Giovani e comunità cristiana: dalla fuga alla demolizione di muri e costruzione di ponti

«La buona notizia è questa: ogni generazione viene al mondo

con i fondamentali che deve avere;

sono idealisti come noi, goffi come noi, teneri come noi,

stupidi come noi che volevamo cambiare il mondo ogni momento.

La cattiva notizia è questa: trovano noi.

E noi siamo un po’ cambiati»

(Pierangelo Sequeri).

 

I giovani da noi non si aspettano più nulla

– La necessità di una lettura che tenga conto dei rapporti intergenerazionali

– La crisi degli adulti

– EG. 70: rottura nella trasmissione generazionale della fede

 

  1. La grande fuga

– salto generazionale

– riduzione sostanziale della differenza di genere

– fede come “rumore di fondo”

– ricerca spesso anarchica di spiritualità

– la centralità della testimonianza adulta

– analfabetismo biblico

– semicredenza per alcuni dogmi

– allergia ad ogni morale che si basi sul precetto e sull’interdizione

– scandalo verso forme di ricchezza e di potere nella Chiesa

– ricordo di una scarsa presenza di “allegria” nella comunità cristiana

– si salva quasi solo papa Francesco

– difficoltà a cogliere la differenza qualitativa del Vangelo

– non sono la “prima” generazione incredula

 

  1. Quale domanda ci pone questo mondo giovanile?

Documento preparatorio del Sinodo 2018: la maggioranza dei giovani sta imparando a vivere “senza” il Dio presentato dal Vangelo e “senza” la Chiesa.

Oggi dobbiamo riconoscere una grande crisi di fede del mondo adulto. Pertanto i giovani di cui i sociologi evidenziano “l’estraneità” alla fede sono in verità figli di genitori, di adulti, che non hanno dato più spazio alla cura della propria fede cristiana.

– Gli occhi dei genitori e degli adulti significativi sono la prima cattedra di teologia: il “primo annuncio”.

Divergenza netta tra le istruzioni per vivere e quelle per credere. Per la loro felicità, agli adulti basta la giovinezza.

– La teoria del catechismo non trova riscontro nella pratica della famiglia e degli adulti significativi con cui si viene a contato, crescendo. La fede diventa così una cosa da bambini e finché si è bambini.

Terminata la vita in parrocchia, in oratorio, i giovani non sanno più rispondere a una semplice domanda: che cosa ha a che fare la fede con la vita adulta? E questo perché i loro adulti di riferimento non riescono più a mostrare questo legame tra adultità e fede.

È la scomparsa dall’orizzonte della coscienza adulta della bontà della relazione credente a creare un vuoto di testimonianza ovvero la testimonianza di un vuoto che interrompe la trasmissione della fede: in che modo una coscienza adulta si relaziona con il mondo alla luce della notizia della fede?

 

  1. Grandi atei crescono? Piccolo affondo socio-culturale

 Mutazione profonda della generazione nata tra il 1946 e il 1964

«La specificità di questa generazione è che i suoi membri, pur divenuti adulti o già anziani, padri o madri, conservano in se stessi, incorporato, il significante giovane. Giovani come sono stati loro, nessuno potrà più esserlo – questo pensano. E ciò li induce a non cedere nulla al tempo, al corpo che invecchia, a chi è arrivato dopo ed è lui, ora, il giovane» (F. Stoppa).

Viene meno la vocazione all’adultità, che è quella di “dimenticarsi di sé per prendersi cura degli altri”. Questo è il senso dell’essere adulto. Ed è in fondo il senso di ogni vocazione umana. La vocazione all’adultità è infatti il grado zero di ogni discernimento vocazionale, di ogni vocazione. Tutti siamo chiamati a diventare “smemorati di noi stessi”, altrimenti non si dà vita adulta, vita responsabile, vita generativa.

Il mito del giovanilismo, che ha rapito il cuore degli adulti, ridefinisce il loro rapporto

– con l’esperienza della vecchiaia

– con l’esperienza della malattia

– con l’esperienza della morte

– con l’esperienza dell’educazione.

Si tratta cioè di tutti quegli snodi vitali, su cui si costruisce il possibile incontro tra le generazioni e la trasmissione di un sapere dell’umano, toccato e fecondato dalla parola del Vangelo.

Noi adulti crediamo solo al Dio della giovinezza e questo solo riusciamo a testimoniare ai nostri ragazzi, che sempre più si interrogano su che cosa significhi diventare adulti, ed eventualmente adulti credenti; che sempre più sono alla prese con la realtà di essere giovani, ovvero alle prese con quel reale elementare che li contraddistingue: una condizione di totipotenzialità chiamata ad attraversare un processo di decisione dolorosa e inevitabile.

 

  1. Demolire muri, costruire ponti

 – Serve una Chiesa che sappia obbedire al magistero del reale

La prima provocazione-sollecitazione è quella di rompere con quel tratto che viene sempre rinfacciato ai credenti di non saper fare i conti con quello che è dato loro di vivere, arrivando al paradosso di continuare a ripetere esperienze infelici, pur consapevoli del loro carattere altamente fallimentare.

Bisogna invertire la rotta. E imparare ad accettare che nelle famiglie non si preghi più, che nelle famiglie non si legga più il Vangelo, che nelle famiglie non si parli più degli aspetti drammatici dell’esistenza umana, sui quali poi si può sviluppare un discorso fecondato dalla prospettiva cristiana.

Accettare che la maggior parte degli adulti neppure lontanamente assomigli all’ideale proposto dal Documento preparatorio per il Sinodo sui giovani: «Il ruolo di adulti degni di fede, con cui entrare in positiva alleanza, è fondamentale in ogni percorso di maturazione umana e di discernimento vocazionale. Servono credenti autorevoli, con una chiara identità umana, una solida appartenenza ecclesiale, una visibile qualità spirituale, una vigorosa passione educativa e una profonda capacità di discernimento».

Accettare che l’opzione della fede è oggi minoritaria ed è “da sfigati”; accettare che oggi vivere la fede è più costoso.

 – Serve una Chiesa che sappia immaginare un nuovo modello di credente

Proprio in relazione a quest’ultimo punto, non è più possibile riferirsi a modelli di credente tanto utili nel passato anche recente:

  • Credente come colui che fa ciò che il parroco dice
  • Credente come buon cittadino e buon genitore
  • Credente come colui che accetta ciò che la Chiesa proclama come dottrina
  • Credente è chi firma l’8 per mille e vota secondo le indicazioni dei Vescovi

 È necessario riscrivere un modello del credente per oggi: qual è il “prodotto finale” del cammino dell’iniziazione cristiana?

Lumen fidei, 18: il credente come colui che non solo guarda a Gesù, ma che guarda il mondo con gli occhi di Gesù

Quanta Scrittura c’è nei nostri itinerari di iniziazione cristiana, quanta mistagogia c’è in essi, quanta “scuola di preghiera” c’è in essi, quanta familiarità con lo sguardo di Gesù essi favoriscono?

 – Serve una Chiesa che più decisamente assuma la dimensione educativa

In una Chiesa sempre più ospedale da campo, la vera “urgenza sangue” oggi è che i giovani trovino adulti “adulti” e che gli adulti ritornino ad imparare il mestiere dell’adulto.

– Serve una Chiesa che sappia “festeggiare”

«La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (EG 24).

 

I articolo sul SIR

II articolo sul SIR