovane che un giorno si è trovato nella confusione e ha avuto da Dio il coraggio e la grazia di aprirsi a un educatore, a un prete, a un vescovo che è stato quasi “obbligato” a dedicare il suo tempo e a dare una svolta nella sua missione proprio a partire da questo dialogo, da questa richiesta di compagnia? Certo occorre che gli educatori, preti o laici che siano, decidano di uscire, di camminare con, di affiancarsi nei luoghi più impensati della noia, della tristezza, della sete di Dio che popolano tante giovani vite. I giovani sono creta benedetta da Dio che guarda alla stravolgente asimmetricità del loro vivere che rende vere le loro storie. I giovani di oggi vivono inquietudine, fragilità e incertezze come fasi necessarie quasi per maturare. San Francesco, figlio ingrato del benessere, ha scelto la radicalità del dono e dell’abbandono. Viveva nel benessere, ma gli mancava la gioia. Questa era già deposta da Dio nel forziere del suo spirito, nell’eco della chiamata di Dio.(Battaglia) La vita gliela ha resa evidente la vita e l’ha suggellata lo Spirito tramite il Crocifisso di san Damiano e la paterna accoglienza a pieno titolo nella chiesa del vescovo Guido nell’atto pubblico, decisivo, definitivo, quasi una consacrazione, della spogliazione.