«I confini: il luogo più bello di una diocesi», titolo della relazione, è frase di Giovanni Paolo II pronunciata il 3 dicembre 1989.

Il territorio è importante sotto il profilo antropologico e non può scomparire da una definizione di parrocchia: ogni parrocchia ha i suoi “confini”, da non intendersi come limiti e separazioni, ma come incontro di realtà.

La parrocchia nasce come spinta da un centro verso le periferie, per abitarvi “presso”. Va ricordato che le parrocchie non sono da considerarsi uguali: non cambiano i riti (il DNA) ma cambiano le persone.

La scelta missionaria è un primo significato da attribuire al termine periferie.
Occorre passare da una missione programmatica, che consiste nella produzione di atti di indole missionaria – cose da fare in schemi precostituiti -, ad una missione paradigmatica, che implica invece il porre in chiave missionaria lo sguardo delle chiese particolari. Solo dalle persone – dalle “periferie” – si può riscoprire il significato di ciò che facciamo; non si tratta soltanto di andare, ma anche di “ri-partire” da queste realtà. L’idea è quella di una pastorale della “soglia”: persone inquiete, insoddisfatte… .

La prospettiva ermeneutica è l’altro significato da attribuire al termine periferie: questa è l’interpretazione propria di Bergoglio ed è basilare per la pastorale, per un discernimento non fondato sull’idea, ma sul contesto. La realtà, infatti, si capisce meglio non dal centro ma dalle periferie. C’imbattiamo in un principio della spiritualità ignaziana: «Cercare Dio in tutte le cose».

La prospettiva di Bergoglio ha il vantaggio di attingere a documenti della Chiesa – del Concilio Ecumenico (evento pastorale) e avere degli agganci per le scelte della Chiesa italiana per una sua attuazione nel tempo – e spingerci ad una conversione pastorale (ri-significare l’agire globale): gli ultimi non sono una categoria, ma sono una prospettiva, una chiave di lettura… per recuperare un genere di vita più evangelico.